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(REVISIONATO)

Avevo il cuore in subbuglio.

«Perché io?» infilai le mani dentro le tasche e puntai il mio sguardo sul suo, dispiaciuto e afflitto. «Perché ha voluto questo? Come ha fatto a ricordarmi?» Alay scrollò le spalle e mi passò un biglietto che riportava una calligrafia davvero disordinata e traballante.

«"Non sono stupido, so che la mia fine sta arrivando."» la mia voce s'incrinò. 

«"Da mesi ricordo una sola persona, vorrei che lei venisse a sistemare la mia camera. Vorrei che prendesse i miei libri, che entrasse nella mia mente per tenere vivo il mio ricordo."» era così triste. 

«"Non ricordo di avere familiari, non ricordo nulla di una ipotetica famiglia."» alzai lo sguardo sulla mia migliore amica e mi morsi l'interno della guancia prima di finire di leggere. 

«"Vorrei che lei gli portasse ciò che non vuole tenersi, vorrei che loro mi capissero fino in fondo ora che non ci sarò più. Sempre se li ho."» ripiegai il biglietto e sospirai a fondo.

Era così strano. Perché si ricordava di me? Come aveva fatto? L'avevo visto mesi prima e solo per poche volte.

«Mi dispiace che sia tu a doverti prendere l'impegno, sai che può comunque farlo l'ospizio.» scossi la testa. Non era giusto, Marius non c'era più ma comunque avrei rispettato le sue volontà. E se le sue volontà volevano che io portassi le sue cose ai suoi familiari, allora non mi sarei tirata indietro.

«Ce la posso fare.» mi fece cenno di seguirla, mi addentrai nei vari corridoi di quell'edificio e sorrisi ai diversi vecchietti che mi salutavano con gentilezza. Quando la porta della sua stanza si aprì, ne rimasi sorpresa. 

Quella camera strabordava d'arte. I quadri appesi sulle pareti rovinate a causa dell'umidità, i dischi in vinile appoggiati sul mobile al fianco della finestra che dava sul giardino dell'ospizio e tutte le montagne di libri che erano appoggiate sul pavimento.

Mi voltai verso Alay e vidi il sorriso sul suo volto, poi mi fece spazio per entrare e richiuse la porta alle sue spalle.

«È sempre stato un amante dell'arte. Chiedeva persino di voler uscire la domenica pomeriggio per andare a guardare gli spettacoli a teatro e si impuntava così tanto che era difficile spiegargli che non funzionava più come un tempo.» sorrisi, guardandomi intorno.

«Credo che quando ti ha conosciuto, ha visto in te la sua stessa passione ed è per questo che ti ha ricordata.» si sedette sul letto dalle coperte bianche. «Diceva che gli ricordavi i sabati sera a ballare, le domeniche a teatro, le donne nei quadri.» afferrai il primo libro di una delle tante pile.

Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy.

La copertina sfumava sui toni del blu e vedeva in primo piano quelle che credevo essere delle foglie bagnate dalla pioggia e degli steli in secondo piano. Lessi la trama in quel silenzio che mi circondava e riuscii a sentire la sua presenza al mio fianco. Le pagine, ormai ingiallite, mi davano la sensazione di qualcosa vecchio ma vissuto e odoravano di buono. Di cocco e vaniglia, di libertà. 

Poi la voce di Alay mi fece ritornare alla realtà. «Era di sua moglie, lo ha ricordato solo una volta.» per poco non mi caddero le braccia. «Ecco perché è il primo libro della prima pila di libri.»

«Capisco davvero perché tu ami lavorare qui.» riappoggiai il libro al suo posto. «C'è così vita qua dentro, e non dico solo in questa stanza.» la mora, ancora seduta sul letto di Marius, annuì. «Ci sono così tante cose da apprendere da loro.»

«Marius era particolare però.» per quello che avevo capito di lui sì, era veramente una delle persone più affascinanti che avessi visto. «Come lo sei tu Allyson.» mi spostai davanti alla seconda pila e raccolsi il primo libro.

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