La determinazione dell'Inutile (Counterparshipping)

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Inutile. Era una parola, quella, che Yuto aveva imparato ad accostare nei riguardi di persone la cui esistenza ruotava attorno ad una comica parabola di piaceri personali, egoistiche necessità svianti ogni altra azione non avesse un tornaconto da portare nelle loro tasche. Persone sulle quali l'affidamento diviene un concetto pleonastico di falsità, dettato più dalla disperazione che da una qualche irrazionale forma di buonsenso.
Di sicuro, mai il ragazzo avrebbe seriamente meditato di dover incanalare nei suoi riguardi, nella descrizione che egli aveva di sé, tutto il marcio che una simile nomea poteva sensibilmente racchiudere. Accuse forse per alcuni ingiustificate, ma per lui tanto realistiche come reale era il malessere di cui Yuya in quel momento era vittima, disteso sul divanetto nel treno nell'albagia di un sonno che inutilmente tentava di restituirgli una quiete distrutta dai Dissennatori e dal loro ingresso sulla scena – ombre nelle ombre vaganti, alla ricerca di un criminale che, per buona coscienza di logica, nulla avrebbe dovuto aver a che fare con un treno magico stracolmo di studenti e insegnanti. Insensatezza pura, che però non aveva impedito l'inevitabile, annunciato dal tremore dell'amico allorquando ogni grammo di lucentezza del treno si era andato a spegnere in favore di un gelo che mozzava i respiri.
Erano tutti assieme, assiepati in modo quasi comico in quel vagone incapaci di ospitarli tutti, con la risata sulle labbra a risuonare dei nuovi scherzi che si voleva giocare nei confronti degli insegnanti e del fastidioso Gazza – che nel suo eterno gozzovigliare nei corridoi rendeva la vita dei Grifondoro un inferno unicamente grazie alla sua esistenza. Yuto era lì, all'abbaglio di una felicità che, seppur effimera come dato di fatto, si apprestava sempre a dare un illusione di eternità, fiero di aver ottenuto il suo posto al fianco del ragazzo che tanto amava – senza alcun sospetto che inficiasse discussioni poco lecite sulla sua decisione di abbandonare momentaneamente i fratelli acquisiti – e grato a tutti per l'averlo accolto senza alcun peso di invadenza a gravare in battute di poco conto o in sibilline parole. Era tutto perfetto, e sebbene ne andava di conseguenza che mai simile pertugio di serenità potesse durare, mai il giovane avrebbe auspicato simile orrore per rispondere alle leggi del karma.
I lamenti di Yuya erano stati lievi, sottili, un lieve stridore nel ghiaccio che intorno a loro realizzava nuove spirali cristallizzate - per intrappolarli meglio in una trappola artica capace di uccidere. Potevano apparire come le semplici fobie di colui che teme il buio, o le giustificate lamentele per quel freddo polare che li stava investendo con uno sferzare senza rispetto, ma al borbottare di pensieri ancora incapaci di aver chiaro il quadro della situazione si era frapposta la voce di Sora, allarmata e greve in quel suo precipitarsi verso il cugino per scuoterlo con violenza.
"Non ascoltare ciò che ti dicono, le loro sono solo bugie!" esclamava, con una veemenza che sbigottiva per il suo essere priva di contesto "Pensa a noi, pensa ai tuoi amici! Sei sul treno per Hogwarts, sei un mago, Yuya! Quei bambini sono solo il frutto dei tuoi ricordi, non devi dargli peso!"
Lo sguardo smeraldino del ragazzo sembrava chiedere un aiuto che la negligenza dell'apprensione dava per scontata, in quella legilimanzia che lui ancora non comprendeva come impossibile da replicare e incoercibile per coloro che sono e saranno sempre rinchiusi nel loro stesso mondo personale. Erano, le loro, urla che andavano a sovrastare la lieve litania esternata dalle labbra esangui di Yuya – con una meticolosità sfociante nella follia – le mani premute sulla fronte come a voler tacere i demoni insiti nel suo stesso subconscio, un controllo su di loro che lui aveva perso e che nessuno sembrava riuscire a restituirgli. Nemmeno quel mago che aveva giurato sulla sua stessa vita di proteggerlo da ogni male il mondo avesse da riservargli.

Luce e Cioccorane. La soluzione aveva richiesto solo questi due doni, e simile gentilezza era apparsa stretta tra le mani di un Corvonero coraggioso, che nella luminescenza di una magia ignara a tutti aveva scacciato l'emblema della morte e tutto ciò che esso rappresentava. Ma quel Corvonero non era Yuto, perché in quel frangente egli non aveva potuto fare nulla, se non stringersi al petto il giovane ormai in stato catartico – pregando sommessamente che il semplice contatto fisico avesse un qualche effetto sulla psiche ormai distorta – e pregare che tutto ciò avesse termine. Né gli altri si erano decisi a trovare una soluzione migliore che non fosse il semplice urlare oscenità su Sirius Black, sulla situazione sempre più prossima al picco della degenerazione e sui Dissennatori – che non sapevano se avvicinarsi davvero a quei ragazzi audaci e alimentarsi di quel sentimento passionale quale era la loro rabbia.
Reiji Akaba
era divenuto il loro nuovo eroe. Dall'alto dei suoi sedici anni, prefetto del dormitorio che della saggezza aveva fatto il suo emblema, adesso appariva nel loro piccolo scompartimento – illuminato da quelle luci fedifraghe che del loro ritorno avevano fatto simbolo della loro viltà – come un saggio professore nelle cui splendide iridi ametiste andava a specchiarsi il rigido calcolo delle opportunità da afferrare. La predisposizione ad un ambiente che permettesse al giovane Grifondoro una cura per tutti i mali aveva in quel momento il suo più alto grado di interesse; con le scatole delle Cioccorane strette al petto, appoggiava delicatamente una pezzuola umida sul viso diafano del compagno svenuto, leggero in quelle movenze che sembravano tremare, quasi lo sfiorare simile fragilità comportasse una delicatezza da depredare alle piume.
"Credo che non ci sia altro che si possa fare, ragazzi. Aspettate che si svegli e dategli questa cioccolata. Ne avrà bisogno, per riprendere le energie. Nel frattempo andrò a cercare un professore; voglio che questa storia sia resa nota a Silente... che capisca quanto sia pericoloso avere simili fantocci intorno al castello"
Ogni altra discussione si troncò con la sparizione dell'allievo modello, cordiale eppur freddo nel suo dichiararsi senza alcun sorriso a enfatizzare le sue buone intenzioni.

Yuto si chiamava salvo, salvo chiamava Yuya, eppure ancora non si capacitava di quanto fosse davvero avvenuto. Odiava perfino il suo sguardo, per aver lasciato che tutto scorresse dinanzi ai suoi occhi come in un film nel quale lui avrebbe dovuto interpretare il ruolo del protagonista, mentre invece aveva fatto il semplice spettatore senza alcuna voce in capitolo nella vicenda. Un peso. Un idiota. Una persona inutile. Era rimasto immobile, a incantarsi dell'argentea luce eterea che, incarnata nella leggiadra figura di un essere dai contorni troppo vacui per poter definire davvero cosa potesse essere, si era fatta strada nel cuore del loro problema per eliminarlo alla radice. Era il pregio della conoscenza, era l'emblema di quello che lui ambiva ad essere e ciò che doveva diventare. Un qualcuno da ammirare, un qualcuno su cui contare, un qualcuno che avrebbe difeso chi amava da ogni pericolo, anche dalla morte stessa
Qualunque magia avesse utilizzato Akaba per liberarsi di quel putrido mantello di luttuosa viltà, qualunque incanto le sue labbra avessero pronunciato per vincere un nemico conosciuto come immortale – perché era noto sopra ogni credito che la morte non poteva essere sconfitta in quanto simbolo di se stessa – Yuto lo avrebbe appreso. Sarebbe divenuta la sua nuova arma, una nuova spada brandita solo per il bene di coloro che lo circondavano e che, fin dalle infauste premesse, appariva come un pericolo perfino peggiore di quanto avesse avuto da credere in precedenza.

Ok, qui la cosa è un po' strana... perché, vi chiederete. Perché io ho amato questo capitolo, ho avuto in mente simile incontro da non so nemmeno io quanto tempo... eppure per sfornarlo mi ci è voluto un secolo, tanto che per la disperazione me ne sono andata a scrivere altre bozze, sia di questa storia che di altri libri. Forse il motivo sta nel fatto che avevo troppe aspettative, forse perché in definitiva non è uscito come volevo io – e in effetti il progetto primario NON voleva questo, ma dettagli – o forse per altri motivi che solo Freud mi saprebbe dire... insomma, a onor del vero nemmeno adesso sono convinta del risultato, ma avendolo riletto svariate volte non so più cosa vada corretto, e conoscendomi o preferito pubblicarlo onde evitare una cancellazione repentina per l'odio che stava salendo pian piano.

Dunque, miei cari signori, vi è piaciuto simile capitolo? E ditemi, stavate tutti aspettando l'arrivo del grande, dell'unico, dell'inimitabile Reiji Akaba? *folla acclamante alle spalle di tutti*E perché c'è di mezzo la gelosia? Eh, eh... lasciate che il tempo dica la sua – e che io sforni i capitoli con la risposta – per sapere come andranno le cose.

Orbene, questo è il secondo capitolo del libro, e sapete cosa vuol dire? Che è la prima volta, da quando scrivo le one-shot di questo libro, in cui sono al secondo gradino e non ho ancora fatto seriamente iniziare la scuola. Ma il prossimo capitolo metterà tutto a posto, anche perché, come accennato, le bozze ci sono, vanno solo riviste e rielaborate. L'unico ostacolo, adesso, sono io... e gli esami di settembre...

Fatemi sapere cosa ne pensate (e soprattutto avvertitemi se ci sono eventuali errori)

Alla prossima!

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