Capitolo 38. "Il dilagare del male." (Jane's POV)

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"Buongiorno signora."

Una donna sulla quarantina si girò scuotendo la capigliatura castana, aveva occhi di un verde spento, tanto chiari che per un istante  si fecero bianchi.

Sono suggestionata.
Angela come di suo solito porta dietro di sé scompiglio.
Pensai.

Reggeva un panetto di impasto nella mano sinistra e un pacco di farina nella destra, ne era ricoperta di quella soffice polvere bianca.
Notai questo curioso particolare per il contrasto che si creava con il blu scuro del grembiule; eppure, il candido colore della farina si confondeva perfettamente con la pelle pallida del volto e dell'avambraccio.
Riuscivo a distinguere le diramazioni vivamente colorate dei vasi sanguigni, i movimenti della commessa erano rapidi, vigili, frutto di una mente assorta, confusa, manipolata.
Distolsi immediatamente lo sguardo non appena mi accorsi dello stato di agitazione che qualche occhiata aveva scaturito nella donna.
L'impasto era scivolato sul bancone assieme alla farina, un barattolo di vetro era rotolato drammaticamente a terra e si era frantumato sotto i suoi occhi incuranti.
Decisi che sarebbe stato meglio fingere di non aver notato quel bizzarro comportamento e mi voltai a contemplare i prodotti impilati su uno scaffale là vicino.

"Buongiorno-" rispose con tono piatto lei-"come posso servirla?"

Mi avvicinai al bancone così da esserle più vicina, ne scrutai L'iride incolore senza mostrare il benché minimo sentore di sgomento da parte mia.

Non è necessario che io mi avvicini ulteriormente, non più.

Un fetore vomitevole fuoriuscì dalle sue labbra.

Morte.

La donna limitava le sue espressioni a qualche  cenno e non si azzardava ad aprir bocca, eppure, nell' esatto istante in cui mi salutò con finta cortesia notai residui di carne tra i suoi denti.
Le labbra rosse mostravano ancora qualche chiazza di sangue fresco.

Mia cara, sei fin troppo maldestra.

"Mi farebbe comodo un po' d'aglio, se non le spiace."

Mi feci sfuggire dalle labbra un'espressione di soddisfazione, sorrisi compiaciuta in attesa di una reazione da parte della mia lugubre commessa.
Mi parse un poco sgomenta, attese qualche istante prima di darmi una risposta, esitò.

"Desolata, lo abbiamo terminato."

Si congedò con un accenno di inchino e scomparve nel retro del negozio lasciandomi così senza possibilità di ribattere.

L'oscurità è oramai calata sul nostro villaggio, come un nero mantello, e con sé, come è naturale che sia, trascinerà la malvagità di un mostro e la sofferenza eterna dell'Ade.

"L'incubo è appena cominciato."

Mi incamminai verso la pasticceria di mia madre, non vi trovai un'anima in tutta la strada che percorsi, nessun uomo o donna che fosse aveva avuto il fegato di spingersi al di fuori della propria casa.
Il sole era in procinto di sorgere, l'alba era tuttavia ancora giovane, la notte dominava ancora sulle desolate vette che facevano da cornice a Villa Stoica.

Se non mi ucciderai dovrò ucciderti io.
Farò in modo di farlo.

La luna e il sole danzavano nei poli tra loro opposti dell'astro, forze opposte, amanti timidi e passionali, guardiani sin dai tempi arcani.
Mi domandai se non fosse meglio che due persone, in grado di reincarnarne a pieno le qualità, stessero lontane anziché attingere dai detti popolari quali «gli opposti si attraggono».
Chiaramente, nonostante la mia natura fredda, facevo riferimento al caro Floris con codeste sottili allusioni che solo io avrei potuto afferrare.
Eppure, forse, avevo ragione.
Non c'era modo  di unire la Luna con il Sole.

I primi raggi di luce della giornata cominciarono a ricadere sul mio viso come fossero gocce di una cascata calda e dorata.
Un brivido mi percorse il corpo da cima a fondo.

Ora siete al sicuro, uscite, venire fuori!
Proteggerò tutti voi a costo della vita.
Io che sono rimasta nell'ombra,
io che ho fatto della modestia un ideale da perseguire,
io che temo ogni cosa e nonostante ciò non ho pace fino a che non ho imboccato la strada più ardua:
sarò io a vegliare su di voi, farò ciò che mia nonna non è stata in grado di fare.

Tastai la stoffa della mia sacca in cerca del mio coltello, simbolo materiale di forza, una certezza misera che mi infondeva quel poco di coraggio.
Camminavo percorrendo la strada con larghe falcate, la mia mantella svolazzava mossa dal gelido vento invernale; le ultime foglie, quelle più temerarie, quelle che avevano resistito con innaturale resilienza persino all'autunno stesso, ricaddero su di me e si impigliarono trai miei lunghi capelli neri.
Mi fermai per pochi minuti a fare compagnia a mia madre che, sola come d'abitudine, aveva sfornato dolci e confezionato zuccherini d'ogni genere.

"Ti dispiace se ne prendo un po'? Vorrei portarli a Elvira."

Mia madre si voltò verso di me, le profonde occhiaie violacee non potevano mentirmi: non era riuscita a prendere sonno nemmeno questa notte.
Ero a conoscenza dei suoi dubbi, della sue paranoie e persino delle sue più viscerali ossessioni; mi domandai quale di queste avesse disturbato la quiete del suo sonno.

"Non hai dormito. Non è così?"

Come di sua consuetudine, anche quella mattina, divagò.

"Porta i mucenici, sono ancora caldi."

Mi limitai a posizionarne una dozzina su un vassoio d'argento degno di Villa Stoica e a varcare la soglia del negozio.

"Non rischiare la tua vita per quella ragazza o tantomeno per quel ragazzo, Floris, che ti piace tanto; non essere così orgogliosa.-"
mio malgrado non feci a meno di accorgermi delle lacrime che le solcavano il viso logoro, consumato dalla preoccupazione.-
"Fallo per la tua mamma."

Mi costrinsi a deglutire e mascherai il dolore nei miei occhi con la severità del tono.

"Ora devo andare."

Dissi con voce fin troppo alta mentre lacrime amare scendevano a mo' di gocce, gocce, proprio come quelle createsi dal ghiaccio disciolto che ricopriva il mio cuore e che lo proteggeva.

Mi dispiace infinitamente, mamma.

Strizzai gli occhi e un flebile lamento fuoriuscì direttamente dal mio animo irrequieto.

"Farò attenzione, non ti preoccupare."

Aggiunsi prima di allontanarmi da lei correndo verso Villa Stoica.
L'energia sinistra di quel luogo mi attraeva in maniera morbosa, aveva su di me lo stesso effetto che la luce esercita su un ingenuo insetto; la differenza tra me e un comune moscerino era che io sapevo.
Sapevo come questa macabra vicenda sarebbe andata a finire.

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