Prologo (Parte 5) - Un bravo padre e un diseredato arrabbiato

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Shingo Sawatari di solito non veniva svegliato. Escludendo il fatto che trovasse quasi sacrilego l'atto di interrompere quello che era il suo sonno di bellezza, lui odiava che si entrasse nella sua stanza mentre lui era indifeso e, soprattutto negli ultimi tempi, i poveri elfi domestici che avevano tentato solo l'adempimento del loro dovere – ovvero servire i loro padroni – per poco non avevano rischiato una defenestrazione che richiamava molto quella avvenuta nella Praga dei babbani.

Ecco perché, quando qualcuno aveva tentato di scrollarlo per la spalla, egli si era subito allarmato. Non aveva ancora registrato di essere lontano da casa, troppo intontito dal sonno per capire la novità, e comunque aveva già capito di non trovarsi in una situazione normale. È facile immaginare quindi il suo urlo di terrore quando vide su di lui una figura incombere minacciosa, enorme e nera e sconosciuta. Sobbalzò letteralmente, rimbalzò sullo scomodissimo pavimento che gli aveva annichilito le giunture e strisciò lontano di pochi centimetri, i giusti per inquadrare il pazzo che aveva invaso la sua privacy per fargli chissà cosa. In quei secondi di terrore l'informazione del luogo in cui si trovava entrò a stento, e solo per giustificare il pericolo nel quale era andato a cacciarsi.

Quanto era stato stupido! Era ovvio che una casa deserta attirasse spacciatori, senzatetto, criminali di ogni sorta e specie, babbani o magici. Lui non conosceva incantesimi di protezione, altrimenti li avrebbe usati e...

L'idea di quegli incantesimi gli ricordò improvvisamente la sua bacchetta, e come un disperato l'afferrò per puntarla contro il suo nemico. Non era bravo negli incantesimi offensivi, ma qualcosa doveva pur farla, no? Era troppo giovane e bello per morire.

"Ti prego, abbassa quell'arma. Non voglio che ti scappi un incantesimo pericoloso. Vedi?" aggiunse, alzando le mani "Sono disarmato. E non sono un mago, quindi non ho nessuna bacchetta"

Ah, quindi era un babbano...

Un babbano. Lui aveva appena mostrato la sua bacchetta ad un babbano.

Per una cosa simile condannavano, al Wizengamot. Non tanto da farti finire ad Azkaban, certamente, ma abbastanza da levare la bacchetta al mago permanentemente. Il che, a pensarci, non doveva essere un suo problema: aveva usato la magia, quella sera, e l'aveva fatto anche più volte. In teoria non dovevano già essere arrivati i funzionari del ministero a distruggergli la bacchetta davanti al suo naso?

Non ci stava capendo nulla. Come non capiva come mai quel senzatetto, chiunque fosse, non tentasse nulla, né la fuga né l'attacco. Anzi, continuava a stare fermo come un imbecille, come a cercare un dialogo.

Un dialogo, con lui?

"Si può sapere chi diavolo sei?"

"Non un malintenzionato, puoi credermi sulla parola" fece l'uomo, con un sorriso.

"Proprio quello che direbbe un malintenzionato!"

Ma era scemo o fingeva? Lo guardò meglio, cercando di capire se poteva conoscerlo, solo per dedurre che no, quel barbone non rientrava tra le sue conoscenze – e grazie tante, si sarebbe dovuto dire. Non trattava con omaccioni dalla barba incolta, i capelli spettinati e sporchi e una faccia che non brillava per intelligenza. Le iridi castane dello sconosciuto lo scandagliavano a sua volta ma, nonostante in Shingo brillasse la diffidenza, l'altro continuava a sorridere come un ebete.

"Adesso io me ne vado" fece il Grifondoro, tenendo sempre puntata la bacchetta "Prova a seguirmi e..."

"Permetti almeno che ti faccia una domanda, prima di lasciarti andare via?" fece l'altro, sempre sorridendo.

"Una sola" disse il ragazzo – e non si rese conto che quella conversazione sapeva di dejavù, visto che aveva dato la stessa risposta che Yuri Greengrass aveva snocciolato a lui la sera della fuga.

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