Canzone per il capitolo: You let me walk alone || Michael Schulte
Ermal p.o.v.
Sorrido a Fabrizio, seduto accanto a me, mentre il cantante rappresentante dell'Inghilterra lascia il palco e cammina verso di noi per tornare al proprio posto.
Siamo tutti qui, seduti in file accanto al palcoscenico, noi cantanti in rappresentanza delle diverse nazioni partecipanti all'Eurovision Song Contest.
Non nego di averci sperato con tutto me stesso di trovarmi, prima o poi, seduto su una di queste sedie, immerso in un mescolone di lingue che non conosco ma che allo stesso tempo mi affascinano incredibilmente. Eppure, non riesco a credere di avercela fatta, non così presto. Pensandoci bene, la mia carriera da solista è partita per davvero solamente due anni e qualche mese fa, in occasione del Festival di Sanremo a cui ho partecipato nella categoria giovani. Allora mai avrei pensato che, due anni più tardi, l'Italia avrebbe mandato me a rappresentarla in Europa. Me e Fabrizio, ma questo è un altro discorso.
Ripensando a quel Festival, non posso non riconoscere quanto mi abbia cambiato la vita. Dall'autore di canzoni per gli altri, sono diventato un cantautore per me stesso. Dallo svegliarmi solo nel letto ogni mattino, sono passato allo svegliarmi solo nel letto ogni mattino ma con una persona a cui pensare, sperando fosse lì, immaginandola accanto a me tra le lenzuola che continua a dormire mentre io la osservo, come sempre quando abbiamo avuto l'occasione di dormire insieme. E dall'alzarmi dal letto e trascinarmi in cucina, prepararmi una tazza di caffè e pensare a quanto la mia vita fosse deludente, sono passato a prendere in mano il telefono per mandare un messaggio, per poi alzarmi e trascinarmi fino in cucina e prepararmi una tazza di caffè. È quel messaggio che fa la differenza, è lei che fa la differenza.
Poi, come da un'onda in un giorno di tempesta, vengo colpito dalla cruda verità, quella che cerco di reprimere ogni giorno, che forse se fingo non esista, questa scompare per davvero e mi riporta a ciò che era diventata per me la normalità. Forse mi riporta da lei, ma non lo fa mai.
Lei non c'è.
Lei non c'è perché io ho buttato via tutto, cedendo ai tentativi di Silvia di ricostruire i ponti con me. Sapevo quanto fosse sbagliato, ma non è una novità che quando si tratta di lei, io divento un'altra persona. Non è una novità che io, non si sa bene per quale strano contorto meccanismo della mia mente, finisco sempre per perdonarla, in un modo o nell'altro. E sono fin troppo stupido, perché io continuo a sperare che lei sia interessata a un'amicizia quando torna da me. Ma non lo è mai. Vuole sempre di più, e io dovevo tirarmi indietro quel giorno, rifiutare di incontrarci "per un caffè", sapendo come sarebbe andata a finire. Ma non ce l'ho fatta, non ce l'ho fatta e ora sono di nuovo da solo. Mi sveglio da solo, non ho nessuno a cui mandare un messaggio prima ancora di alzarmi dal letto, non ho qualcuno da immaginare accanto a me tra le coperte.
Anzi, continuo ad averlo qualcuno da immaginare, ma lei non sarebbe più disposta a rendere le mie fantasie reali, nonostante tutto.
«Ancora lei?», chiede Fabrizio, forse infastidito dalla ricorrenza di questo mio pensiero. Mi limito ad annuire, abbassando lo sguardo, e lui sospira. «Ormai lo riconosco, quello sguardo che hai solo quando pensi a lei».
«Che tipo di sguardo?».
«Quello di chi è convinto di essersi rovinato la vita con le proprie mani e si odia per tutte le cose che ha sbagliato», mi spiega e io mi volto a guardarlo, non capacitandomi di come da uno sguardo sia riuscito a cogliere così tanto. «Sai, saranno anche stati motivi diversi, ma è lo stesso sguardo che ho avuto anch'io per tanto tempo».
Non sapendo cosa dire, annuisco di nuovo.
«Però pensaci, ora sono qua con te, la mia carriera ha visto una svolta che non mi sarei mai aspettato, ho dei bambini meravigliosi a casa che mi aspettano, e tutto sembra andare per il verso giusto», mi dice e sono riuscito a leggere nel suo sguardo il rimorso di aver menzionato i bambini a casa che lo aspettano nello stesso istante in cui l'ha detto. Ma non è colpa sua, è giusto che ne parli, sono i suoi bambini. Se io un bambino che mi aspetta non l'ho più, è solo colpa mia. «Voglio dire, arriverà un momento in cui ti dirai "ma vaffanculo, o lo faccio adesso o mi ammazzo", e riuscirai a prendere in mano la tua vita, a riprendertela indietro», continua e non so se con quel "riprendertela" si riferisse alla mia vita o a qualcos'altro. Qualcun altro.
«Hai ragione, credo sia solo questione di aspettare, no?», chiedo per cercare sicurezze e lui annuisce, seppur poco convinto.
«Aspettare di trovare il coraggio, certo. Se aspetti che il mondo cambi da solo, allora morirai aspettando. Però guarda il lato positivo, stai vivendo uno dei tuoi più grandi sogni, no? Non lasciartelo oscurare così».
Ha ragione, non ci devo pensare.
Abbiamo appena cantato la nostra canzone, dopo aver vinto il Festival di Sanremo, sul palco dell'Eurovision Song Contest, in diretta europea. La mia musica è arrivata nelle case di tutta Europa, come posso non essere elettrizzato all'idea?
Elettrizzato.
Pessima scelta di parole, no?
Esistono decine di parole che esprimono quello stesso concetto, e la mia mente ha dovuto scegliere proprio quella che mi ricorda dell'unico motivo per cui non riesco a essere felice. Curioso come lavora la mente, eh?
«Sai, Fabrì, io ci sono andato a riprendermela», ammetto, dopo un po', e lui si volta verso di me alzando le sopracciglia, un'espressione più che sorpresa sul suo volto. «Il mese scorso sono andato a Sanremo, ero deciso a riprendermi lei e Filippo. Poi li ho visti. Erano in spiaggia, dove ero sicuro li avrei trovati. Elettra stava facendo volare Filippo come faceva sempre insieme a me, solo che lo stava facendo insieme a un altro ragazzo. Sembravano felici».
Lui sembra rifletterci sopra, poi sembra come illuminato da non so quale pensiero.
«Mi hai detto che ha tanti amici uomini, che sono più gli uomini che le donne. Magari era uno dei suoi amici, no?».
Sorrido al suo tentativo di trovare una spiegazione che non mi faccia del male, ma scuoto la testa, quasi ridendo.
«Li conosco tutti. Lui non lo conosco. Non è un suo amico».
Fabrizio sta per ribattere, ma veniamo interrotti dall'inizio di una canzone. Il cantante della Germania è sul palco, e so che canterà una canzone in inglese. Sono contento quando questo accade, perché mi permette di capire il testo, cosa che non riesco a fare se cantano nella loro lingua madre, per quanto affascinante possa essere.
"Sono un sognatore, vivo nel mondo delle favole, mi avevano detto che eri così anche tu
Amo il silenzio e l'orizzonte limpido, ed è proprio ciò che ho ricevuto da te
Ogni tanto sono attratto da dei posti, sono quelli dove sento la tua voce o vedo il tuo viso ed ogni piccolo pensiero mi riporta proprio da te
(...)
Tu hai reso questo posto casa mia, un riparo dalla tempesta
Mi hai detto che ho una vita davanti e un cuore sincero
Io ho fatto del mio meglio ed ho fatto così tanta strada
Ma tu non lo saprai mai, perché me l'hai lasciata percorrere da solo
L'eroe della mia infanzia sarai per sempre tu, e nessun altro potrà mai eguagliarti
Pensavo che mi avresti guidato quando la vita mi avrebbe tratto in inganno, è in quei momenti che mi manchi più che mai
Ogni tanto sono attratto da dei posti, sono quelli dove sento la tua voce o vedo il tuo viso ed ogni piccolo pensiero mi riporta proprio da te
(...)
Tu hai reso questo posto casa mia, un riparo dalla tempesta
Mi hai detto che ho una vita davanti e un cuore sincero
Io ho fatto del mio meglio ed ho fatto così tanta strada
Ma tu non lo saprai mai, perché me l'hai lasciata percorrere da solo"
Neanche presto attenzione alle lacrime che scorrono sulle mie guance, sembrano due fiumi in piena, ma non me ne preoccupo. Non è la prima volta che questo accade, e non mi importa de questa volta sta succedendo in pubblico.
Ed è ora che capisco.
Io non mi sono preso un impegno come fidanzato, non solo. Io mi sono preso un impegno come padre, e non lascerò che un bambino cresca senza un papà. Nessuno lo merita, e Filippo meno che tutti.
Senza nemmeno pensarci mi trovo in piedi, a camminare veloce verso l'uscita fino a quando una mano sul mio polso frena la mia corsa.
«Ermal!», è la voce di Fabrizio a chiamarmi e, quando mi volto indietro, scopro che è lui a tenermi il polso per impedirmi di andarmene. «Dove stai andando?», chiede confuso, sicuramente non capendo tutta questa urgenza e nemmeno le lacrime che mi bagnano il viso.
«Tornerò in tempo per l'esibizione di domani, non ti preoccupare».
«Dove stai andando?», ripete, e io mi accorgo quanto in realtà sia inutile cercare di sviare la sua domanda.
«Vado a Sanremo. Vado a riprendermi la ragazza che amo e mio figlio», rispondo prima che la sua mano lasci il mio polso, prima di stringermi in un abbraccio.
«Sapevo che avresti fatto la cosa giusta», mi sorride non appena mi lascia andare, e io gli sorrido indietro prima di correre fuori da questa arena, prendere il primo taxi disponibile e raggiungere l'aeroporto.
Non lascerò che Filippo possa rivedersi in quella canzone. Non lo lascerò camminare da solo.
Spazio autrice
Non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo, l'ho scritto a giugno e l'ho amato da subito. L'ho diviso in due parti, altrimenti sarebbe stato troppo lungo, quindi aspettatevi la seconda parte a breve (anche se quella la devo ancora terminare).
Mi piange il cuore a vedere la fine che si avvicina, ma prima o poi è giusto che succeda.
Grazie per la vostra pazienza e il costante supporto, vi voglio bene.