34. Il "nostro grigio"

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La freddezza dell'aria mi trapassa le ossa del braccio, provocandomi una pelle d'oca dolorosa e acre. Soprattutto dolorosa. Hoseok mi sorregge per il braccio sano mentre gli altri due ragazzi ci fanno strada fino a dentro casa. Avevamo finito il lavoro, il quale sarebbe dovuto risultare una bazzecola pacifica e sicura. Nessuno di noi aveva previsto che quel bastardo fosse armato, e che non avesse paura di usarla la sua arma. Un proiettile che alla fine aveva deciso di accanirsi su di me.

Era successo tutto in pochissimo tempo. Secondi che avevano avuto il peso di cento vite e l'intensità di un battito di ciglia.

Come di consueto, quella che aveva attutito il colpo peggio di tutti ero stata io. I ragazzi somigliano molto a dei gatti infimi e subdoli ; cadono sempre e comunque in piedi. Io invece ho ancora l'apparenza di un passerotto con le ali rotte. Dunque potrei volare, ma senza sapere come farlo. Per la prima volta ho realizzato quanto il mio istinto di sopravvivenza sia ancora fortemente scarso. Se solo esso fosse contagioso, a quest'ora sarei già allo stesso livello di Indiana Jones. Però non lo è, per questo mi faccio guidare in casa fino a quando non siamo in uno dei bagni. Il mio fondoschiena incontra la tazza fredda del wc, le mie labbra sussultano.

«Ci sei?» mi chiede il biondo «Ti tengo.»

Annuisco con la testa intanto che Namjoon apre il mobiletto incorporato al di sotto del lavabo con movenze rapide e decise, cercando materiale per ripulirmi. Avevo sbirciato in basso, sul mio avambraccio, e non penso che la ferita sia tanto grave. Il proiettile aveva avuto la forza per spaccare il tessuto del cappotto e la maglietta al di sotto, ma erano stati proprio quegli strati a risparmiarmi un danno maggiore. In un certo senso, ero stata baciata dalla fortuna. Mettiamola pure su questo piano svalutato.

«Nam, trovato qualcosa?» Taehyung chiede al capo, muovendosi nervoso da un piede all'altro.

Io cerco di mettermi comoda adagiando la schiena sul muro altrettanto gelido, esibendo solo la faccia più serena che mi riesce. «Ragazzi, davvero, sto-»

«Non provare a dire bene perché è evidente che non stai bene.» mi stronca sul nascere Hoseok.

Ma io sto bene sul serio. Non in una delle mie forme migliori, ma riesco a reggermi in piedi e a vedere chiaramente quello che mi sta attorno, e non è per niente scontato. Quindi sono piuttosto sana.

Quando Namjoon termina la sua ricerca raggomitolato sulle sue gambe lunghe come fosse un riccio, la porta del bagno si apre leggermente, il giusto che basta per mostrare una testa nera che fa capolino nella fredda stanza.

«Porca puttana, fate meno casino.» impreca Jimin con un tono di voce tutto impastato «Io e gli altri stiamo cercando di dor- oh... che succede qui?»

La parlantina del ragazzo era scoppiata per colpa del sonno interrotto, ma la vista del mio stato infermo l'aveva fatto bloccare tutto d'un tratto. Ora egli mi guarda intensamente, analizzandomi dalla testa ai piedi con gli occhi gonfi. Trova subito il punto focale ed una diagnosi accurata.

«Le hanno sparato?» domanda lui addentrandosi nella stanza. Namjoon asserisce assorto «Sì, ma nulla di grave. Lo risolviamo subito. Non dirlo a Jungk-»

«Sono già qui.»

Tutte le teste, la mia compresa, schizzano verso la porta del bagno. Jungkook è lì, una spalla sorretta dallo stipite, le braccia incrociate. Guarda il castano con un sopracciglio alzato, inviandogli solo con gli occhi tutto il disappunto sul fatto raro che avesse appena detto una stupidaggine. Il diretto interessato si morde il labbro inferiore, rimangiandosi tutto.

Non è che Namjoon abbia paura del confettino, no. Sembra piuttosto che in un contesto delicato come questo, che mi traccia come cardine, il suo parere sia basale. Di estrema importanza morale. Pare invece che sia l'istinto di Jungkook ad essersi messo in allarme vedendomi così.

PINK GASOLINE ✓ [Jeon Jungkook]Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt