Terzo Epilogo - La ferita dell'odio

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Per rientrare nell'ottica di un pensiero partorito da Shingo Sawatari, Yuto avrebbe dovuto vendere se stesso al miglior offerente al fine di riconvertire la sua mente a vuote essenzialità che, nel presente, egli sentiva solo come banali stupidaggini. Ne sopportava la presenza solo perché lo sapeva amico di Yuya, sopportava le sue intrusioni solo perché conscio di non aver alcun diritto di prelazione sulla vita e sulla presenza del Grifondoro, sopportava le sue invadenze solo perché era consapevole che, pure nel suo piccolo, egli lo appoggiava come compagno del ragazzo, e tifava in segreto in una loro ipotetica e improbabile relazione. Eppure non avrebbe mai pensato di provare davvero un qualcosa che si avvicinasse alla stima, per Shingo, almeno fino al momento in cui non lo vide accendersi di puro furore, gli occhi zaffirini iniettati di sangue a puntare sulla figura minuta che aveva osato varcare la soglia dell'infermeria con timore reverenziale. Timore che faceva bene a provare, pensava con cattiveria il Corvonero, perché la tentazione di scagliarle una maledizione senza perdono la evitava solo nella consapevolezza di non essere di alcun aiuto, a lasciarsi andare alla sua furente rabbia. "Maledetta babbanofila! Hai la faccia di venire fin qui?! Per cosa, per gongolare del tuo successo, forse? Ti assicuro che il desiderio di trasformarti in un topo..." La bacchetta che stava per impugnare finì lontano, fermata per tempo da un expelliarmus scagliato con solerte rapidità. Reiji Akaba non sembrava nemmeno respirare, per la tensione che ingabbiava sardonicamente il suo corpo, e perfino la sua bacchetta tremava dell'impercettibile rabbia che egli emanava, rabbia che forse controllava a stento e che probabilmente, se esplosa, avrebbe causato la totale liofilizzazione di colei che venne ritenuta all'unanimità come centro nevralgico di tutti i problemi. A Yuzu Hiragi non fu concesso alcun beneficio del dubbio. Tremante, fu giudicata e condannata da sguardi ombrati di indicibili sentimenti, Shingo in testa a tutti e quasi pronto ad avventarsi sulla sua persona. Azione che forse avrebbe commesso, se non fosse intervenuto Yuto a tener fermo il polso pronto a scattare sulla bacchetta appena persa.
"Yuzu... io credo che questo non sia un buon momento per stare qui. Per favore, va via..." e, se a pronunciare queste parole era Serena, allora anche alla ragazza fu chiaro che il condono non era un argomento minimamente trattabile. Nemmeno nella coscienza di aver torto.
Andò via, nella totale solitudine di pensieri pronti a rinvangare il passato, tutti acerrimi rivali di loro stessi e tutti alleati nella loro lotta comune a Yuzu Hiraghi, l'aiutante segreta dei maghi oscuri.
Non che ella lo avesse certamente fatto di proposito, a mettersi nelle mani un topo che non avrebbe mai dovuto essere null'altro di ciò che era - ovverosia un roditore - ma era la visione di lei che ordinava a Yuya di dare il via ad una cerca tanto inutile, quello che lasciava tutti basiti e sgomenti - e a maggior ragione furenti. Shingo, quando lo aveva saputo, per poco non l'aveva schiantata, chiamandola con quel nome ridicolo e definendola anche incosciente.
"Quello schifosissimo ratto è tuo, no?! E allora perché diamine non sei andata almeno ad aiutarlo? O sei davvero convinta che il micione abbia così cattivo gusto da sporcarsi il pelo con quella fogna che hai accolto nel letto?" Micione, perché anche lui aveva deciso di affezionarsi ad un gatto che dominava i suoi simili per arguzia e intelligenza. Gli aveva voluto bene con poco, e lo aveva elevato ad un grado affettivo meritevole di un nomignolo, quando le fusa del felino gli avevano reso coscienza della nobile arte dei grattini dietro le orecchie. Da allora, partecipare alle beghe pro Grattastinchi aveva avuto ulteriori positività. Yuzu, in quel frangente lontano e leggero, nemmeno gli aveva dato retta, il pensiero volto solo al prossimo esercizio di trasfigurazione e agli esami che stavano diventando sempre più imminenti. Lei, che nemmeno sapeva di aver mandato a morte il suo ex migliore amico, aveva in quel momento abbandonato ogni pia preoccupazione per vedere nei compiti da svolgere il centro delle sue ansie.
Lo aveva visto correre via, aggredire - quasi - la signora grassa col vento che mulinava il suo mantello, e nell'osservarlo con distacco aveva messo a tacere tutte le beghe velenose che rovinavano la sua concentrazione, lasciando cadere ogni altra distrazione nella sciocca presunzione che tutto sarebbe andato per il meglio.
E invece il Grifondoro, di saggezza più lungimirante, aveva deciso di correre dal suo professore di Difesa contro le arti oscure, per metterlo a parte dei suoi problemi. E, con ancor più previdenza, aveva deciso di correre dagli unici che avrebbero sicuramente appoggiato il suo intervento, perché palesemente coinvolti in qualcosa che meritava una figura trigonometrica adatta per essere descritta.
In realtà nemmeno per un secondo aveva pensato, Shingo, di aver mandato da Yuya proprio colui che lo avrebbe reso tanto inerme. Sebbene Severus Piton avesse loro offerto un indizio grande quanto la Stamberga Strillante, lui aveva ben deciso di ignorarlo, convinto solo del bene che faceva col suo operato. Non si sarebbe mai lodato abbastanza, per aver corso come un pazzo fino alla sala comune dei Corvonero, e non avrebbe mai reso grazie alla dea bendata in modo decoroso, per la fortuna di trovare tutti i suoi obiettivi nello stesso medesimo luogo. Vi era perfino Serena, insolitamente timida dinanzi allo sguardo severo di uno Shun Kurosaki impettito e rigido.
L'unione fa la forza; un detto babbano che Shingo, degno amante della solitudine, aveva sempre osteggiato come ridicolo. Si ritrovò costretto a rimangiare le sue convinzioni, quando il mai troppe volte maledetto Platano Picchiatore aveva scagliato contro di loro quelle secche verghe che lui chiamava rami, manipolati col chiaro intento di ferire - forse proprio uccidere -, solo perché chiamarsi vegetale non doveva certamente rendergli la dovuta giustizia di un potere da far invidia perfino agli esseri umani. I dubbi ulteriori morirono quando l'ululato di Lupin, infine evidente nella sua reale natura, aveva smorzato ogni altro loro pensiero. Invero, il tempo per ogni qualunque riflessione venne meno quando la bestia corse verso di loro, le zanne a parlare delle sue intenzioni e gli artigli a chiamare in causa quanto appena consumatosi; Yuya era riverso al suolo, la pelle del petto squarciata con una netta violenza, il respiro debole a lasciar temere per la sua incolumità.
La vita la chiamarono salva per merito di un simbolo che avevano temuto per tutto l'anno. Erano all'oscuro del fatto che, nascosto sotto la folta e scomposta pelliccia di pece, c'era il pluriomicida ricercato Sirius Black, ma forse lo avrebbero benedetto ugualmente, solo anche per aver offerto loro l'occasione perfetta al salvataggio di Yuya. Fu premura di Yuto spalleggiare un accigliato Akaba nella lotta contro l'immonda bestia, insolita collaborazione che offriva appoggio a chi non aveva nemmeno la forza di tenersi in piedi - ossia il misterioso gramo -, e che dava sfoggio delle giuste abilità per allontanarlo nel folto di una foresta che non aveva ulteriori vittime da aggredire - forse solo una nidiata di ragni carnivori, e Shingo aveva giusto posto la questione di una scommessa puerile prima di essere zittito dall'unanimità per correre a perdifiato verso madama Chips.

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