Epilogo - II

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Ora che ci penso, quel brontolone non si è fatto sentire per tutto il pomeriggio. Che accidenti sta facendo? Un sospetto mi balena in testa. Spero che non abbia combinato di nuovo un casino. Non ho le forze per pulire una sola macchia.

Raggiungo la villetta nei soliti dieci minuti e parcheggio accanto al fuoristrada nero. Almeno è in casa. Esco dall'auto e m'incammino sul vialetto – il prato è di nuovo cresciuto troppo, i fili d'erba fanno ombra sulle mattonelle chiare. Devo chiamare il giardiniere.

Il cellulare vibra in borsa e mi fermo a un passo dall'ingresso per controllarlo. Sorrido osservando la foto di Tai con sua madre a casa dei parenti a Pechino. Mi rallegro sempre ricordando la nostra amicizia nata dalle ceneri del momento più buio che abbiamo vissuto. Il nostro rapporto non si è mai stretto come quello che ho con Aki, ma dentro di me sapevo di potermi fidare di lei.

Tai continua a ripetermi che è solo grazie a me se ha recuperato il rapporto con la madre perché l'ho aiutata ad affrontare il suo dolore, tuttavia il vero aiuto è stata lei stessa a darselo. Nessuna delle mie parole avrebbe avuto valore se non fosse stata lei stessa intenzionata a guarire. L'ammiro.

«Sono a casa!» esclamo chiudendo la porta alle spalle. Lascio la borsa all'ingresso e sfilo la giacca, scrutando il soggiorno a destra e la sala da pranzo a sinistra. Silenzio. «Ehi, c'è nessuno?»

Tolgo le scarpe con il tacco per non rigare il parquet e salgo al piano di sopra. Ripongo la giacca e le décolleté nella cabina armadio, mi sposto verso il comò bianco e seleziono la biancheria pulita da indossare dopo la doccia. Direi beige, il giusto contrasto con la camicia da notte blu marino. Lascio l'intimo sul letto, le coperte chiare sono ordinate alla perfezione come sempre.

Salgo in mansarda a piedi nudi per non fare rumore. Questo posto è un disastro. Ci sono tele ovunque, bianche, schizzate e rotte; barattoli di tempere nuovi e vuoti; fogli di carta stropicciati, pile di riviste, documenti e altra roba sparsa per terra, sulla libreria disordinata e sulla scrivania in fondo. Raccolgo ciò che posso, ciò che mi sembra da buttare, ma alla fine ripongo tutto in un angolo. È capitato diverse volte che prendesse vecchie idee scartate, non vorrei mai interferire con il suo modo di creare.

Esco sul terrazzo, che mi fa sentire sempre all'interno di una serra per via dei vetri che delimitano lo spazio, e mi fermo sul posto. Scorro lo sguardo sui tre tavoli in legno, che un tempo erano marroni e ora sono di tutti i colori come il pavimento, e sui vari cavalletti sistemati in più punti. Su quello in fondo a destra c'è la tela su cui sta lavorando, tempestata di colori caldi. Ma di lui neanche l'ombra. Che fine ha fatto?

D'improvviso due braccia mi stringono il petto e la mia schiena sbatte contro qualcosa. Qualcuno. Le sue labbra mi sfiorano il collo e risalgono verso la mandibola. «Finalmente sei tornata» mormora al mio orecchio. La pelle si riempie di brividi al suono sensuale della sua voce e al respiro caldo che mi solletica i capelli.

«Se ti mancavo, saresti potuto passare in galleria». Poggio le mani sulle sue braccia, anche se non lo vedo in viso posso immaginare la sua smorfia.

«Troppo complicato».

«O magari la verità è che ti sono mancata troppo poco».

Cerco di liberarmi dalla sua stretta, ma mi rigira e incolla il mio petto al suo.

«Adesso rimpiangerai di averlo detto» sibila Elián, incastrando gli occhi grigi nei miei. Bacia il mio sorriso e mi morde un labbro per indurmi ad aprire la bocca. Lo accontento e le nostre lingue si scontrano, si cercano e si abbandonano alla necessità l'uno dell'altra che ci divora da anni.

«Tieni le mani a posto». Gli afferro un polso per impedire che mi tocchi ancora il sedere.

«Sono pulite. Ho messo i guanti». Solleva la destra per mostrarmela: neanche una macchia di colore.

Chiamami per nome - Call me by name [Completa]Où les histoires vivent. Découvrez maintenant