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(REVISIONATO)

Averla avuta a casa mia per due giorni e trovarla lì quando tornavo da scuola era una delle cose a cui non mi sarei mai abituato.

Avevo chiamato subito sua madre, l'avevo avvertita che sua figlia avesse deciso di restare a casa mia e le avevo dato l'indirizzo. Non potevo nasconderla al mondo, ma apprezzai il fatto che la donna non le fece visita finché non lo avesse richiesto Allyson. La tenevo informata, le raccontavo come stesse, se mi sembrasse deperita o se mangiasse anche quando non ero presente in casa - perché ero costretto ad andare a scuola - oppure se dormisse la notte.

«Come sono andati gli allenamenti?» mi richiusi la porta alle mie spalle e rimasi ad osservarla mentre appoggiavo il borsone a lato dell'ingresso. «Non è cambiato nulla? Ci va ancora giù pesante il coach?» i suoi occhi chiari si alzarono sulla mia figura quando non risposi e mi studiarono.

Annuii impercettibilmente e percorsi quei pochi passi per arrivare al ripiano della cucina, presi posto nello sgabello dell'isola e rimasi a guardarla mentre girava delle fettine di carne nel pentolino.

Fisicamente non era cambiata: aveva ancora il suo colorito ambrato, i lineamenti dolci e gli occhi accesi. Ma non sorrideva più come prima, non guardava più le cose come faceva prima e io non sapevo come fare per aiutarla.

«Tu che hai fatto oggi? Sei rimasta qui?» si girò, appoggiandosi con la schiena al piano di cottura.

«Ho fatto un giro con Adam in realtà, mi ha portata all'officina del padre.» abbozzai un sorriso. «Dice che dovresti essere più presente nella sua vita perché ne ha piene le palle di stare con sua sorella.» scrollai le spalle e mi versai dell'acqua nel bicchiere.

«Non farti infinocchiare comunque, è una persona che ci sa fare fin troppo con le parole.» cercavo di farla sorridere, di farla reagire, eppure i miei numerosi tentativi non sembravano sortire l'effetto desiderato.

Non mi rispose nemmeno, figuriamoci accennare ad un sorriso.

Passammo la cena senza neanche parlare e per la prima volta in vita mia mi ritrovai in imbarazzo e soprattutto in difficoltà. Avevo sempre avuto le parole giuste in ogni contesto, non avevo mai sbagliato, eppure al suo fianco in quel momento non trovai anche solo un discorso da far iniziare.

Lavai i piatti e la pentola, permettendole di andare a dormire, e una volta finito mi rifugiai sotto il portico di casa sperando di non svegliarla quando Adam venne a farmi compagnia. Era una cosa che facevamo ogni sera, un'abitudine.

«Come va?» non andava bene perché lei sembrava letteralmente uno zombie, ma non andava nemmeno così male. «Te l'ha detto che oggi l'ho portata con me?» annuii. «Come me parla, non sembra stare male.»

«E invece sta male.»

Il telefono squillò, risposi alla chiamata di sua madre e la informai di ciò che aveva fatto oggi. Sembrò più tranquilla, ma poi mi soprese.

«Non ti preoccupare per lei, è forte e ritornerà come prima.» si sentiva che ero così disperato, davvero? Interessante. «Ha fatto così anche quando è morto suo nonno, ha bisogno del suo tempo.» la ringraziai, salutandola, e poi chiusi la chiamata.

«Che hai intenzione di fare domani? La porti alla partita?» scrollai le spalle e poi lanciai uno sguardo alla casa.

«Non posso obbligarla a fare qualcosa che non le va di fare.» mi sedetti sulla staccionata bianca del portico e lo guardai negli occhi mentre mi accendevo una sigaretta. «Alay la vorrebbe vedere, ma ha paura di soffrire vedendola stare male.» gli dissi.

«Beh. Se guardiamo le tue momentanee condizioni, la paura verrebbe a tutti.» sapevo che avesse ragione. «Insomma, non sembri essere proprio in forma.» abbozzai un sorriso e lui ricambiò. «Perché non passi del tempo con lei? Con la scuola e gli allenamenti, la vedi solo la sera a cena.»

Per Sempre TuaWhere stories live. Discover now