Terzo Epilogo - Expecto Patronum

49 4 26
                                    

Se davvero fosse morto, quella notte, Sirius Black avrebbe chiamato in causa tutte le sue reincarnazioni per espiare le sue colpe e portare a compimento i suoi propositi. Se Peter Minus avrebbe davvero visto l’alba di un nuovo giorno – e non contava nemmeno, il vederla dalle buie e fredde sbarre di Azkaban – lui avrebbe chiesto al cielo, al Dio in cui non credeva, al mondo... perfino a Yusho, quasi, di far sì che quell’uomo non conoscesse almeno la speranza di arrivare fino al domani. Che si pentisse di quanto fatto, che andasse a desiderare il suicidio; nemmeno i cieli, probabilmente, avrebbero voluto la sua anima lercia.
E, purtroppo, Sirius Black stava fallendo. Non perché aveva appena perso contro il topo – sarebbe stato davvero imbarazzante, una simile prospettiva - ma perché la sua cocente rabbia aveva permesso ai Dissennatori di avere appetito della sua anima, e nei loro struggenti baci di morte cercavano continuamente di richiamarlo accanto a quell'amico che credeva non avrebbe mai più rivisto. 
Stava per morire, Sirius Black, dopo aver visto il suo carnefice divenir nuovamente impercettibile e dileguarsi nella notte, dopo aver visto il suo adorato nipote accasciarsi sul pavimento sudicio della stanza, dopo aver visto le ombre nere, emissari della notte, farsi strada lì dove la loro presenza era meno richiesta... e presto, di Sirius Black, sarebbe rimasto solo un involucro vuoto a loro simile. Il suo destino stava per concretizzarsi nel peggiore dei modi.
“Expecto Patronum!”
Gelido nella luce candida evocata, il drago di Yuya scalfì le tenebre in un grido inudibile. Muro impenetrabile intessuto di soli ricordi felice, eppure l’unico vero incantesimo in grado di spezzare le barriere nemiche senza lasciar scampo alla loro eterna dannazione. Magia di altissimo livello, di quel potere che nessun fattucchiere ordinario avrebbe certamente potuto vantare... ma Yuya Sakaki – quel piccolo genietto che, non per nulla, aveva certamente i geni dei Black a renderlo ancora più eccezionale di quanto già non fosse – non era colui che si adeguava alla stregua dei normali coetanei, quando la luce del palco poteva acclamarlo come unico protagonista. E lì, come unico spettatore un avanzo di galera più pallido della morte stessa, splendette come l’effigie delle stelle sul nero mantello di notte, e rapiva gli sguardi nella fierezza di una posa che suggeriva audacia, coraggio, grinta e desiderio di rivalsa. Il degno erede di Godric Grifondoro, e il degno erede di quella testarda di Yoko, guerriera sotto strati di autorevole controllo.
Yuya Sakaki doveva essere poco cosciente di chi giacesse a pochi passi da lui; Yoko aveva usato fine scaltrezza per allontanare con garbo l’ingombro macabro della sua pura famiglia dal caldo focolare che si era ricreata dopo tante fatiche, nel mezzo di una guerra che aveva minacciato di ucciderla e che lo aveva fatto sottraendole chi amava. La magia stessa, in fondo, non era divenuta per lei altro strumento se non il perfetto mezzo di pulizia domestica che garantiva il massimo impegno col minimo sforzo, e con il suo  marito babbano si sforzava, ella, di ricrearsi agli occhi di una normalità scevra dalle colpe magiche che ingiustamente vedeva su se stessa. In tutto questo, nonostante il bene che le aveva sbandierato a natale, Sirius comprendeva quanto le sue labbra fossero ancora sigillate al pensiero di dire al figlio che il pericoloso criminale, colui che era stato condannato per uno dei peggiori crimini della storia e colui che veniva ritenuto il braccio destro del peggior demone della storia magica, aveva legami di sangue tali da richiedere affetto sincero e nomi che collimavano con deferenze familiari... lui doveva essere, se non l’incarnazione del male, almeno ciò che diveniva il male stesso, e in sostanza colui che avrebbe ottenuto redenzione solo con la sua morte; e invece, oltre la soglia delle comuni convinzioni, il ragazzo si faceva eroe di una guerra velenosa contro l’infelicità resa ombra concreta, e nella luce candida del suo drago, un mostro di eclatanti dimensioni che nemmeno riusciva a destreggiarsi nella stamberga senza evanescere nei confini della stanza, strappava una eclatante vittoria con la durezza di chi non avrebbe dovuto gioirne.
Cadde in ginocchio, Yuya, la bacchetta ancora tra le mani, lo sforzo di  un potere tanto forte usato per un tempo perdurato quasi ore, agli occhi dell’evaso; le iridi cremisi, che lo cercavano appannati, erano colme di tanti e contrastati sentimenti, ma nessuno che cercasse la traduzione nell’odio.
“Stai... stai bene?” chiese il giovane, con affanno.
“Io... si... credo” le sinapsi non avevano più la forza di collaborare “Perché... perché mi hai salvato?”
Sorrise, il ragazzo dal viso perlato di stanchezza, mentre gli si rivolgeva con arrogante gentilezza.
“Perché non avrei dovuto?”
E Sirius Black, obbedendo ad un ordine inconscio dettato dal cuore, corse verso quel giovane sfiancato dal suo stesso atto eroico, e lo accolse nelle sue braccia cercando, in lui, un qualcosa di dolce che nemmeno avrebbe saputo definire, ma che scavava nelle sue guancie con lacrime ardenti e singhiozzi poco trattenuti. Lui, il grande Grifondoro, colui che viveva nei motteggi contro Mocciosus e contro tutti coloro che non erano degni della sua spavalderia... era una figura molto magra, quella in cui si mostrava, ma non se ne curò, e non tanto perché nessuno poteva davvero osservare tanta debolezza quanto perché il bisogno di lasciarsi andare ne occludeva la gola impedendogli perfino di respirare nell’aria polverosa del rudere che li ospitava.

Quella notte, però, lungi dall’avere un finale lieto, stava per approssimarsi nel climax del suo grande orrore. Un orrore dipinto nel candore della luna piena, nella sventura che conduceva i passi di un certo insegnante nei loro dintorni, con la preoccupazione a rendere d’obbligo un suo rapido incedere per ritrovare colui che sembrava andare sempre alla disperata ricerca di un grande guaio. Sapeva quale luogo minacciava di essere l’ultimo di Yuya Sakaki perché il suo istinto sovraumano rendeva a lui visibili tracce altrimenti inutili, assieme all'udito che afferrava sinistri stridori e all’olfatto che osservava una pista quasi defunta.
Era però un errore, per quell’uomo, avventurarsi in un ambiente tanto fatiscente, come fu un errore credersi l’aiuto che occorreva per chiamarsi salvi.
Perché Lupin, nel suo grande stato d’agitazione, dimenticò l’accortezza di Piton e la pozione che era solito preparargli.
Perché Lupin, quella notte, divenne quanto di più simile ad un mostro sanguinario potesse esserci

(Fine seconda parte)

Harry Potter Au Collection Arc V EditionWhere stories live. Discover now