Capitolo 33

849 43 12
                                    

"Non devi fare altro che distribuire cuscini a chi si lamenta per i dolori al collo e fasciare le ferite degli altri." mi spiegó Rowena, mentre avvolgeva un altro pezzo di stoffa attorno alla spalla di un uomo.
I suoi gesti erano veloci, sapeva cosa faceva.
Mi guardai attorno, titubante. Io non sapevo cosa avrei dovuto fare, per fasciare bene una ferita.
La ragazza che mi aveva supplicata con lo sguardo, poco prima, si toccó la gamba e, sul suo viso, si dipinse una smorfia di dolore.
Pian piano, una macchia scura, come quella che si era fermata sulla mano di Rowena, invase la gamba della ragazza, ma, subito, lei prese un piccolo oggetto, che non riuscii a riconoscere, e lo posó sulla propria gamba. La macchia, da scura, divenne rossa, poi bianca. Infine, il viso della ragazza si lasció andare ad un'espressione sollevata, priva di dolore. Gettó la testa all'indietro e sorrise.
Nonostante il suo viso fosse piú colorato degli altri, sembrava stanca. Le occhiaie erano accentuate, erano visibili anche al buio.
Levó l'oggetto dalla gamba e mi guardó.
Rowena si accorse del suo sguardo e sul suo viso comparve un'espressione di orrore.
"Ora, dovró tagliarti la gamba." mormoró Rowena, rivolta alla ragazza.
Spalancai gli occhi. Tagliarle la gamba?!
La ragazza, peró, non fu turbata, anzi, sorrise a Rowena, ma non le rispose.
Rowena si avvicinó alla ragazza ed estrasse una piccola lama, che brillava, alla luce del corridoio.
"Lilith, vai ad aiutare la donna in fondo alla stanza. Non sarà un bello spettacolo." mi ammoní.
Senza protestare, seguii il suo consiglio e mi affrettai a raggiungere la donna, che si trovava in fondo alla stanza.
Era una donna con una grande pancia, che si vedeva, da sotto il sottile lenzuolo bianco, che la copriva.
Stava respirando affannosamente, aveva una macchia sopra la spalla, scura, che arrivava appena sotto il collo.
Mi avvicinai e mi abbassai, per arrivare a parlarle alla sua altezza, da sdraiata.
Lei teneva gli occhi chiusi, la fronte imperlata di sudore. Sembrava stesse soffrendo piú di quanto mostrasse.
Mi avvicinai con cautela. I suoi respiri erano accelerati.
Improvvisamente, si posó una mano sulla pancia, tenendo gli occhi chiusi, e fu allora che notai la grandezza della sua pancia: era evidente che la donna era incinta. Probabilmente, era agli ultimi mesi di maternità, il bambino sarebbe nato presto.
Non in queste condizioni.
Osservai attentamente la donna. Era magra. Troppo magra. Non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti.
La donna mugugnó qualcosa di incomprensibile e voltó la testa di lato. Poi, spalancó gli occhi e strinse la presa della mano sul lenzuolo, che le copriva la pancia.
Spalancó la bocca ed emise un urlo, non di terrore, ma di dolore.
Mi venne la pelle d'oca. Non riuscivo a sopportare una scena come quella.
La donna si alzó e si mise a sedere, poggiando la schiena contro la parete di pietra e si guardó la pancia, ansimando. Dalla bocca della donna uscí un rantolo, mentre lei stringeva gli occhi.
No.
Non poteva stare accadendo ció che pensavo. Non sarebbe potuto succedere. Non in quel momento. Non con tutti quei malati che avrebbero potuto contaminare il bambino.
La donna stava partorendo.

Con un filo di voce, chiamai Rowena: "Rowena?".
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella donna, in agonia, mentre tentava di dare alla luce il proprio figlio. Un figlio che sarebbe stato destinato ad essere malato.
Avvertii uno spostamento d'aria, accanto a me, e Rowena fu subito accanto alla donna che partoriva, una mano stretta nella sua, l'altra che le toccava il lenzuolo.

"Andrà tutto bene." La rassicuró. "Prenderó io tuo figlio.".
La donna le rivolse uno sguardo confuso, poi capí ció che la rossa le stava dicendo e tentó di rivolgerle quello che sembrava essere un sorriso di gratitudine, ma uscí piú una smorfia di dolore.
"Lilith, esci di qui." mi ordinó Rowena.
Non riuscivo a staccare gli occhi dalla donna partorente. Quasi, non capii nemmeno ció che mi stava dicendo la rossa.
"Lilith, non sarà uno spettacolo piacevole. Esci di qui. Torna in camera. Fai quello che vuoi. Ma esci di qui." mi ordinó, di nuovo.
Riuscii a capire ció che mi stava dicendo la rossa e non aspettai altro. Mi fiondai verso la porta, superando malati e feriti, non prestando alcuna attenzione ad alcuno di loro. Avevo solo bisogno di uscire di lí.
Prima di uscire dalla porta, diedi un ultimo sguardo a Rowena, improvvisamente consapevole del rischio che stava correndo: nonostante avesse con sè il bronzo, Rowena non era immune alle malattie. Avrebbe potuto ammalarsi in quel momento.
Rowena aveva una mano posata sulla pancia della donna, ma era posizionata davanti a lei, mentre la donna gemeva, per le spinte del bambino.
No!
Non avrei potuto assistere alla nascita di un bambino destinato a morire.
Distolsi lo sguardo da Rowena e tornai a guardare la porta, davanti a me.
Poco prima di uscire, notai che, in un angolo, un lenzuolo bianco era steso, ma non a terra. Era steso su una superficie rialzata. E non copriva solo il petto e le gambe dell'uomo o della donna. Lo copriva tutto. E l'uomo o la donna, sotto al lenzuolo, non si muoveva.
Uscii di lí, prima di poter vomitare in quello stesso istante.

Sangue regaleWhere stories live. Discover now