Atto II - Capitolo 24 - Rio Da Muerte

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Se avessero mai dovuto chiedere una cosa che Adriano non avrebbe mai sopportato, una su tutte sarebbe stato svegliarsi di buon mattino per arrivare puntale sul posto di lavoro, ma riuscire a ritardare comunque per un qualche tipo di imprevisto.

Adriano Soares Silva, un giovane ragazzo di ventidue anni, dai capelli ricci nero petrolio, occhi marroni, dalla carnagione decisamente più che abbronzata e con un fisico ben delineato per la sua età, non stava facendo altro che imprecare per l'ennesimo imprevisto della giornata.

Rovistò a lungo la propria camera in cerca dello smartphone, comprato da poche settimane dopo mesi di spiccioli messi da parte. Per il ragazzo, ottenere un apparecchio simile non era altro che un lussuoso privilegio. Dopotutto, la sua non era altro che una famiglia appartenente al ceto medio basso, che abitava in una delle tante case popolari strutturate in decine di piani, in cui venivano accatastate centinaia di famiglie come la sua.

«Adriano, la colazione! Sbrigati se non vuoi far ritardo a lavoro!» lo richiamò sua madre, Marlene, una donna di mezz'età dai capelli lunghi e scuri come quelli del figlio.

Quest'ultimo sbuffò, spruzzando frustrazione da tutti i pori, sfogandola con un pugno sull'anta dell'armadio e uscendo dalla camera, portandosi con sé uno zaino piuttosto capiente, colmo dei suoi effetti personali che gli sarebbero serviti durante la giornata.

Giunto nella cucina dalle fattezze semplici ed umili, si ricongiunse al tavolo con il resto della famiglia, ovvero suo padre Horacio, un uomo snello e calvo sulla cinquantina, sua sorella Alina, una ragazza di diciassette anni, unica della famiglia ad aver proseguito gli studi e, infine, il fratello minore, Raul, di soli dieci anni.

Adriano trovò i genitori che discutevano delle solite spese mensili in cui incorrevano e sulle difficoltà economiche che ormai li attanagliavano da tempo, poiché gestire una bancarella di frutta e verdura non sembrava essere più sufficiente per tenere in piedi un tenore di vita quanto meno dignitoso.

Il giovane brasiliano sospirò, addentando una mela presa al volo e dirigendosi verso la soglia di casa, pronto all'ennesima giornata da dipendente di una pizzeria che avrebbe colmato quelle lacune di portafoglio che il padre, nonostante i sacrifici, non riusciva a colmare.

«Sta' attento» e «Buon lavoro, figliolo» gli fecero i due adulti, accorti del fatto che il loro primogenito stesse uscendo di casa.

Chiusa la porta dell'appartamento, il ragazzo strinse lo zaino fra le spalle, scendendo agilmente quei tre piani di scale che lo distanziavano dal suo scooter.

Adriano si immerse dunque nel traffico mattiniero di Rio de Janeiro e, per ogni volta che si fermava a causa di un ingorgo, osservava con il suo solito stupore quel cielo azzurro di quella mattina così calda, umida e soleggiata, ma marcato incessantemente per diversi giorni da quelle numerosissime scie luminose vorticanti. Quell'evento, ripetutosi per la seconda volta nel giro di più di un anno, che aveva completamente scioccato e, allo stesso tempo, entusiasmato il mondo intero, era il continuo argomento di dibattito fra Adriano e il suo fratellino Raul, impressionato da sempre da quello scenario.

Ripensando al piccolo, il primogenito dei Soares Silva sorrise per un attimo. Un istante che durò però pochi secondi, quando quella voce, un sussurro nella sua testa che aleggiava da quasi due anni, ovvero dal momento in cui una folgore lo aveva straordinariamente colpito in pieno, nonostante si trovasse dentro casa, mandandolo in coma per tre giorni, portando apprensione e preoccupazione alla sua famiglia.

«Sono passati almeno due giorni... e sono ancora lassù, aspettando chissà cosa.»

«Magari è un semplice evento astronomico, sconosciuto a molti ma più probabile delle tue presunte allucinazioni e dei tuoi continui racconti» replicò il giovane, che aveva assunto un'espressione di puro scetticismo.

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