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(REVISIONATO)

Mi sedetti sulla comoda panchina posta di fronte ai binari della metropolitana, infilai le cuffiette nelle orecchie e feci partire la mia amata playlist. Quella che avevo appena finito di aggiornare dopo un'estate piatta e monotona.

Era una cosa che facevo spesso: andare alla metropoli per guardare i treni fermarsi davanti al mio sguardo perso. Era una cosa che mi piaceva, che mi faceva sentire parte di una società, parte di un gruppo. Perché non mi ero mai sentita compresa durante gli anni, eppure quando mettevo piede in quel posto sembravo una dei tanti.

Una che aveva una vita faticosa, piena di cose da fare e di persone da aspettare all'aprirsi delle porte di una delle tante linee. Una che aveva impegni su impegni e doveva correre da un posto all'altro, una che aspettava qualcosa o qualcuno.

Qualcosa - o qualcuno - di grande, di valoroso.

E mi sentivo compresa, mi sentivo parte di quello che era la vita. Mi sentivo una pedina dell'universo, anche se considerata come quella che nessuno muoveva perché sicuri di sbagliare, perché non avrei portato a nulla muovendomi.

E così aspettavo, su quella panchina fredda e isolata in quella metro. Aspettavo qualcosa, aspettavo un cambiamento. E spesso pensavo anche di vederlo, senza sapere che il cambiamento più grande sarebbe arrivato. In modo forte, prepotente, ma anche misterioso e oscuro.

Un cambiamento drastico e sofferente.

Qualcosa che entra nella pelle, riesce a fare forza sui sentimenti e ti strugge a terra. Qualcosa che fa male, ma fa anche dannatamente bene da sentire pulsare in mezzo al cuore la gioia. Qualcosa che riempie il mondo di colori e di vita, di cose meravigliose e straordinarie, di pazzia e felicità. Qualcosa che fa bene all'anima, qualcosa senza la quale vivere fa troppo male.

Sorrisi nel vedere un piccolo cane scodinzolare libero lungo la pavimentazione che portava ai binari: annusava e si avvicinava a tutti con il tentativo di trovare anche un misero pezzo di pane. Non mi vide, tirò dritto e poi si fermò prima di varcare le porte del piccolo bar della metro.

Frugai dentro il mio zaino e poi lo richiamai gentilmente, alzando la voce quando si allontanò un po'. E poi mi individuò in mezzo a quel vociferare, in mezzo alla confusione. Ma molto probabilmente notò più che altro la merendina tra le mie mani che me, eppure mi fece felice vederlo scodinzolare verso di me.

Si lasciò accarezzare solo dopo che mi annusò completamente da cima a fondo, addentò la merendina al cioccolato ma non mi fece male. I suoi baffi quasi invisibili sfiorarono la mia pelle chiara mentre io lanciavo la cartaccia dentro il cestino a qualche centimetro dalla mia figura.

Una linea arrivò a destinazione sui binari, le porte si aprirono e una massa di persone si riversò lungo la stazione. Osservai ogni passante con sguardo attento, con un sorriso flebile sul volto ma gli occhi spenti, quasi persi in qualcosa che non sarebbe arrivato.

Il cane ormai chino sui miei piedi mentre ronfava rumorosamente, e sarebbe stato possibile udirlo se solo le voci delle persone che ci circondavano si fossero abbassate e se il casino che marchiava l'aria si fosse azzerato.

Sorrisi, troppo debole a quella visione, e poi mi inarcai sulla panchina. Incurvai le spalle e mi portai le ginocchia al petto, stringendo le gambe con più forza quando l'ennesima canzone rimbombò nella mia mente.

Un'altra linea arrivò e il procedimento fu lo stesso di sempre, di tutti i giorni, di tutto l'anno: la zona quasi vuota si riempì, le persone iniziarono a correre a destra e sinistra - cercando di non scontrarsi con le altre - e poi tutto ritornava normale, tutto si spezzava e ritornava quella quiete quasi inquietante.

Per Sempre TuaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora