33. Jackpot

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"Le autorità hanno stabilito che l'incendio avvenuto nel centro di Seoul ad una delle aziende più note del Paese è di origine dolosa. Non si sa ancora chi l'abbia appiccato, ma le indagini stanno proseguendo molto velocemente. Per ora si è conoscenza solo dell'orario approssimativo dell'accaduto, riconducibile alla scorsa notte. Non ci sono testimoni. È stato ritrovato solo il corpo di una giovane ragazza."

All'udire le parole della giornalista in tv, è come se il pavimento mi tirasse sotto per schiacciarmi. Vedere il palazzo della mia azienda, ex azienda, bruciato e annerito dalle fiamme beh... è un colpo durissimo. Sopratutto perché, se i miei genitori mi vedessero adesso, sparerebbero loro a me un colpo dritto in testa.

Avevo combinato una catastrofe. Una di quelle che ti inghiotte quando la realizzi integralmente, una di quelle che è già troppo tardi per sanare.

È un disastro colossale.

«Cazzo, Soo. Hai fatto un colpaccio!» Taehyung è il primo della lista che reagisce davanti allo schermo del televisore, prendendolo per i bordi con le mani come se lo potesse sollevare da un momento all'altro.

Io sono seduta sul divano, il viso nascosto nelle mani, la mente in una ragnatela bestiale di scenari orribili. Il mio equilibrio è piuttosto precario quando il ragazzo si scaraventa di fianco a me per sbattermi un braccio sulle spalle. A quel gesto, compio uno scatto in avanti.

Male.

«Ragazzi, la nostra piccola e innocente Sooyun ha commesso il suo primo crimine! Dobbiamo organizzarle una festa.» gorgheggia, sempre e solo Taehyung. Non ho mai voluto chiudesse così tanto quella bocca prima di adesso.

Gli altri ragazzi sono radunati tutti intorno alla grande tv. Namjoon la spegne col telecomando ed io gliene sono profondamente grata.

Ci sono troppe facce, troppe espressioni diverse perché la mia mente in un fosco subbuglio possa decifrarle una ad una. Ne traggo solamente una disattenta sintesi: equanimità, riflessione. Qui l'unica sull'orlo di una crisi isterica sono io.

Bello schifo di merda. Se ci fosse qualcuno che si sentisse come me potrei condividere con lui il mio sconforto e la mia confusione. Ma quel qualcuno non esiste. Sembrano sul serio punto di organizzarmela per davvero una dannata festa del cazzo.

«Come diamine avete fatto ad appiccare un incendio di tali dimensioni?» domanda il leader con un orlo di sguardo dubbioso. Jungkook alza le spalle, stendendosi sul divano. «Casualità.» afferma lui disinvolto «Lì dentro è pieno di aggeggi altamente infiammabili, le fiamme hanno fatto tutto da sole.»

Con l'aiuto di un accendino e delle tende, certo.

Il mio sconforto ora è prossimo all'isteria. Mi lascio persino cadere sul petto di Taehyung, emettendo qualche suono decisamente poco umano. È tutto un misto di strilli e mugugni ovattati dalla mia bocca contro il suo maglione. Sono così sotto stress che lo stringo tra i pugni ed inizio a scuotere con animo il ragazzo.

«Se qualcuno non me la toglie di dosso, finirò per diventare un frullato di cazzo.» avvisa il gruppo, battendomi una mano sulla spalla percossa dalle convulsioni. Io mi fermo, ma non mi stacco.

Non me ne frega nulla di questo contatto estremamente ravvicinato; voglio solo nascondere la mia faccia colpevole fino a quando quelle immagini rovinose non la smetteranno di essere sulle prime pagine di ogni fottuto telegiornale. È straziante.

Sono stata un'idiota. Mi sono lasciata prendere dal giubilo dell'attimo, una scintilla che scocca, un fuoco d'artificio che ha fatto schizzare via il mio buonsenso. Esso però aveva trovato troppo presto la via del ritorno, tirandomi un invisibile pugno nello stomaco non appena gli sono apparsa davanti. Eccolo, lui, il senso di colpa. Una spina nel fianco, un peso nel petto, un parassita deleterio. L'ho odiato sin dal primo istante.

PINK GASOLINE ✓ [Jeon Jungkook]Where stories live. Discover now