Capitolo 10 - Ciò che sento - II

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«Okay, okay. Adesso calmatevi e mettiamoci al lavoro. Non abbiamo molto tempo prima dell'ora di cena». M'inginocchio e prendo il secchiello per riempirlo di sabbia.

Aury mi fissa incerta con gli occhioni scuri. «Quindi domani tornerai per finirlo?»

Annuisco. «Sì, sì. Ve l'ho detto. Ho avuto un po' d'influenza e non sono potuta venire a giocare con voi, ma adesso sto bene. Cominciamo?» Saranno almeno dieci minuti che ripeto sempre le stesse cose. Con tutto il casino che è successo, avevo dimenticato la promessa di costruire insieme un castello grande quanto il quadrato di sabbia, mentre i bambini hanno una memoria di ferro e hanno la capacità di farti sentire in colpa come se gli avessi derubati.

E, a dirla tutta, non avevo tanta voglia di tornare al parco. Però, mi mancava.

Peter corruga la fronte, unendo le sopracciglia folte e scure. «Se non torni, non giochiamo più con te!» Lo sguardo arrabbiato palesa il peso della minaccia. Credo che Aury sia rimasta più delusa della mia scomparsa di lui e non vuole che la sua amica sia triste.

Sorrido. Mi ricordano noi.

«Lo prometto! Adesso su, riempiamo questi secchi».

Partiamo, come sempre, dalle torri di vedetta. Otto, perché il quadrato è troppo grande per farne solo quattro, e poi innalzeremo i corridoi. Ho provato a dir loro che prima dovremmo fare il castello al centro e dopo le mura fortificate, ma non vogliono e chi sono io per ostacolare l'estro artistico di qualcuno?

Riempio un altro secchiello, mancano due torri. Anzi, facciamo quattro, perché un paio sono crollate per metà. Peter non è molto portato per questo gioco, ma Aury si diverte e lui non si lamenta.

«Sun?»

Mi guardo intorno per capire chi mi ha chiamata, scorgendo una figura oltre le siepi basse che delimitano il parco.

Mi drizzo subito in piedi. «Hanna!» La mamma di Elián mi sorride e le vado incontro, dopo aver assicurato ai bambini che tornerò. «Hai fatto la spesa?» domando, osservando le due buste di plastica che stringe.

Annuisce, scuotendo la coda castana. «Ho avuto tempo soltanto adesso. È un periodo molto frenetico in clinica. Ci siamo offerti di affiancare diverse squadre sportive e abbiamo assunto degli specialisti che ci costringono a chiudere più tardi per seguire gli atleti». Quando finisce di parlare spalanca gli occhi chiari e mi fissa come fosse a disagio, forse pensando che non doveva parlarmi della clinica.

«Ho capito. È per questo che avete fatto dei lavoretti di ristrutturazione, allora» dico subito per farle capire che il discorso non mi ha turbata.

Rilassa le spalle. «Sì. Verranno anche dei giornalisti per documentare l'iniziativa e vorremmo che parlassero bene della struttura».

Ci guardiamo in silenzio. La incontro di rado perché è spesso al lavoro – Luca non lo vedo quasi mai – e ogni volta c'è sempre tanto imbarazzo fra noi. Io non ce l'ho con loro ma mamma e papà sì, non li denunciarono solo per il rapporto che legava le nostre famiglie.

Fisso una delle buste, scorgendo una confezione di ciliegie. «Ho saputo di Elián» mormoro tornando a guardarla.

Il viso di Hanna muta in un'espressione preoccupata. «Già. Gli abbiamo chiesto perché avesse fatto una cosa del genere, ma... Insomma, dopo... l'incidente, ecco, e la scoperta dei maltrattamenti nella vostra scuola, avrebbe dovuto essere l'ultimo a voler risolvere un conflitto con la violenza. Però, non ci dice niente. È chiuso nella sua stanza da ieri mattina, quando siamo tornati dal campus». Sospira, non sapendo quanto mi senta ancor più in ansia, adesso. «Purtroppo, come ti ho detto, è un periodo pieno e né io né Luca riusciamo a rientrare a casa per un'ora decente, lasciandolo solo. Ieri non ho potuto fare la spesa e si è arrangiato, oggi ci sono riuscita ma sai che non sono mai stata tanto brava in cucina. Preparargli qualcosa che possa mangiare anche domani e dopodomani sarà una vera impresa». Sorride, rammaricata dei suoi limiti.

È solo...

Deglutisco. «S-Se vuoi, posso portargli io qualcosa» dico d'istinto.

Solleva le sopracciglia, stupita. «Oh, no! Non devi preoccuparti. Mi organizzerò o lo convincerò ad andare a mangiare dai nonni. Loro non possono spostarsi, ma lui sì».

«Non è un problema, davvero. Aiuto sempre mamma e in questo periodo di vacanze ho più tempo. Preparare una o due porzioni in più non mi crea alcuna preoccupazione». Tutte le mattine, prima di andare al campus, preparo il grosso del pranzo e della cena così mamma deve solo riscaldare o completare la cottura senza stancarsi troppo. Pensare anche a Elián non sarà difficile neanche quando ricominceranno le lezioni.

Hanna mi rivolge un sorriso dolcissimo. «Sei un tesoro, Sun. Ti ringrazio per il bene che vuoi a Elián, nonostante tutto».

Il viso si scalda e il cuore accelera. «N-Non è nulla di che, davvero!» Agito le mani con enfasi.

«Allora, la cena per oggi e il pranzo di domani ci sono. Ti va di preparare qualcosa per la sera di domani?»

«Assolutamente sì» dico, incominciando a immaginare cosa potrei portargli. Alla fine, anche preparare qualcosa solo per lui mi va bene.

«Grazie. Elián ne sarà felice» mormora gentile.

La saluto e la osservo proseguire verso casa sua. Il fatto che abbia accettato non vuol dire che ho intenzione di bussare di continuo alla sua porta. Le ho detto che gli avrei preparato da mangiare e lo farò, ma incontrarlo è un altro discorso. E poi dubito che Elián possa sentirsi contento della mia iniziativa. Anzi, forse è meglio che non ne sappia niente.

«Sun!» I bambini mi reclamano e torno da loro.

Chissà se ho fatto bene. Domani lo scoprirò.


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Chiamami per nome - Call me by name [Completa]Where stories live. Discover now