Capitolo 34

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Attesi nel corridoio, incapace di muovermi, mentre gli urli della donna incinta diventavano un'eco, tra le pareti di pietra. Rowena le sussurrava di non smettere, che, presto, il suo bambino sarebbe stato al sicuro.
Avevo il cuore a pezzi. Come poteva Rowena dire a quella donna una cosa del genere? Il bambino sarebbe nato in un luogo contaminato da una malattia che lo avrebbe ucciso nello stesso istante in cui lui sarebbe venuto al mondo! Ma, per il bene della donna, Rowena avrebbe dovuto dire quelle cose. O, almeno, questo era quello che avrei voluto sentirmi dire, nel momento in cui avrei partorito.
Automaticamente, mi posai una mano sulla pancia, delicatamente, rendendomi conto di quanto fossi diversa da quella donna. E uguale.
Eravamo entrambe incinte. La donna non era vecchia, aveva qualche anno in piú di me. Stava per dare la luce ad un bambino. Ma lei era magra, debole, malata, sicura di stare per perdere un figlio. Io, invece, ero sana, ero circondata da persone che non avrebbero permesso che mi ammalassi o venissi ferita ed ero sicura che mio figlio sarebbe nato in un luogo sano.
A meno che non si trovasse anche Rowena, nella stanza in cui avrei partorito. In quel caso, non ero sicura di come sarebbe stata la salute del bambino, con il rischio di essere ferito o gettato tra i malati da Rowena. Rowena avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto sbarazzarsi del bambino non appena fosse nato.
Gli urli della donna si attenuarono, mentre un debole pianto si faceva sentire, oltre i sussurri di Rowena.

"Ci siamo quasi." disse.
Poi, gli urli della donna diventarono sospiri ed il pianto del bambino divenne piú forte. Il peggio sembrava essere passato.
Non ancora.
Il peggio doveva ancora arrivare: il bambino non era ancora stato contaminato dalla malattia, a meno che non l'avesse ereditata dalla madre.
La risposta alla mia domanda arrivó subito: i pianti forti del bambino cominciarono ad attenuarsi pian piano, fino a che anche i sospiri della donna non finirono. Nella stanza e nel corridoio caló il silenzio. Nè la madre nè il bambino facevano piú rumore.
Mi coprii la bocca con una mano, per bloccare un verso di terrore, disgusto, rabbia ed impotenza. Sentivo le lacrime agli occhi. Non avevo visto la scena, ma avevo sentito tutto. E, forse, questo era ancora peggio che vedere direttamente la scena.
Anche tutti gli altri malati si erano zittiti. Sembravano percepire loro stessi la tragicità della scena. Una madre morta, insieme al proprio figlio, appena nato. Un fiore tranciato nel momento in cui spunta dal terreno.
Avvertii dei passi leggeri, scostanti, un leggero ticchettio, che si avvicinava.
Dalla stanza, uscí Rowena. Aveva macchie sul braccio e sulle gambe, che scomparivano velocemente, sotto l'azione del bronzo, nascosto sotto la sua manica.
Chiuse la porta delicatamente dietro di sè. Ma non si mosse. Rimase con la mano sulla maniglia. Teneva la testa appoggiata alla superficie ruvida della porta. Ignoró il fatto che anche quel legno era contaminato. Poco dopo, le macchie sulla sua fronte sarebbero scomparse.
Osservai la rossa, non sapendo cosa fare. Era la prima volta che la vedevo in quelle condizioni. Impotente. Vulnerabile.
Sentivo la mia pancia calda. Da sotto il vestito, sentivo anche qualcosa muoversi. Erano piccoli movimenti secchi, come dei battiti.
Le urla della madre e del bambino erano ancora vive, nelle mie orecchie. Cercai di trattenere le lacrime, continuando a guardare Rowena, che allontanava lentamente la mano dalla maniglia e, sciogliendosi la treccia, si nascose il viso con un ciuffo di capelli. Si legó l'elastico al polso e si allontanó dalla porta contaminata. Mi superó e si avvió nella direzione da cui eravamo venute.
"Vieni." ordinó.
La sua voce era bassa e severa. Non era tagliente. Non era subdola. Era la voce di una regina, di una ragazza che si rivolge ad una persona di rango inferiore a sè. Come se io fossi un suo suddito.
Non la biasimai. Io non sarei nemmeno riuscita a parlare, se avessi assistito alla scena. Non ci riuscivo nemmeno in quel momento.
Non potei fare altro che ubbidirle e seguirla, tornando nella parte del suo regno sano, quello che lei mostrava con orgoglio e quello che proteggeva davanti a tutti.
Il ticchettio dei suoi tacchi era costante, non un segno di cedimento, nel suo passo sicuro. Non mi parló. Non si voltó nemmeno una volta.
Arrivammo presto nel corridoio su cui affacciava la mia camera e fu allora che riuscii a provare un piccolo sprazzo di sollievo, che sostituisse il terrore che avevo, dentro di me.
Rowena si diresse proprio verso la mia camera, verso Nick, che stava davanti alla porta, in posizione. Non appena vide Rowena avvicinarsi, gli occhi cominciarono a tremargli e non ci pensó due volte, quando Rowena gli ordinó di spostarsi, di farsi da parte, per lasciarmi passare.
Rowena rimase fuori dalla stanza, ma tenne la porta aperta.
"Lavati e cambiati. Elimineremo i tuoi vestiti appena possibile. Le tracce della malattia non si cancellano dai vestiti." disse la regina.
Osservó la maniglia, su cui poggiava la sua mano.
"E lava anche la maniglia. Anch'io sono contaminata. Non sono malata, ma la malattia è sulla mia pelle.
Quando hai lavato tutto, vieni fuori. È pronta la cena.".
Di già?!
Era già passato il pomeriggio?!
Tra il Consiglio e ció che era appena successo, non mi ero resa conto del tempo che passava.
Annuii alla rossa, in modo che chiudesse la porta, e rimasi sola. Senza pensare ad altro, mi affrettai ad andare in bagno e, quando la vasca fu piena, mi immersi per un bagno caldo.
Non scelsi un vestito sfarzoso, data la giornata appena trascorsa. Optai per un vestito semplice, azzurro, senza corpetto o pizzo. Era un pezzo di stoffa piú adatto ad una serva, che ad una principessa, come me, ma non me ne curai.
Rowena non avrebbe obiettato.
Quando uscii dalla stanza, Rowena era lí, con un vestito diverso, addosso. Era ancora nero, ma con meno dettagli. Anche lei, come me, non aveva voglia di fare la parte della regina. Tutto ció di cui avevamo bisogno, in quel momento, sarebbe stato avere un po' di tempo da sole.

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