Primi capitoli revisionati!

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Contemplai riluttante la lista di ammissione ai corsi di laurea per cui avevo fatto domanda cercando il mio nome. Speravo con tutto il cuore di essere stata ammessa in una delle mie destinazioni richieste: Inghilterra, Stati Uniti e infine l'Irlanda. Scorrendo l'indice sull'elenco ruvido appeso nell'atrio dell'Università locale sentivo l'attesa farsi snervante, come se prosciugasse le mie speranze di nome in nome.
"Signorina, mi scusi-" sobbalzai rischiando di perdere l'equilibrio, poiché la voce che mi chiamò era per mia sventura alquanto famigliare.
Mi voltai passando le dita tra il ciuffo di capelli neri che copriva il lato destro del mio volto:
"Mi scusi signore, stavo cercando il mio nome." Ma l'uomo non rispose subito, si limitò a far scorrere il suo sguardo dal mio volto alle mie scarpe più volte,il suo intento di mettermi in soggezione era fallito. Dopotutto, quel maleducato non aveva più nessuna autorità nei miei confronti e ne ero cosciente.
Ormai avevo compiuto i tanto attesi diciotto anni e come avevo già annunciato a mia madre, sarei partita il prima possibile dalla casa che lei aveva condiviso negli ultimi dieci anni con lui, con il mio patrigno e dirigente scolastico. Con un sorriso beffardo a trentadue denti, procuratosi con le fatiche di mia madre, Andrew mi porse un elenco con la dicitura "Fuori sede". Afferrai il foglio sfiorando la mano rugosa e ardente del mio patrigno con la mia, tremolante e fredda. Quel contatto mi lasciò una terribile sensazione nell'animo, un certo sconcerto che sembrava aggradarlo a tal punto da deciderlo, senza sbirciare la mia misteriosa destinazione, a lasciarmi sola a valutare il da farsi. Nuovamente cercai il mio posto nell'interminabile lista di nomi, più di quanti pensassi; infondo, novantasettesimo nella graduatoria, ecco apparire il mio nome di battesimo: Elvira Maria Schmidt. Odiavo il mio nome, mi riportava alla mente l'amore per la patria di mio padre, Brașov, e la morbosità ingiustificata, perlomeno alla me di prima,di mia madre nei confronti della religione. Con lo sguardo mi spostai a destra alla ricerca della mia destinazione. Sentivo gli occhi perdere lucidità e riempirsi di lacrime salate. Pareva uno scherzo del destino quello che mi si prospettava davanti, tanto che mi sfuggì una risata isterica che rimbombò per i corridoi deserti e buii dell'edificio spezzando la tranquillità di quella serata estiva. D'istinto cercai il mio telefono nello zaino e composi il numero di mia madre, volevo dirle che sarei dovuta tornare lì. Eppure un senso di protezione mi pervase, bloccando ogni mio movimento, rallentando il mio ansimante respiro.
Come avrei potuto arrecarle un dolore così grande? Sarebbe stata in pensiero per me per il resto dell'anno, dondolando sulla sua sedia nella veranda con una tazza in mano di tè ormai freddo a farsi consumare da ricordi disturbanti e che tuttora la terrorizzano nel sonno. Mai è riuscita a parlare di quei momenti, tanto più da quando mio padre ha deciso di scordarsi di noi e voltare pagina. Eppure ricordo uno dei suoi incubi riguardo quel famigerato viaggio in Romania. La città natale di mio padre era Brașov , aquanto ricordassi, ed era la sede dell'Università che avrei frequentato.
Non sarebbe stato un bene per una madre dalla salute già di per sé fragile scoprire che la propria unica figlia avrebbe conosciuto ciò che sapeva lei.
Decisi di mentire, le avrei fornito l'indirizzo di un'università sul confine rassicurandola sulle mie condizioni e poi sarei partita per la Transilvania indisturbata.

*fine antefatto*

Guardai il suo volto più volte, perdendomi nei suoi occhi vitrei. Non percepivo più calore nel guardarli, era palese che la sua anima avesse abbandonato il corpo da tempo. Un brivido sinistro si insinuò dentro di me come invadenti radici di un albero avido di terra.
Non era il freddo austero della stanza,necessario per la conservazione delle salme, a disturbarmi, quanto più l'aspetto della stanza dove si trovava il cadavere mio padre; le pareti di un verde sbiadito scrostato dal tempo, le luci fioche che lampeggiavamo deboli lasciando l'obitorio nella penombra. Non osavo smettere di far roteare le chiavi dell'auto con le dita per paura di udire un qualunque suono proveniente da quel luogo.
Poco prima un'infermiera aveva attirato la mia attenzione entrando furtivamente nella stanza:

If I Was Your VampireWhere stories live. Discover now