Atto III - Capitolo 61 - L'Impostore

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Quanto è disposto a farsi sottomettere un uomo?

Nel corso del tempo, l'uomo non si era sottomesso alla natura, all'evoluzione, tanto meno al destino infame, segnato da un sociopatico genocida. Per quanto poteva, aveva reagito. L'umanità era stata decimata, ma forse aveva ancora possibilità di avere un futuro.

Quanta sofferenza può arrivare a sopportare un uomo?

Pur di sopravvivere, un uomo avrebbe potuto accettare qualsiasi dolore, purché dinanzi a lui si potesse scorgere ancora quella piccola luce in fondo al tunnel, la speranza ardente che avrebbe concesso a chiunque di compiere uno sforzo in più, un balzo in avanti oltre ogni aspettativa e limite che un individuo pensava di avere. Il vero problema era cosa sarebbe potuto diventare un uomo, assorbendo così tanta sofferenza dentro di sé.

"Quanto è disposto a mettere in gioco, anche a costo di sacrificarlo, un uomo?"

Sin dall'alba dei tempi, l'essere umano era stato sempre accecato da una precisa maledizione: l'ambizione. Nella storia, gli uomini dall'animo più saldo e determinato furono decisi a sacrificare tutto il necessario per raggiungere lo scopo finale, il loro traguardo, l'obiettivo definitivo.

Quella domanda rimbombava ancora nella mente di Ed, nello stesso modo e con la stessa voce metallica con cui il Mascherato gliel'aveva formulata. Il giovane, guardando il Manufatto, ne conosceva la risposta. Pur di salvare ciò che gli rimaneva di più caro, avrebbe rischiato l'Universo stesso. D'altronde, a cosa sarebbe servito vivere senza più motivazione alcuna per andare avanti?

«Master, li ho cinque minuti?» domandò pacatamente, con gli occhi fissi sull'orizzonte in fiamme.

Dobbiamo viaggiare attraverso lo spazio e il tempo, è indifferente ragazzo, sibilò l'entità aliena.

Il giovane si accasciò a terra sulle proprie ginocchia, con le mani fra i capelli mentre cercava di strozzare invano un pianto liberatorio.

Ritornarono a galla le immagini del suo cane, disteso a terra privo di vita, l'odore di stantio all'interno della sua casa devastata, i corpi mutilati della sua famiglia che giacevano in mezzo ad una pozza di sangue essiccata. Ripensò all'esplosione che si era portato via Lara, a quella pugnalata fatale sulla schiena di Kit, alle parole di Murwa, che non riusciva più a sentire il suo amico Al.

Alessandro. Non aveva nemmeno avuto il modo di potergli dire addio. Lo volle ricordare con quei capelli biondi ramati tirati all'indietro e lo sguardo fiero. Poi, il vuoto più buio e tetro, capace di far rannicchiare chiunque nell'angolo più remoto del mondo, nella solitudine più totale. Un esilio forzato, perché gli era stato tolto tutto e tutti quelli che amava. Aveva pure ucciso il responsabile di quella piaga, ma con quella vendetta non gli era tornato nulla e nessuno. Era una vendetta, un occhio per occhio. Non aveva aggiustato nulla.

Non puoi mollare adesso, lo esortò Murwa.

«Lo so» singhiozzò Ed. «Lo so. Ma sono stanco. Sono stanco di tutto questo, Master. Non è giusto.»

Tirò su col naso e si asciugò le lacrime. Poi si sedette nel prato, accanto a quell'imponente albero alieno, simile ad una quercia secolare.

«Non sono riuscito a cambiare nulla» continuò, scuotendo la testa.

Non è detto, magari quando torniamo le cose son diverse, addolcì la pillola l'alieno.

«Quel bastardo è riuscito a fuggire. Riaccadrà tutto quanto.»

Ci fu una pausa nel loro discorso, che venne sostituita dal frusciò delle fronde degli alberi e dal battito di ali di un piccolo stormo di uccelli appena decollato da quella chioma rigogliosa.

Sorcerers Against - EndlessWhere stories live. Discover now