Capitolo 7. "Fragranze mortali."

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Il padre di famiglia mi sedeva di fronte con sguardo attento, nulla sarebbe sfuggito a quell'uomo di ciò che avrei detto, ne ero consapevole. Un profondo imbarazzo mi pervase nel momento più inopportuno, il coraggio mi abbandonò tutto d'un tratto lasciandomi indifesa sotto i suoi occhi vitrei.
"Dunque-" mai mi era risultato difficile pronunciare anche solo una parole come in quel momento.
Anche la donna affianco a lui si girò.
Per una frazione di secondo mi paese di scorgere un ghigno sul suo faccino insensibile alla vecchiaia.
Le labbra macchiate dal rossetto rosso sembrarono corrucciarsi come a prendersi gioco di me, fu solo un attimo.

"Continua cara! Sono curiosa di conoscere una ragazza tedesca."

Mi esortò lei con occhi spalancati e compiaciuti. Non potei fare a meno di continuare difronte a tale insistenza.

"-come dicevo, sono originaria di una piccola cittadina nei pressi di Lubecca. Ho frequentato tutte le scuole qua finché-"

lasciai che la parola successiva si perdesse nell'eco della grande sala.
Abbassai la testa contemplando le mie scarpe, mi accorsi di una macchia su di esse, una macchia marrone che non fece che aumentare la mia sensazione di disagio.
Inalai il profumo dolciastro della signora Stoica, le percepì amaro nelle narici, mi annebbiò la vista. Vidi campi ricoperti di dolci e rosei ciliegi in fiore o forse aspre amarene ancora acerbe per questa stagione.

"Tesoro, stai bene?" Dumitra con le mani gelate mi reggeva il capo stringendo con delicatezza la mia chioma corvina tra le dita.

"Sono Oana, Elvira come ti senti?"

La sua vocina squillante mi rallegrò istantaneamente.

"Sto bene, perdonatemi. Credo di aver dimenticato le vitamine questa mattina, nulla di cui preoccuparsi."

Mentii.
Nessuno si rivolse più a me se non per chiedermi se il pasto fosse di mio gradimento, se le posate fossero quelle che usavo abitualmente, se avessi bisogno di alimenti particolari: insomma, nessuno osò più entrare nel dettaglio con me.
Orazio servì bevande e ottimi dolci a tutti, poi dalla cucina spuntò anche la cuoca che avevo conosciuto per reclamare i suoi meritati riconoscimenti.
Era una donnina minuta e graziosa, non era intimidita dalla bella presenza dei signori Stoica pur rimanendo composta e sulla difensiva.
Finita la colazione ognuno si ritirò nelle sue stanze.
Oana più volte mi si avvicinò per parlare e mi regalò persino una delle sue bambole di pezza per poi invitare la bambolina riccioluta e la sua nuova proprietaria, nonché io, ad un tè delle cinque nella sua cameretta.
Era una bambina così dolce e graziosa.
Percepì sulla punta della lingua un sapore finemente agrodolce che non conoscevo. 
Più che altro era la provenienza a lasciarmi interdetta, siccome non ricordavo di aver mangiato nulla che potesse provocarmi quella particolare sensazione.
I signori Stoica avevano lasciato detto a Dumitra di salutarmi da parte loro in quanto per affari lavorativi sarebbero stati fuori tutto il giorno.
Si erano raccomandati anche a Orazio affinché riposassi e lui, da buon collaboratore domestico d'altri tempi qual era, aveva preso la richiesta con molta serietà.
Mi disse più volte di rilassarmi e mi fece portare tisane e camomilla dalla cucina con punte di spezie locali.
Ero lusingata ma avevo altro a cui pensare.
Quel giorno avrei dovuto tenere la mia prima lezione di tedesco alle figlie degli Stoica e non avevo la più pallida idea di come muovermi con Dumitra. L'idea di darle lezione, proprio a lei che sembrava così autoritaria e matura, mi metteva a disagio.
Mi adagiai sul divano del salottino con un libro in mano, non ne lèssi per davvero le pagine profumate.
Per la verità, non avevo alcuna intenzione di leggere. Mi divertivo ad osservare di soppiatto Dumitra nascondendomi dietro la copertina.
La sua eleganza era innata.
Sbatteva le lunghe ciglia dorate con dolcezza come se quel minimo movimento potesse nuocere a qualcuno.
Mi sentivo così impotente difronte a tanta bellezza innaturale.
Abbassai il libro chiudendolo con decisione, lo riposi sul tavolino difronte a me è mi congedai dalla stanza con un timido sorriso.
Il sole splendeva come una lucciola in una scura foresta sotto i banchi di nebbia.
La collina su cui sorgeva Villa Stoica era paragonabile alla torre Eiffel per Parigi.
Risalirla un tempo, quando ancora le auto non erano neppure nei pensieri più nascosti del genere umano, doveva essere stato un vero e proprio problema.
Eppure la sua impotenza lasciava senza fiato tutti i visitatori che mi era capitato di incontrare andando in paese.
Le persone del posto erano cordiali ma estremamente caute, come se temessero potessi portare "la modernità" nella loro cittadina persa in tempi remoti, scenari dei più coinvolgenti romanzi ottocenteschi e oltre.
Sapevo lo facessero per i turisti, nonostante ciò, quegli abiti, quegli atteggiamenti, quei taboo, parevano essere loro molto più di quanto lo dessero a vedere.
Il paesino in cui mi ritrovai non aveva nulla diverso dall'ultima volta.

"Buongiorno."

Gridò una donna intenta a stendere panni da un balcone.
Non fu l'ultima a salutarmi calorosamente, tanto da farmi pensare fosse un'usanza del posto e forse è così.
La strada attraversava di netto la cittadina dandone una visuale pressoché completa.
Vidi un'insegna più colorata delle altre che attirò di conseguenza la mia attenzione.
Pasticceria.
Entrai senza troppe pretese,dopotutto si trattava di un piccolo negozio in un piccolo paese sperduto.
Mi divetti ricredere, quali delizie! E poi, quanta gentilezza per una straniera qualunque.
Mi accolse una donna rossa di capelli sulla quarantina.
Aveva un fazzoletto d'un rosa sbiadito sulla testa e un vassoio di biscotti caldi tra le mani ancora sporche di farina.

"Vuoi assaggiare uno zuccherino?"

Non potei dire di no al suo smagliante sorriso.
Mi porse una scelta così variegata di torte, dolcetti, caramelle e biscottini da farmene perdere il conto.

"Mamma non vorrai farla stare male! Ogni volta che si presenta una nuova cliente è sempre la stessa storia."

Una ragazza che non avrà avuto più di sedici anni si pulì le mani sul grembiule della madre e si avvicinò al bancone.

"Oh cara-"

Le sorrisi

"Elvira, signora."

"Che nel nome Elvira! Avrei potuto pensarci prima. In ogni caso, lei è Jane, mia figlia."

La ragazzina scosse la testa spostando un ciuffo di capelli neri dagli occhi.
Era timida, goffa nelle presentazioni ma decisamente educata e gentile.
Teneva uno sguardo duro e intimidatorio sotto la frangia asimmetrica, uno scudo dagli sconosciuti, e non solo, che io stessa avevo adottato ma per un semplice fattore estetico.
Da dietro il bancone un gattino nero si arrampicò fino in cima e gli occhi di Jane si illuminarono.
Le labbra piccole ma carnose della ragazzina si scontrano con il muso soffice del micino.
Lei lo strinse tra le sue braccia annusando il suo manto candido, sapeva di zucchero filato.

"Kitty deve essersi infilato in mezzo alle buste di zucchero, senti che buon profumino!"

Mi porse il gattino.
Kitty fece le fusa strusciandosi contro il mio vestito caldo.
Poi balzò sul bancone e si allontanò di nascosto facendomi sorridere. Jane lo rincorse chiamandolo.
Rimasi nuovamente sola con la signora della pasticceria che poco dopo mi chiese di chiamarla più semplicemente Symon.
Mi diede un vassoio colmo di ogni pasta a base di zucchero immaginabile, le promisi che sarei tornata.
Tornai a casa con il cuore in pace, serena e compiaciuta per le mie nuove conoscenze.
Il sapore delicato dello zucchero si depositò sulla mia lingua lasciandomi un retrogusto così piacevole che per un attimo chiusi gli occhi per godermelo a pieno.
Un'auto sterzò di colpo. Un frastuono ruppe il quasi totale silenzio del luogo, le cicale smisero di cantare o forse fu una mia sensazione.
I suoni vennero attutiti dalle mie orecchie come se colme di ovatta, solo un fischio continuava a disturbarmi con insistenza.
Vidi un cofano troppo vicino al mio petto. Un sapore metallico riempì le mie guance e lo zucchero si sciolse lentamente nel grumoso sangue.

If I Was Your VampireTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang