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(REVISIONATO)

I ALLYSON'S POV I

Tornare a scuola, anche solo per la semplice partita del venerdì, fu strano.

E non perché tutti mi rivolgevano occhiate curiose e alcune anche tristi, ma perché sembravano tutti contenti di vedermi salire quei piccoli scalini della tribuna per posizionarmi al fianco delle mie due migliori amiche. Ricevetti saluti di gentilezza, alcuni si fermarono per rivolgermi la parola e il ragazzo delle cheerleader - quello che mi aveva sempre assillato - mi richiamò dal campo per salutarmi.

Per questo quando presi posto tra le due ragazze, avevo un cipiglio in volto.

«Che c'è Wilson? Hai scoperto che questa scuola non è male?» mi prese in giro Alayna, porgendomi il suo solito pacchetto di patatine. «Oppure l'amore ti porta a vedere il mondo sotto una luce diversa?» alzai gli occhi al cielo e poi la spintonai.

La partita seguì il suo corso, tutti sembravano tranquilli.

Nessuno in campo si arrabbiò, non partì nessuna rissa e soprattutto Wil e il quaterback avversario alla fine si strinsero la mano. Non era una cosa che faceva con tutti, anzi... forse loro erano i primi. Alay mi spiegò che nella squadra avversaria c'erano molti amici dei nostri giocatori, data la stretta vicinanza delle due scuole. E la cosa venne dimostrata soprattutto dal fatto che quando erano caduti a terra, placcati, poi si aiutavano a vicenda a rialzarsi.

Alay ed Eva mi trascinarono con forza alla festa del dopo partita e la cosa, lì per lì, non mi sembrava la scelta migliore. Eppure si fecero accompagnare a casa di Noah, mi regalarono uno dei loro soliti vestitini scollati e striminziti e poi se la filarono insieme ad Adam con la scusa di dovergli chiedere qualcosa.

Uscii dalla camera e percorsi il piccolo corridoio per arrivare all'ingresso, dove Noah era appoggiato al muro e controllava il telefono. Non appena i suoi occhi scuri si alzarono, scivolarono lungo il mio corpo e la cosa mi imbarazzò.

Il vestito verde scuro che indossavo ricadeva morbido sulle mie curve e finiva oltre le pieghe del mio fondoschiena, ma il freddo che percepivo era dovuto soprattutto alla schiena completamente scoperta e avvolta da una serie di lacci intrecciati.

Mi sistemai le due ciocche davanti dei miei capelli biondi e poi lo affiancai.

«Quelle due?» feci un cenno in direzione della casa di Adam a qualche passo di distanza. «Non le dobbiamo aspettare?» si leccò le labbra, socchiudendo gli occhi e spostandosi per andare a chiudere la porta secondaria della villetta.

Faceva l'indifferente, ma andiamo... si capiva cosa gli passasse per la testa quando si leccava le labbra in quel modo e poi mi lanciava quegli sguardi ammonitrici.

«Hanno detto che si faranno accompagnare da Adam o che chiameranno i ragazzi.» annuì, raccolse le chiavi della sua auto dal mobiletto vicino alla televisione e poi mi fece cenno di uscire e precederlo.

Salii in macchina, sistemandomi l'orlo del vestitino e ignorandolo per non eccitarmi. Mi faceva sempre uno strano effetto quando guidava, e soprattutto quando girava il volante con la mano spalancata. «Di chi è la festa?»

«Un giocatore di baseball, non so se lo conosci. Probabilmente ci sei già stata a casa sua, le organizza spesso.» continuai a tenere gli occhi fissi sul finestrino anche quando una delle mie canzoni preferite passò alla radio. Quando arrivammo, fu come se a Noah spettasse il parcheggio per eccellenza.

Spense il motore davanti alla casa e poi si guardò intorno, puntando la sua attenzione sul gruppo di giocatori appoggiato ad un pick up poco più distante. «Vieni con me.»

Per Sempre TuaWhere stories live. Discover now