SPOTLIGHT

By canyonmoon_stories

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«L'ingenuità sarà la tua rovina, piccola Genevieve.» La sua divisa da cheerleader e il portatile sempre a po... More

00. Tightrope
01. Spotlight
02. Halloween
03. What if
04. Range Rover
05. The Match
06. Everything I Have
07. Backstreets
08. Bad Blood
09. Slowly
10. Tequila
11. For No Reason
12. Defenceless
13. Harmless & Diplomatic
14. Partners
15. Cherry Rolls
16. Goosebumps
17. Illogical
18. Wrong
19. Killer Hill
20. Raindrops
21. Closer
22. Safely
23. No Control
24. Feel So Close
25. Only You
26. Nightmare
27. Agony
28. Wondering
29. Blood
30. Flames
31. Stronger
32. Tempting Devil
33. Broken
34. Wake Up
35. Instincts
36. Cryptic
37. Malware
38. Shivers
39. Broken Hearts
40. Evil
41. Hurts So Good
42. Falling
43. Provocative
44. Heartbreak
45. Body Shot
46. No Lies
47. Beware
48. Same Mistakes
49. Stay With Me
50. Loading
51.1 Half a Heart ~ PRIMA PARTE
51.2 Half a Heart ~ SECONDA PARTE
52. Betrayal
53. Beggin'
54.1. Milkshake ~ PRIMA PARTE
55. Game Over
Epilogo
Ringraziamenti

54.2. Milkshake ~ SECONDA PARTE

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By canyonmoon_stories

Seconda parte.
Assicuratevi di aver letto la prima parte prima di continuare.

ʜᴀʀʀʏ' ᴘᴏᴠ

«Sta svoltando!»

L'adrenalina scorreva veloce nelle mie vene mentre schiacciavo l'acceleratore con tutta la mia furia, cercando di non perdere di vista la Toyota grigia di Courtney. Eravamo usciti dai magazzini il più velocemente possibile, riuscendo così ad individuare senza problemi la sua auto ancora piuttosto vicina.

Mi voltai per un solo istante verso Evie: il suo sguardo determinato fissava la strada di fronte a noi, intento a tenere sotto controllo Courtney e avvisarmi ad ogni sua svolta. La mia mano si posò spontaneamente sulla sua coscia, accarezzandola lievemente in un gesto che non sapevo se servisse maggiormente a calmare lei oppure me. Ero teso, preoccupato, irrequieto. Non potevo lasciare che il suo piano andasse a rotoli.

Evie aveva sempre amato dare ordini, sentirsi al comando di qualcosa, eppure quando lo faceva, ai miei occhi era sempre sembrata solo una stupida bambina viziata. Quando l'avevo conosciuta sapeva farsi rispettare, sì, ma solo perché la gente aveva paura delle conseguenze. Adesso, invece, osservandola in piedi dietro a quella scrivania, con l'intera squadra della CIA che prendeva ordini da lei, avevo visto sbocciare tutta la sua determinazione, il suo coraggio, la sua intelligenza. Ero fiero di lei, ma anche molto preoccupato. Avrei voluto essere sempre lì per proteggerla, ma sapevo che era solo lasciandole libertà che le avrei permesso di spiccare il volo.

Gli pneumatici stridettero sul pavimento asfaltato quando seguii Courtney dietro l'ennesima curva. Cercavo di tenermi a distanza per non permetterle di scoprirci, ma era difficile farlo senza perderla di vista.

«C'è qualcuno lì con lei in auto» esclamò improvvisamente Liam dai sedili posteriori.

Assottigliai lo sguardo per vedere meglio: il sole era ormai tramontato, lasciandosi dietro gli ultimi raggi di luce in un crepuscolo che si sfumava tra le palme del lungomare di Santa Monica. Attraverso quella fioca luce, riuscii a scorgere la figura di qualcuno seduto nel sedile del passeggero di fianco a Courtney. Liam aveva ragione.

«Chi credete che sia? Con chi sta collaborando?» domandò Evie voltandosi verso i miei due amici.

Lanciai una rapida occhiata allo specchietto retrovisore centrale, assicurandomi che Niall e Luke fossero ancora dietro di noi nell'altra auto.

«Potrebbe essere Thomas?»

La bionda controllò davanti a sé, poi si voltò nuovamente verso Liam e Zayn. «No, non é lui» sentenziò con sicurezza.

«Avvicinati» ordinò il corvino.

Gli rivolsi una rapida occhiata confusa prima di riportare lo sguardo sulla strada. «Sei impazzito? Ci vedrebbe»

«Ho un'ipotesi, ma devo vedere più da vicino per esserne certo»

Serrai la mascella e digrignai i denti, prima di sospirare rumorosamente e premere con più forza il piede sull'acceleratore. Se ci avesse visti, sarebbe stata la fine.

Avanzai di qualche centinaio di metri, speranzoso che bastassero a Zayn per capire di chi si trattasse.

«É lui, ne sono certo» dichiarò con convinzione.

«Lui chi?» rallentai, aumentando nuovamente la distanza tra le due auto.

Il corvino prese a digitare qualcosa sul suo cellulare, poi lo mostrò a me e ad Evie. Era la foto segnaletica di un uomo presa direttamente dagli archivi del carcere di Los Angeles. Sul cartello che aveva nelle mani c'era un nome: Neil Hamilton.

«Il padre di Thomas?» domandò Evie incredula, osservando i capelli brizzolati e gli occhi chiari dell'uomo piuttosto anziano nella foto. «Ne sei sicuro?»

«Avrebbe perfettamente senso. É uscito dal carcere la settimana scorsa» spiegò Zayn, controllando le informazioni su di lui dagli archivi sul suo telefono.

«Carcere in cui é entrato a causa di tuo padre» precisò Liam.

Ancora faticavo a credere che Courtney ci avesse tradito dopo tutto quel tempo. Per me non era stata soltanto una collega: era stata una guida, la mia mentore. Mi aveva insegnato come funzionava quel mondo, le strategie, mi aveva fatto sentire parte di qualcosa di immensamente vasto e potente. Avevamo lavorato al caso Spotlight per anni, condividendo momenti difficili e dolorosi, e non potevo credere che il suo scopo fin dall'inizio fosse tradirci in quel modo.

Pensai al momento in cui Evie aveva scoperto la verità su di me e la CIA, a quanto la sua forza e la sua sensibilità dovessero essere grandi per riuscire a perdonarmi dopo tutto ciò che le avevo fatto.

Io non la meritavo, dopo tutti i casini che avevo portato nella sua vita non la meritavo affatto, ma forse amare significava anche essere egoisti, perché avrei fatto di tutto pur di non lasciarla andare.

«Sta svoltando di nuovo» mi avvertì lei poggiando la mano sulla mia, ancora avvinghiata alla sua coscia.

Sospirai nel tentativo di buttar fuori la tensione mentre seguivo la macchina di Courtney, imboccando un viale alberato nel quale iniziò a rallentare. In lontananza, vidi i lampioni accesi di una grossa villa. Mi tenni a debita distanza quando la vidi accostare davanti al cancello. Eravamo arrivati.

«Forse é meglio scendere qui. Potrebbe accorgersi delle macchine» suggerì Evie.

Annuii in accordo, spegnendo il motore e controllando nuovamente che Luke e Niall non ci avessero persi di vista.

«Vado ad avvisare mio fratello di mandare il messaggio con la posizione al signor Tomlinson. Il piano procederà come previsto» la sua voce era dura, determinata. Eccitante - oserei dire.

Scese dall'auto, controllando rapidamente di avere ancora la pistola con sé come le avevo insegnato, poi si diresse verso l'auto di Luke dietro di noi.

«Cazzuta la ragazzina, mmh?» scherzò Liam, tirandomi un pugno sulla spalla con fare amichevole.

Mi si corrucciò la bocca in un ghigno compiaciuto, come se quel complimento fosse stato fatto a me.
«Ha imparato dal migliore» feci spallucce con finta arroganza.

«Cioè me, il suo insegnante di autodifesa» vidi il mio migliore amico indicarsi con orgoglio dallo specchietto retrovisore.

«Che rincoglioniti» ci insultò Zayn con plateale disprezzo, prima di aprire la portiera dell'auto e catapultarsi all'esterno. Lo imitammo, prendendo le nostre armi dal portabagagli e indossando nuovamente i berretti dell'uniforme.

Dopo alcuni minuti, Evie tornò da noi insieme a suo fratello e a Niall, accompagnati dal suono dei loro passi che scricchiolavano sull'asfalto inumidito dal freddo.

«Da ora ci dividiamo» sentenziò lei con sicurezza, «Io cercherò la valigetta, voi farete finta di interrogare mio padre fin quando non ci raggiungerà il signor Tomlinson» ordinò. «Non so quale sia la strategia di Courtney in tutto questo... suppongo che lo scopriremo a breve»

«D'accordo» annuii all'unisono con gli altri. Poi, avvolsi con delicatezza il polso di Evie e la avvicinai a me in disparte.

I suoi occhi color ghiaccio mi scrutarono confusi.

«Sei molto sexy quando dai ordini, sai?» le mormorai, attento a non farmi sentire dagli altri.

Abbassò lo sguardo imbarazzata e, senza i capelli a scivolarle sul volto come al solito, il lieve rossore sulle sue guance risaltò ancora di più.
«Anche la tua uniforme non é affatto male» sussurrò, facendo scivolare le dita sulla cravatta nera che mi cadeva sul petto.

Mi lasciai sfuggire una leggera risata, mentre le portavo uno dei ciuffi che era sfuggito alla sua coda dietro l'orecchio.

«Sta' molto attenta, ragazzina» soffiai cercando il suo sguardo. La determinazione le bruciava negli occhi, offuscando quasi completamente l'innocenza e la vulnerabilità che ero abituato a trovarvi all'interno.

«Sta' attento anche tu, agente» le ciglia scurite dal mascara svolazzarono in un'occhiata vagamente maliziosa, ed io sentii il sangue confluire in un punto ben preciso come ogni volta che mi chiamava in quel modo.

Si sporse verso di me per lasciarmi un casto bacio a stampo sulle labbra, ed io a quel punto dovetti realmente lottare contro me stesso per non caricarmela in spalla e portarla al sicuro a casa con me.

«Ti amo» la voce mi uscì come un soffio, come se quello che avevo appena pronunciato fosse il nostro piccolo segreto.

«Ti amo anch'io» bisbigliò, prima di dedicarmi un piccolo sorriso a labbra chiuse. Poi, si voltò per tornare alla missione.

Giunti di fronte al cancello aperto della villa, Evie si avvicinò al sistema di sorveglianza.
«É già stato manomesso» osservò.

«Almeno Courtney ci sta rendendo le cose più semplici» commentò Niall.

Come previsto, a quel punto ci dividemmo. Evie avrebbe cercato di entrare da un ingresso secondario, mentre io e i ragazzi della squadra ci saremmo occupati di distrarre Peter Gillies.

Procedemmo lungo il vialetto della villa, accordandoci sulle domande che gli avremmo posto e sul modo in cui ci saremmo comportati con lui. Sarebbe stato un approccio pacifico: dovevamo tenerlo occupato per più tempo possibile.

Liam bussò al campanello, mentre io e gli altri estraevamo i distintivi dal portafogli. Dall'interno, si udì il rumore di passi incerti che si avvicinavano.

«Debora! Chi ti ha detto di aprire il cance-» la porta si aprì rapidamente, rivelando il volto irritato del signor Gillies che, non appena ci vide, impallidì.

«CIA» pronunciai, mostrando il distintivo dorato nella mia mano destra, «Le conviene farci entrare, signor Gillies» continuai con aria autorevole.

Peter fece scorrere lo sguardo su me, Liam, Zayn, Niall, e infine su suo figlio. A quel punto, il suo volto si caricò di delusione. «Luke» mormorò incredulo, «Allora é vero...»

Fu la prima volta che colsi un'emozione vera e propria sul volto di quell'uomo. Lavoravo per lui da anni - per diventare il suo braccio destro e far sì che si fidasse ciecamente di me ne avevo dovuta fare di strada - eppure in tutto quel tempo neanche una volta aveva permesso ai sentimenti di prendere il sopravvento. Persino quando mi aveva raccontato della morte di sua moglie, mesi prima, non aveva permesso alla malinconia di indebolirlo.

Luke restò impassibile di fronte alla delusione di suo padre. «Signor Gillies, dobbiamo farle alcune domande» pronunciò semplicemente, invitandolo a farci spazio per entrare in casa.

Alla fine, fu costretto ad obbedire. Non appena oltrepassammo la soglia, i miei piedi si posarono su un grande tappeto a pelo piazzato sul pavimento di un enorme ingresso, sui lati del quale si ergevano con maestosità delle scale in marmo. I lampadari a sospensione di cristallo illuminavano l'ambiente con una luce calda che si rifletteva sulle pareti luccicanti, mentre quadri e piantine davano alla casa un tocco artistico e raffinato.

Non potevo credere che mentre Evie piangeva la sua morte, il signor Gillies fosse in realtà tranquillamente nascosto in una villa di quel calibro, con la cameriera che gli puliva il culo e tanto spazio da poter ospitare le forze armate russe. Più che morto, sembrava essersi preso una vacanza.

Peter ci scortò nella sala da pranzo, dove ci fece accomodare attorno ad un tavolo di legno pregiato.

«Ci teniamo ad informarla che questa conversazione verrà registrata» affermò Liam, procedendo secondo il protocollo. «Qualsiasi cosa lei dica potrà essere usata contro di lei»

«D'accordo, agente..?» domandò Peter, fingendo di non conoscere nessuno di noi eccetto Luke. Quell'uomo era intelligente: sapeva che soltanto dimostrare di sapere chi fossimo sarebbe stata una prova contro di lui e il suo coinvolgimento nella Spotlight.

«Payne. Agente Payne» replicò il mio amico.

«Abbiamo bisogno di informazioni sull'incendio in cui lei, presumibilmente, avrebbe perso la vita» iniziai con fare indagatore.

«Certo, l'incendio da cui sono sopravvissuto» annuì.

«Potrebbe raccontarci la sua versione dei fatti nel dettaglio, per favore?»

Peter iniziò a raccontare la sua storia con minuziosi dettagli: peccato che fossero solo una serie di menzogne. Secondo il suo racconto, era sfuggito alle fiamme gettandosi dal balcone della sua camera, per poi nascondersi in una delle sue ville per proteggersi dal piromane che aveva appiccato l'incendio. Aveva deciso di fingersi morto per nascondersi: qualcuno lo stava minacciando, e quella gli era sembrata la via di fuga più semplice.

Lo osservai durante tutto il suo racconto: era calmo, composto. Nessuno avrebbe potuto immaginare che stesse mentendo. Non c'erano domande che lo lasciassero senza parole: la sua versione dei fatti era perfetta, nessuna falla che potesse renderlo colpevole.

Cercammo di temporeggiare più a lungo possibile, ponendogli quesiti uno dopo l'altro in attesa che il signor Tomlinson arrivasse. Sapevamo che Peter era furbo: a breve avrebbe iniziato ad accorgersi che stavamo cercando di distrarlo da qualcosa.

«Ancora una domanda, signor Gillies» tentò Liam, mentre il signor Gillies iniziava a mostrare segni di impazienza. Leggere rughe di frustrazione gli raggrinzivano la pelle, mentre il suo sguardo oscillava su ognuno di noi in maniera inquisitoria.

«Mi dica» replicò con aria irritata.

«Non ha avuto contatti con nessuno nell'ultimo periodo?»

«Sono stanco» esordì, «Perché non lasciate che sia io, a farvi delle domande» sentenziò poi affilando lo sguardo.

Io e gli altri ci scambiammo una serie di occhiate preoccupate, consapevoli che la sua pazienza avesse ormai oltrepassato il limite.

«Come avete fatto a trovarmi? É stata lei, mmh?» sollevò il mento mentre puntava gli occhi direttamente nei miei, lasciandomi intendere perfettamente che si stesse riferendo a sua figlia.

«Non so di chi sta parlando» mentii, deglutendo profondamente per inghiottire l'agitazione. Dove cazzo era David Tomlinson?!

Peter si lasciò sfuggire una risata amara prima di alzarsi in piedi ed iniziare a camminare avanti e indietro nella sala da pranzo.
«L'amore é sempre stato il punto debole dei Gillies» biascicò tra sé e sé, «Una maledizione: Juliet per me, uno sciocco agente della CIA per mia figlia» scosse la testa con rabbia e disprezzo. «Dovevo aspettarmelo che vi spifferasse tutto»

Un lampo di complicità attraversò gli occhi di tutti noi. La facciata stava crollando: poteva essere l'occasione perfetta per ottenere delle prove contro di lui.

«A cosa si riferisce, signor Gillies?» tentò Niall con voce calma.

Il padre di Evie scoppiò a ridere di buon gusto di fronte ai nostri occhi. «Credete che sia così semplice farmi confessare?» ci guardò con scherno, «Dodici anni che sono nel campo e nessuno é mai riuscito ad ottenere una singola prova contro di me. Perché credete che sia ancora qui, altrimenti?» ghignò con superiorità.

Serrai la mascella, tentando di trattenermi dal rompergli il naso con le mie stesse mani. Che sbruffone.

«Ma aspettate un secondo...» sollevò lo sguardo verso il piano di sopra come se avesse appena avuto un'idea che avrebbe cambiato tutte le carte in tavola. «In dodici anni ho ricevuto decine e decine di interrogatori, ma perché un altro? Perché ora?» ragionò ad alta voce grattandosi la barba con i polpastrelli.

Stava iniziando a capire tutto. Era finita.

«Perché avevamo bisogno di informazioni sull'incendio» tentò di giustificarci Zayn.

Pensai ad Evie. Era riuscita a trovare la valigetta? E se Courtney le avesse fatto del male? Forse sarebbe stato meglio se qualcuno fosse andato con lei, lasciarla sola era stata una pessima idea.

«C'è qualcosa che non quadra» Peter posò entrambi i palmi delle mani sul tavolo, aggrottando le sopracciglia scure con aria provata.

«Si sente bene, signore?» domandò Niall, alzandosi in piedi per avvicinarsi a lui.

«Voi state cercando di-» prima che potesse concludere la frase, un fortissimo frastuono proveniente dal piano di sopra risuonò in tutta la casa.

Evie.

Le avevano fatto del male?

Nella mia mente balenò la sua immagine sofferente, stesa per terra in una pozza di sangue. Il panico mi attanagliò ogni viscere, lo stomaco mi si contorse in una morsa selvaggia.

«Cosa cazzo é stato?» urlò Peter, muovendosi con così tanta rapidità che la sedia finì ribaltata sul pavimento.

L'impulso di correre al piano di sopra a controllare che Evie stesse bene cercava di prendere il sopravvento sulla ragione, ma la consapevolezza che qualsiasi mossa sbagliata avrebbe potuto rovinare il piano mi trattenne i piedi incollati al pavimento.

«Niente» cercai di sminuire, nel disperato tentativo di tenere occupato Peter ancora per un po', «Sarà stata la cameriera»

«Sta' zitto» mi apostrofò, «Vado a controlla-»

Per una volta, la fortuna fu dalla nostra parte: con un tonfo assordante, la porta d'ingresso venne improvvisamente sfondata, rivelando l'imponente figura di David Tomlinson accompagnata da due uomini armati.

Peter si fermò di colpo, gli occhi spalancati e l'incredulità stampata sul volto. «David?» esclamò, con la voce che era un miscuglio di stupore e confusione.

Il signor Tomlinson avanzò deciso, sfiorando con lo sguardo i volti di ciascuno di noi. La sua espressione rimase impenetrabile, un velo di calma e risolutezza che copriva qualsiasi altra emozione.

«Non eri morto, tu?» sibilò con disprezzo, guardando Peter negli occhi dall'alto verso il basso.

«Cosa ci fai qua?» il tono di Gillies fu tagliente come una lama. L'astio tra quei due era tangibile con mano.

Il signor Tomlinson non rispose immediatamente. Il suo sguardo era fisso su Peter, come in una sorta di sfida silenziosa. «Dimmi dove lo hai messo» ruggì a denti stretti.

Peter sembrò ancora più confuso. «Di che stracazzo stai parlando, David?»

L'atmosfera diventava sempre più pesante istante dopo istante, e se da un lato ero tranquillo perché qualcuno stava finalmente tenendo occupato il signor Gillies, dall'altro fremevo dal desiderio di andare al piano di sopra a controllare che Evie stesse bene.

Il signor Tomlinson serrò la mascella con ostilità. «Mio figlio. Dimmi che non gli hai fatto del male o questa volta mi assicurerò personalmente che ti vada a fuoco anche il cervello»

«Non so di cosa stai parlando!»

David scosse la testa lentamente, come se volesse negare le parole del suo collega. «Ti sembra il momento di fare il finto tonto?»

«Se avessi fatto qualcosa a tuo figlio te lo direi subito» sibilò Peter con disdegno, «Non sono come te, che ti sei tenuto dentro per dieci anni di aver ucciso mia moglie» la sua voce tremava leggermente, ma il suo sguardo di sfida era potente e affilato come una pugnalata.

«L'ho fatto per proteggerci!»

Io e gli altri ci lanciammo una rapida occhiata: David aveva appena confessato. Non sarebbe stato difficile farlo arrestare, considerando anche la videocassetta che aveva trovato Evie. Il problema restava sempre uno soltanto: Peter Gillies. Anche se Evie fosse riuscita nella sua impresa, copiare il codice della piattaforma ed eliminarla per sempre, non avremmo potuto ugualmente far arrestare Peter fin quando non avessimo avuto delle prove concrete contro di lui.

«Credi che uccidere la moglie del tuo migliore amico possa farlo sentire protetto?!» la voce di Peter si alzò di alcune ottave, al punto che il suo volto si arrossò dalla rabbia.

Di fronte a quella reazione, gli uomini al fianco del signor Tomlinson caricarono le pistole con aria minacciosa.

Poi, per la seconda volta un forte tonfo squarciò il silenzio a partire dal piano di sopra. Le nostre teste si girarono all'unisono verso l'origine del suono, mentre il mio cuore arrestava il suo battito e un gelido brivido mi percorreva la schiena.

Avrei riconosciuto quel suono tra mille: era stato uno sparo.

ᴇᴠɪᴇ' ᴘᴏᴠ

Le mie dita tremarono attorno all'impugnatura della pistola mentre lentamente la abbassavo, portando lo sguardo sull'immagine di fronte ai miei occhi. Courtney cadde al suolo premendosi con forza la mano sulla coscia ferita, mentre acuti gemiti di dolore lasciavano la sua gola facendomi raggelare il sangue nelle vene.

Il cuore mi palpitava nel petto, mentre con gli occhi spalancati restavo immobile a cercare di realizzare ciò che avevo appena fatto.
Avevo appena sparato a Courtney. Io, Evie Gillies, avevo appena sparato ad una donna.

Sarei voluta scoppiare a piangere, urlare, darmi una pacca sulla spalla per il coraggio e al contempo gridarmi contro per ciò che avevo appena fatto.

Invece, non feci niente di tutto questo. Semplicemente chiusi gli occhi, cercando di cancellare l'immagine del sangue di cui era cosparso il pavimento in marmo della villa di mio padre, e afferrai la valigetta.

«Non riuscirai ad entrare» sussurrò Courtney con voce ansante, «Io non ce l'ho fatta»

Scossi la testa, ignorando le sue parole mentre mi allontanavo da lei rapidamente. Con le mani che ancora tremavano, poggiai la valigetta sul tavolo di una delle stanze del corridoio.

Come se potessi fare un incantesimo per aprirla, cercai invano di sbloccare la serratura.
«Merda» grugnii tra me e me, consapevole che avrei dovuto riuscirci da sola. Non ero brava in elettronica, cazzo.

Digitai alcune cifre sullo schermo touch del dispositivo, percependo il calore del display sotto i polpastrelli. Osservando l'interfaccia del sistema, mi bastò qualche secondo per rendermene conto: neanche mio padre era bravo in elettronica. Quella serratura era digitale, esattamente come un computer.

Un sorriso elettrizzato mi incurvò le labbra mentre i miei polpastrelli iniziavano a muoversi sullo schermo con precisione chirurgica. Iniziarono a prendere forma nella mia mente i ricordi delle lezioni di mio padre e delle notti insonni in cui avevo deciso di spingermi oltre i codici che mi aveva insegnato.

Seguivo ogni connessione come un labirinto intricato: le informazioni sulla serratura, i possibili schemi di cifratura, gli algoritmi che potevano essere utilizzati. Era tutta una questione di logica, creatività e velocità.

Un brivido di eccitazione mi attraversò quando finalmente intravidi una possibile vulnerabilità. Era un minuscolo errore di progettazione nel sistema di autenticazione, un dettaglio di cui neanche il miglior sviluppatore si sarebbe accorto.

Le mie dita volarono sulla tastiera, creando una sequenza di comandi che sfruttava quella falla. Mi morsi il labbro inferiore con forza mentre digitavo gli ultimi codici. Poi, la serratura cedette. Si aprì con un leggero click, rivelando il piccolo portatile nero racchiuso nella valigetta.

«Come... come ci sei riuscita?» la voce incredula di mio padre risuonò d'improvviso all'interno della stanza, «Io non ti ho insegnato a farlo»

Sollevai immediatamente lo sguardo, posandolo sulla sua figura in piedi di fronte alla scrivania. Lo stupore sul suo volto fu ancor più soddisfacente dell'operazione stessa.

«Forse non c'era bisogno che fossi tu a insegnarmelo»
E dopo aver pronunciato quelle parole, afferrai il portatile dalla valigetta e corsi via dalla stanza a tutta velocità.

Cazzo, credevo che Harry e gli altri avrebbero tenuto occupato mio padre più a lungo. Come avrei fatto a copiare i file ed eliminare la piattaforma?

Mi serviva un posto in cui nascondermi, lontano da mio padre e da qualsiasi altro pericolo. Guardai a destra e sinistra all'interno del corridoio, assicurandomi che non ci fosse nessuno, poi corsi verso la porta sul retro da cui ero entrata. Sentivo i passi di mio padre dietro di me, il suo respiro affannoso e i suoi grugniti di frustrazione.

Dov'erano gli altri? Perché non avevano seguito mio padre quando era venuto a cercarmi?

Scesi le scale, ritrovandomi così nel giardino della villa. Strinsi il portatile sotto il braccio con ogni mia forza mentre sentivo il vento colpirmi la faccia ad ogni falcata. Le mie scarpe affondarono nel terriccio umido del prato e mi guardai intorno sotto la luce calda dei lampioni.

«Harry! Luke!» urlai, speranzosa che qualcuno sentisse la mia richiesta d'aiuto. «Vi prego!» il mio respiro era ormai affannoso e il mio corpo era stremato per la corsa.

Fui costretta a rallentare, mentre gettavo una rapida occhiata dietro di me per individuare la posizione di mio padre. I miei occhi si spalancarono non appena mi resi conto che non era lì. Lo avevo seminato, ce l'avevo fatta.

«Metti le mani in alto» la voce di Thomas risuonò improvvisamente nel giardino desolato della villa di mio padre.

Quando mi ritrovai davanti agli occhi la canna della sua pistola, il respiro mi si spezzò nella gola. Come aveva fatto a trovarci? Jessie e Madison stavano bene?

Thomas non era solo. Con lui c'erano Alan, Drake e almeno una decina di altri uomini che lavoravano per lui. Ognuno di loro mi puntò una pistola contro, mentre io li fissavo inerme con la gola secca e il respiro affannoso.

«T-Thomas» soffiai con gli occhi sbarrati, facendo scorrere lo sguardo lungo il suo volto teso. Non sapevo cosa fare. Avrei voluto prendere la pistola dai pantaloni, ma sarebbe stato un movimento troppo brusco per passare inosservato.

«Consegnaci il computer e nessuno si farà male» sentenziò il corvino di fronte a me.

Per quanto avessi sempre sottovalutato le capacità di Thomas, non potevo negare che questa volta mi aveva realmente messa alle strette. Non avevo altra scelta se non obbedire.

Improvvisamente, il suono di alcuni passi che affondavano nel terreno risuonò dietro di me. Mi voltai, seguendo lo sguardo degli uomini di fronte a me, e i cappellini della CIA di Harry, Luke, Liam, Zayn e Niall brillarono sotto la luce gialla dei lampioni del giardino.

Le armi alla mano, gli sguardi impavidi e privi di emozioni. Tutta la squadra della CIA coinvolta nel caso Spotlight si posizionò dietro di me, circondandomi come uno scudo di protezione.

«Il primo che spara, lo ammazzo» ruggì Harry, lasciando che il suono della sua pistola che veniva caricata riecheggiasse nell'aria.

Mi ritrovai al centro di quei due schieramenti che si guardavano in cagnesco, pronti ad uccidersi a vicenda non appena l'altro avesse attaccato. La tensione era alle stelle, il silenzio era assordante. Era incredibile, quella quiete che stava solo aspettando con ansia l'inizio della tempesta.

I miei occhi passavano freneticamente da un volto all'altro, cercando di leggere le emozioni e le intenzioni nascoste dietro le loro espressioni. Thomas sembrava sereno, forse troppo. Aveva un sorriso enigmatico sul volto, come se avesse un asso nella manica pronto ad essere giocato. Gli uomini che lo circondavano avevano un volto tetro e minaccioso: sapevo che erano addestrati e pronti ad eseguire qualsiasi ordine di Thomas.

Dall'altra parte, i membri della CIA erano concentrati e pronti all'azione. Sentivo il respiro lento di Harry, alla mia sinistra, e quello più rapido di Luke, alla mia destra.

«Allora? Questo computer?» mi ammonì Thomas con aria impaziente.

Scossi la testa con la mascella serrata e lo sguardo impavido. «Dovrai passare sul mio cadavere per ottenerlo» ringhiai, la voce carica di rabbia e determinazione.

Il mio sguardo cadde in un punto del giardino poco distante. Mio padre era lì, immobile. Fissava la scena da lontano con impotenza, consapevole che tutto il destino della sua piattaforma fosse nelle mie mani.

«Vediamo se riesco a farti cambiare idea...» fece Thomas malizioso, prima di rivolgere uno sguardo eloquente ad Alan. Quest'ultimo annuì, poi si allontanò per qualche istante. Tornò dopo pochi secondi, e un brivido mi attraversò la schiena quando mi resi conto che stava tenendo per un braccio Madison e Jessie, che avevano i polsi legati dietro la schiena e la bocca chiusa con un pezzo di nastro adesivo.

«No!» urlai istintivamente, osservando il panico negli occhi delle mie migliori amiche. Alan le trascinò fino al centro del campo di guerra che si era creato nel giardino, poi le costrinse a sedersi per terra di fronte a me. Sentii il cuore frantumarsi nel petto e i sensi di colpa divorarmi dall'interno. Coinvolgerle era stata una pessima idea, mio fratello aveva ragione.

«Allora? Mi darai quel computer?» tentò Thomas ancora una volta, mentre due dei suoi uomini puntavano la pistola verso le teste di Madison e Jessie. Le mie amiche mugolarono di terrore, con gli occhi lucidi e le braccia che si contorcevano nel tentativo di liberarsi.

«Lasciale! Loro non c'entrano» ringhiò mio fratello con rabbia.

«Fratellino Gillies in azione..» commentò Thomas, sollevando le sopracciglia per fingere plateale spavento.

In quel momento, pensai di non avere nessuna via di scampo. Qualsiasi movimento mi avrebbe fatta uccidere: provare a scappare, prendere la pistola, ribellarmi, in ogni caso sarei finita morta. Avrei voluto almeno voltarmi un'ultima volta verso Harry e Luke, guardarli negli occhi prima di dire addio per sempre alle persone che più amavo al mondo, ma non lo feci.

«Dio, che lentezza» una voce nuova, a me del tutto sconosciuta, intervenne da lontano. Un uomo sulla sessantina, con i capelli brizzolati e il bastone alla mano, veniva verso di noi zoppicando nell'ombra. Lo riconobbi solo quando si avvicinò a sufficienza: era Neil Hamilton.

«Papà» mormorò Thomas incredulo, mentre l'uomo si fermava accanto a suo figlio e scrutava la situazione con freddezza, come se stesse osservando una partita a scacchi di cui aveva già previsto ogni mossa.

«Non vedevo una scena così lenta dai tempi di Sergio Leone» commentò con aria ammonitoria e insoddisfatta, «Cosa aspetti a spararle e prenderle quel fottutissimo computer?» esortò suo figlio con disprezzo.

«Le sto dando il tempo di collaborare!» si giustificò Thomas.

«Non esiste collaborazione. Non esistono "le buone". Si agisce e basta, Thomas»

Sentivo i ragazzi dietro di me agitarsi, allarmati dall'arrivo di Neil.
«Uno sparo, un solo sparo e ammazziamo tutti» li minacciò Zayn, cercando di convincerli a non iniziare il fuoco.

«Fallo, Thomas» Neil faceva alternare lo sguardo tra suo figlio e me, soffermandosi particolarmente sulla canna della pistola perfettamente allineata con il mio volto.

Sentii l'ansia crescermi dentro, la paura di morire aumentare istante dopo istante. Thomas mi guardava con determinazione, le sopracciglia aggrottate per mantenere la mira e le dita serrate attorno al manico della pistola. Era pronto a sparare, gli sarebbe bastato solo premere il grilletto.

Vidi il suo petto sollevarsi e abbassarsi in un profondo sospiro.

«Avanti...» lo incitò ancora una volta suo padre.

«Io...» ansimò, con gli occhi che erano un miscuglio di rabbia, vergogna, esasperazione. Era in lotta con se stesso, con le sue emozioni.

La speranza mi restituì momentaneamente il respiro. Thomas non mi avrebbe ucciso: lui mi amava, io ero sempre stata il suo punto debole.

«Cazzo, Thomas. Sei una delusione» asserì Neil, «Dà qua» strappò con violenza l'arma dalle mani di suo figlio e, senza neanche darmi il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, premette il grilletto.

Quando il proiettile lasciò quella pistola, il mondo sembrò rallentare improvvisamente, come se ogni movimento fosse trascinato da una forza invisibile. Sentivo il cuore rimbombarmi nei timpani, i suoni esterni farsi sempre più ovattati. Divenne impossibile respirare. Osservai il metallo che si avvicinava con furia, pronto a strapparmi via tutto: il mio futuro, le mie speranze, i miei obiettivi. I momenti felici e quelli tristi, la fretta di crescere e la paura di commettere errori. Quel dualismo di gioia e sofferenza che era la vita, piena di difetti, ma per la quale chiunque era disposto a lottare.

In quel breve istante la paura prese il sopravvento. Quell'emozione smodata mi ottenebrò il cuore e la mente.

Cercai di prepararmi al colpo, ma la verità è che non siamo mai pronti a dire addio a ciò che amiamo. Ed ero certa che sarei stata io a non vedere mai più la luce del sole, a rinunciare ad ogni mio sogno e ogni mia aspettativa, invece, prima che il proiettile potesse solo sfiorarmi, qualcuno si stagliò davanti a me e un paio di braccia mi avvolse fino a farmi da scudo.

I suoi occhi incontrarono i miei, e nel loro profondo riflesso colsi una miscela travolgente di coraggio, amore, paura. Alla fine c'ero riuscita, a guardarlo negli occhi un'ultima volta.

Il suo assordante grido di dolore squarciò l'aria, accompagnando il suono del colpo e il forte impatto del suo corpo con il mio.

La sua stretta si affievolì lentamente, la sua mano scivolò dalla mia spalla. E quando cadde al suolo con gli occhi vacui, il corpo esanime e il sangue che gli usciva dal petto, io fui certa, giurai, che in quel momento ero morta insieme a lui.

//spazio autrice//

ALLORA.
COME STATE???

Questa scena esiste nella mia testa da almeno due anni, era stata praticamente decisa quando ero al primo/secondo capitolo e non riesco a credere che siamo realmente arrivati a questo punto della storia🥹

Ci credete che manca soltanto un capitolo?? No perché io no. Non sono pronta a lasciarli andare😭

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