Gli eredi di Grifondoro

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"Voi non porterete disonore alla casa di Godrick Grifondoro comportandovi come una balbettante bambocciosa banda di babbuini... ma con chi crede di avere a che fare, la McGranitt? Non sa che il grande Shingo Sawatari è un leggiadro e stupendo ballerino? Un vero spettacolo per gli occhi? Verrà Godrick stesso a complimentarsi con me!"

"Tanto meglio, perchè io invece non so muovere un passo, senza uccidere qualcuno" esclamò mesto Yuya, camminando con lo sguardo rivolto ai piedi scoordinati "Senti, non è che mi daresti qualche lezione di ballo extra?"

"Io, il grande Shingo Sawatari, costretto a danzare con un uomo? Sia mai, ma non disdegno di aiutare le gentili donzelle"

"Quindi potresti aiutare me?" chiese Yuzu, nello stesso stato d'animo di Yuya.

"Quale parte di gentile donzella non ti è giunta alle orecchie?”

Mentre un improvvido Grifondoro rischiava di lasciare il mondo dei vivi per colpa delle ire di una Yuzu furiosa, venne ad udirsi un grido stupefatto che la Signora Grassa, ovvero la guardiana della loro Casa, si era involontariamente lasciata sfuggire quando un tornado di terra ne aveva quasi rovinato i colori pigmentati.

E se qualcuno riconobbe, in quella fisionomia, l'aspetto severo della giovane Serena, nessuno ebbe davvero il tempo di chiederle per quale motivo si fosse trasmutata in un cataclisma ambientale, perché mentre tutti si lamentavano dello schiamazzo del quadro, ella aveva già carpito il polso del povero Purosangue per trascinarselo dietro.

Yuzu e Yuya, rimasti improvvisamente soli, si chiesero cosa fosse appena successo. Gli sguardi degli astanti rimandarono indietro il loro stesso stupore.

***

"Ma si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?! Volevi forse uccidermi?"

Rigida in una posa austera che ne denunciava il nervosismo, la giovane Rosenward fissava il suo compagno di casa con un misto di paura e follia, che ne bagnava le iridi d'acquamarina di sinistri lucori. Sinistri certamente per il povero Shingo, che nell'arco di due miseri secondi fece appello a tutti i peccati della sua vita per capire a causa di quale atto nefando stesse per ricevere una giusta o meno punizione.

Tuttavia fu la stessa Serena a placare le sue arie di gravità, chinandosi violentemente al suolo fino a sederglisi accanto, ai piedi di una scala deserta e quindi polverosa nel non essere mai usata né dagli studenti, né dai professori.

"Hai detto di saper ballare, non è vero?"

Il ragazzo quasi contrasse gli occhi di zaffiro, quando quella domanda venne a demolire il castello di carte in cui affastellava tutti i suoi passati crimini.

"Sì, è così, ma..."

"Lasciando la parte della gentile donzella... potresti... potresti..."

Le mani furono inclementi con le ginocchia scoperte dalla divisa, le unghie a lasciare tracce sanguigne in un passaggio che parlava del nervoso incedere dell'orgoglio in faccia al suo desiderio di aiuto.

Shingo Sawatari, in tutto questo, non sapeva assolutamente cosa dire. Nel suo primo anno aveva avuto, di quella ragazza, un'opinione tanto deleteria al suo stato d'animo da averla sempre relegata in una posizione di sudditanza, rispetto alla sua vera cerchia di amicizie. La chiamava con epiteti allegri solo perchè Yuya, spesso e volentieri, le parlava di Quiddich e di scope volanti, ma di lì a scendere verso un rapporto quasi intimo, o quanto meno confidenziale, i due non si erano mai spinti. O almeno, Shingo non aveva mai fatto nulla per mettere lei e lui sullo stesso piano di comprensione.

Tuttavia, nonostante tutto quello che davvero lo lasciava perplesso su Serena - la mancanza di una condotta nel quale riconoscerla come ragazza, la violenza delle sue azioni, la superbia delle sue pretese, l'ingiustizia con cui spesso e volentieri condiva le sue arringhe punitive - in quel momento, vedendola tanto insicura sul suo piedistallo di orgoglio, non sentì in sè la forza di comportarsi nel suo solito modo da Shingo Sawatari. Forse erano state le stille di lacrime che ne bagnarono le ciglie disordinate, a fermarlo dal dare inutilmente voce al suo berciare, o forse in nome di un cuore che spesso e volentieri negava di avere... Quale che fosse la causa, in quel frangente non gli riuscì, nonostante tutto il suo autocontrollo, a lavarsene le mani di un problema del quale aveva anche compreso le radici.

"Quindi non sai ballare?"

Un diniego, perché la voce di Serena era rotta da un pianto che si ostinava a nascondere.

"E vorresti imparare?"

Un annuire deciso.

"Sei stata invitata?"

Un secondo annuire, questa volta più flebile. Poi, come se vi fosse una parte di lei finalmente conscia della figura poco decorosa che ne stava venendo fuori da quel dialogo, decise che la sua fierezza doveva recuperare terreno: "Shun... Kurosaki. Mi ha invitato lui"

"Sì, lo immaginavo"

Era dallo scorso semestre che i sentimenti di entrambi erano diventati qualcosa di palese e quasi chiacchierato.

Quando nel giugno bagnato di quell'anno era andato a cercare Yuya, per colpa di una babbanofila in fissa coi topi, non aveva impiegato troppi neuroni per riflettere davvero sull'inusuale vicinanza di Shun e Serena, impegnati in chissà quale fitta e segreta conversazione. In quel mentre, il suo cuore era un tutt'uno con l'ansia, la preoccupazione e la predizione negativa della professoressa Cooman, e non vi era altro posto per sospetti di minore importanza.

Era stato poi, nella camera d'ospedale in cui Yuya si era scoperto vivo e quasi in salute che il criceto del suo cervello, prima in stato quasi catartico, aveva iniziato a far girare la ruota in vista di un dolce contatto di mani che i due avevano instaurato per addormentarsi assieme. E da allora, anche senza dover dar loro la dovuta retta, aveva capito che nella concitazione di una battaglia sanguinaria contro un lupo mannaro mai sazio di carne umana, era nato un sentimento dolciastro di cui spesso e volentieri ne ignorava la portata.

Era quasi scontato, per lui, che Shun Kurosaki chiedesse la sua mano in nome di valzer elegante da danzare sotto le luci di una stanza ancora tenuta chiusa allo sguardo pubblico. Quello che invece non aveva capito, però, era il terrore ancestrale di rendere concrete le paure della McGranitt.

"Tu sai dov'è la stanza delle necessità?"

Serena sgranò gli occhi, davanti a una domanda di cui intuiva le motivazioni. Nel suo annuire, lo vide continuare.

"Ho due condizioni. La prima: non dire a nessuno, e con nessuno intendo soprattutto la babbanofila, del fatto che ti sto dando una mano. Emetti un fiato e dovrò aprire una scuola di danza improvvisata per tutti gli impediti di Grifondoro"

Trattenendo le risate per quel suo buffo modo di parlare, Serena annuì.

"Secondo: dovrai fare assolutamente tutto, e sottolineo tutto, quello che ti ordinerò, senza fiatare, senza chiedere spiegazioni, senza pretendere pause o diritti tipicamente umani, mi sono spiegato?"

"Si, ho capito!" fece lei, alzandosi di scatto "Allora andiamo?"

"Andiamo? Vuoi dire adesso?"

"Certo! E quando, altrimenti?"
Il povero Shingo iniziò a pentirsi della sua disponibilità.

"Pensavo che il numero di lezioni fosse da programmare..."
"Non dire sciocchezze! Ho meno di un mese per imparare a ballare senza pestare i piedi a Shun, non possiamo perdere nemmeno un secondo, non credi?!"

E iniziò così l'improvvisata scuola di ballo di Shingo Sawatari, composto da un singolo e indisciplinato studente.

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