Capitolo 3 - Se fossi un'altra persona - II

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«Scusami davvero, ci sentiamo per telefono, okay?» Aki scappa via a passo svelto senza darmi modo di salutarla.

È sempre stata una ragazza un po' distratta – le cose o persone che catturano la sua attenzione si contano sulle dita di una mano –, ma oggi mi è parsa del tutto assente. I chioschi in spiaggia sono chiusi a causa dell'alta marea e non dobbiamo lavorare, perciò speravo di fare un giro per togliermi dalla testa il caos di stamattina.

Sospiro e m'incammino verso l'uscita.

«White». Volto il capo alle spalle. «Hai un minuto?» La prof Fisher m'invita a rientrare in aula indicandola con la destra.

«Certo». Annuisco e supero la soglia, diretta verso la cattedra.

«Dunque», la professoressa poggia il fondoschiena al bordo dello scrittoio, «non so cosa devo fare con te». Incrocia le braccia al petto, gli occhi castani assottigliati e le sopracciglia incurvate la fanno sembrare indispettita.

Sistemo la tracolla sulla spalla, più per nervosismo che per reale necessità. «Vuole farmi un'altra delle solite ramanzine?» Sorrido, ma lei non ricambia.

«Sì, perbacco! Il compito con la critica che hai presentato è ineccepibile! Hai uno spirito d'osservazione eccezionale, vivo come se riuscissi a far parte di qualsiasi dipinto mentre lo analizzi». Strofina il colletto della giacca beige fra indice e pollice, spazientita. «Ho assegnato un minimo di battute per stimolare i più pigri a scrivere qualcosa in più sull'opera d'arte scelta e tu invece mi hai chiesto un tetto massimo. Riesci non solo ad analizzare un'opera nel proprio contesto, ma anche a creare un filo logico con altri periodi e argomenti. Perbacco, hai parlato della storia della musica partendo da un dipinto astratto dove non c'era una sola linea che potesse far pensare alla musica. Ed era tutto perfettamente sensato!» Alza un po' troppo la voce, che si propaga nell'aula vuota, finendo per squittire.

Le guance formicolano. Accarezzo una ciocca di capelli. «Quindi, posso dedurre che il voto sia buono?» mormoro, faticando a incrociare il suo sguardo. Quando fa così, mi mette tanto in imbarazzo da farmi desiderare di scappare via.

Sospira, stringendo il bordo della scrivania con le mani. «Non capisco, White, e lo so che te lo ripeto da tempo, ma davvero non capisco. Perché non ti sei iscritta all'università di Adelaide? Capacità come le tue sono sprecate qui».

Alzo le spalle. «Cercavo solo un indirizzo d'arte».

«E l'università di Adelaide ha quello migliore. Il Kensington è famoso solo per l'indirizzo sportivo che permette agli atleti in squadra di passare più tempo in campo che sui banchi. Gli altri indirizzi hanno un programma base, nulla a che vedere con l'università».

Dietro di me il vociare degli studenti è lontano, tutti stanno lasciando i padiglioni. Dovrei andare anch'io prima che cali troppo il sole sulla strada di ritorno.

«Non è molto professionale parlare male della scuola in cui lavora, no?» Provo a scherzare, ma non attacca.

«È la verità. Se fossi stata nella media o anche un po' sopra la media, non avrei insistito in questo modo per farti cambiare scuola. Te lo ripeto, posso scriverti una raccomandazione, il Rettore stesso ha detto che lo farebbe dopo aver visto le tue capacità. Valuta la cosa, non sprecare tempo qui dentro». Mi parla con dolcezza e rabbia come farebbe una mamma alla figlia che ha commesso un errore e vuole aiutarla a superarlo. Lo sguardo dolce palesa quanto le stia a cuore la mia situazione.

Sospiro, mi sento in colpa e non so perché. «Per me è indifferente, davvero. Il Kensington mi piace. Non si dia pensiero». Agito le mani e sorrido, sperando di tranquillizzarla. «Adesso devo andare. Mi aspetta il viaggio per tornare in città».

Chiamami per nome - Call me by name [Completa]Where stories live. Discover now