L'altra metà || Ermal Meta

By x_nuvoledimiele

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"Ma devo ancora darti l'altra metà di un cuore che hai già. Vai via da me, ritorna presto per ritrovare un am... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54 - speciale Natale
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Epilogo
Ringraziamenti

Capitolo 12

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By x_nuvoledimiele

Sei del mattino.

Dovrebbe essere illegale iniziare il proprio turno di lavoro a quest'ora, ma è la prassi quando il giorno prima è stato quello di riposo.

Un compromesso accettabile, diciamo.

Sono troppo stanca e ancora a letto con la testa per poter sfuriare come, al contrario, ieri sera ho fatto ampiamente. Di rabbia da smaltire ne ho ancora a bizzeffe nel corpo e non vedo l'ora che Ermal compaia per sfogarla insieme a lui. Deve essere arrabbiato quanto me.

Anzi, no. Lui non è il tipo da arrabbiarsi, al massimo ci sarà rimasto male.

Sono io quella irascibile, specie se qualcosa va contro ciò che ritengo giusto.

E soltanto un terzo posto per una voce e una canzone come quella di Ermal mi sembra ingiusto a tutti gli effetti.

Non dovrei lasciarmi influenzare tanto dal Festival, eppure ogni anno il mio umore viene condizionato fin troppo dai risultati, è più forte di me.

Approfittando dell'assenza di ospiti in giro - e ci credo, chi vuoi che bazzichi nella hall dell'albergo alle sei del mattino? - vado a prendermi un caffè alle macchinette nel tentativo di darmi una svegliata.

Non appena le mie labbra entrano in contatto con quel liquido caldo rabbrividisco. Ho sempre odiato il caffè senza latte dentro, ma a volte è necessario berne almeno un bicchierino e oggi è una di quelle giornate. Butto tutto giù in un colpo, trovandolo troppo amaro perché incontri i miei gusti, poi butto il bicchiere di plastica nel bidone e torno alla mia reception, dove mi trovo a fare scarabocchi su un pezzo di carta.

È una giornata terribilmente noiosa, i minuti sembrano passare al rilento e riesco solo a pensare a tutti gli ospiti dell'albergo che in questo momento sono chiusi nelle loro stanze a dormire, provando una certa invidia nei loro confronti.

Quando il telefono interno della reception prende a squillare sono sollevata, per lo meno sta succedendo qualcosa. Ma chi diamine può essere sveglio e aver bisogno alle sei e tre quarti?

Prendo su la cornetta e la poso all'orecchio, salutando formalmente chiunque si trovi dall'altro capo del telefono.

«Salve, ehm... temo di aver perso le chiavi della stanza»

Roteo gli occhi davanti all'ennesimo ospite che ha la testa troppo tra le nuvole per ricordare dove diamine ha messo un misero mazzo di chiavi, non sapendo le complicazioni che sostituire anche solo una serratura provoca in una macchina come un albergo.

«Ha cercato ovunque?»

«Sì»

«Ne è sicuro?»

«Certo»

«D'accordo, mi può gentilmente riferire il numero della sua stanza?»

«324, terzo piano. Elettra datti una mossa, ti sto aspettando».

Spalanco gli occhi nel sentire quelle parole che mi fanno immediatamente collegare la voce a un volto che ormai ho ben noto. Certo che sono proprio addormentata per non aver riconosciuto all'istante quel cretino.

Prima che possa ribattere, sento il rumore della linea libera, segno che ha agganciato.

Compongo veloce il numero della sua stanza e attendo finché non risponde.

«Temo che fare visita a un ospite nell'orario di lavoro vada decisamente contro le regole»

«Ma non mi faresti visita, mi aiuteresti soltanto a cercare le chiavi»

«Ermal» lo ammonisco, ma devo cercare di non ridere per essere almeno in apparenza seria.

«Ok, va bene» mormora con lo stesso tono che usa Filippo quando lo sgrido, poi aggancia.

Ancora. Mi ha chiuso in faccia due volte nel giro di trenta secondi.

Oh appena arriva mi sente. Non esiste che qualcuno mi butti in faccia il telefono, per giunta due volte consecutive e le uniche due volte in cui abbiamo parlato al telefono.

Che poi, perché voleva che salissi da lui? So che ha problemi a dormire, quindi probabilmente voleva solo fare due chiacchiere e di certo nemmeno a me sarebbe dispiaciuto, ma ho delle regole da seguire e non posso fare quel che pare a me. Non posso rischiare che qualcuno mi veda entrare nella stanza di un ospite, soprattutto mentre sto lavorando. Non esiste che io vada a rischiare il posto per un ragazzo che ho appena conosciuto. Va bene essere idioti, ma non fino a questo punto. Beh, su questo ringrazio Filippo. Se non avessi il pensiero di lui a casa e del bisogno di soldi da destinare a lui, probabilmente me ne sarei infischiata delle regole e sarei già in camera da Ermal a ridere e scherzare in questo momento.

Il suono dell'ascensore che arriva al piano mi distrae dai miei pensieri, ma il mio sguardo resta fisso sul girasole che sto disegnando in un angolo di un post it, quello in cui avevo segnato il numero della stanza di Ermal abboccando pienamente alla sua cazzata del giorno. A farmi alzare gli occhi dalla mia opera d'arte è il suono del campanello della reception, sorrido prima ancora che il mio sguardo incroci quello di Ermal, sapendo già che solo lui può suonare in quel modo insistente il campanello.

«Stacca immediatamente quella mano da lì» ringhio alludendo alla mano che sta continuando a suonare quel fastidiosissimo campanello.

«Buongiorno anche a te» esclama con un sorriso a trentadue denti, decidendosi a suonare il campanello per l'ultima volta, dando sollievo quindi alle mie povere orecchie.

Un bambino era più che sufficiente, grazie.

«Come fai a essere così allegro?»

«Stanotte ho dormito più del solito, tu hai abboccato come un pesce lesso alla scenetta dell'ospite sbadato che perde le chiavi, finalmente è finita tutta l'ansia della gara... devo aggiungere altro?»

«Intendo per la classifica»

«Beh io sono contento, sono arrivato terzo, è già un ottimo risultato, non credi?»

«Certo, ma meritavi di vincere»

«L'importante non è vincere, ma arrivare ai cuori delle persone».

Già, in fin dei conti ha pienamente ragione e, per quanto possa contare, al mio c'è arrivato eccome. Gli sono bastati tre minuti di canzone e ci è entrato dentro irreparabilmente.

«A che ora finisci oggi?» mi chiede dopo qualche attimo di silenzio.

«Uhm, credo le tredici»

«Perfetto, ho voglia di pizza per pranzo»

«Ehm... okay?» rispondo titubante non capendo il senso di ciò che ha appena detto.

«Tu hai bisogno di un caffè, sei ancora a letto con la testa» dice ridacchiando. Se solo sapesse che il caffè l'ho già preso e che in genere prima delle dieci difficilmente inizio a connettere... «Il mio voleva essere un invito a pranzo»

«Di nuovo? Guarda che ho una dieta da seguire, non posso mangiare a zonzo ogni giorno»

«Ma fammi il piacere, quale dieta! Oggi tu pranzi con me, non accetto scuse. Devo ricordarti che domani riparto?».

Le sue parole mi arrivano addosso come una secchiata di acqua gelida. Domani parte. Va via. Non lo vedrò più ogni giorno. Sapevo che sarebbe stato soltanto pochi giorni, ma io mi ero già abituata alla sua presenza ed è assurdo come così poco tempo abbia cambiato la mia vita. Perché sì, è questione proprio di vita quando si va ad attaccare un'abitudine. La mia giornata lavorativa tipica è stata modificata in questi giorni e non voglio che torni a come era prima, senza un essere che mi tormenta in continuazione e che viene sempre a strapparmi un sorriso.

«Ehi, non te lo dico più se poi ti rabbui così» sussurra con un sorriso dolce in viso, per poi oltrepassare il bancone della reception, porgermi una mano per farmi alzare e abbracciarmi forte.

«A che ora parti domani?» chiedo stringendomi di più al suo petto, lasciando ancora una volta che la mia parte debole sia libera di uscire allo scoperto.

«Tardo pomeriggio» risponde portando una mano tra i miei capelli. «E ti prometto che non ti libererai di me in queste ore che mi trattengono qui»

«Aiuto, mi salvi chi può» esclamo allontanandomi da lui e portandomi una mano alla fronte con fare teatrale.

Ermal inizia a ridere e io non credo proprio di essere pronta a non sentire più quella risata ogni giorno.

Lo osservo poi sedersi al mio posto e incrociare le gambe sul bancone.

«Scusami?» esclamo prendendogli i piedi e buttandoli giù dal mio bancone.

«Ti ho promesso che non ti saresti liberata di me, e io mantengo sempre le promesse» ribatte con fare ovvio, alzando leggermente le spalle e mostrandomi un sorriso beffardo.

Ripeto: mi salvi chi può.

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