30 ELE

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«Dai vedrai che si risolve tutto», mi dice Giulia prendendomi una mano. «Dai tempo al tempo e le cose si aggiusteranno». Io non rispondo.

«Io non capisco come fai a stare così tanto male per una persona che conosci appena», interviene Chiara. «Va bene che sia bello. Va bene che sia interessante. Ci sta pure il fascino del mistero, ma poi? Cioè, ripigliati!»

«Così non l'aiuti», l'ammonisce Giulia.

«Neanche se stiamo qui tutto il giorno a darle della poverina l'aiutiamo»

«Sentite ragazze, vi ringrazio per il vostro tentativo di comprensione, ma sto bene, davvero», entrambe mi guardano scettiche. «Mi ci devo solo abituare. Insomma forse mi sono illusa di qualcosa che mi sembrava e che invece non era. Pensavo di piacergli, o comunque di interessargli. E invece no», mi bruciano gli occhi, ma non ho intenzione di piangere davanti a loro. «Passerà».

«Facciamo una bella cosa», dice Chiara, «Una sera di queste ci troviamo e ce ne andiamo tutte e tre fuori a bere qualcosa e divertirci un po'»

«Mi piace l'idea», esulta Giulia. «Dai stiamo per laurearci, dobbiamo festeggiare»

«Io non sono dell'umore»

«Oh Ele ti prego! Ti trascinerò per locali a costo di sorbirmi il tuo muso per tutta la sera»

Quando arrivo a casa mi fiondo in doccia per rilassarmi. Almeno le lacrime si confondo sotto il getto dell'acqua e mi sento meno stupida. Poi prendo uno yogurt dal frigo e mi chiudo in camera. C'è solo Erre in casa, ma lui non invade mai i miei spazi. Tranne oggi.

«Ele c'è qualcuno alla porta, per te», dice dopo aver bussato e aver fatto capolino in camera mia con la testa. Il mio cuore perde un battito. Oddio, è Mat! È venuto a scusarsi! È venuto a dirmi che non può stare senza di me? Penso, mentre mi precipito al piano di sotto e mi fiondo all'entrata.

«Robbi!», esclamo al colmo della delusione.

«Ciao», sembra in imbarazzo, «Scusa se ti disturbo, magari eri impegnata»

«Figurati», mi sforzo di dire.

«Ecco, sono solo venuto a salutarti», lo guardo senza capire. «Sai, mi sono laureato e parto per l'Inghilterra». Cosa? Mi guardo intorno alla ricerca di un calendario. Poi ricordo di avere il cellulare in tasca e controllo frenetica. Siamo già al venti? Ma non è possibile! Cioè, come ha fatto il tempo a correre così velocemente senza che mi accorgessi di nulla? Guardo Robbi, impalato sulla porta.

«Quando c'è stata la cerimonia?», chiedo stupidamente.

«La scorsa settimana. È andato tutto molto bene. Sono soddisfatto. Centosei». Rimango ammutolita. Mi sento in colpa. Possibile che sono così fuori dal mondo da aver perso il contatto con la mia vita?

«Mi dispiace. È un periodo un po' strano e mi sono completamente dimenticata di tutto», mi giustifico goffamente. «Congratulazioni». Ci abbracciamo e il mio senso di disagio aumenta ancora di più.

«Allora ci vediamo», dice lui.

«Sì, certo», rispondo. «Mi raccomando divertiti, fa' il bravo e impara più cose che puoi», continuo. «Ti auguro tutta la fortuna di questo mondo. Quando torni dovrai portare una valigia piena di belle notizie», parlo a vanvera.

Rimango a salutare Robbi sulla soglia di casa, finchè non scompare oltre il cancellino, poi mentre mi giro per tornare dentro, con la coda dell'occhio vedo una figura sul marciapiedi.

«Signor Piras?», chiamo. È proprio lui, il papà di Mat. Che ci fa qui? Mi avvicino e lui mi fissa senza dire una parola.

«Buongiorno», dico. Lui fa un cenno con la mano. Ha un'espressione stranissima. «Sta facendo una passeggiata?», chiedo. Niente, non parla. «Suo figlio lo sa che è qui? Sa che è uscito?»

«La stella di natale è morta», mi dice. Ho un nodo in gola. «Me ne sono preso cura tutti i giorni, ma non ci sono riuscito. Non ce l'ho fatta», è seriamente dispiaciuto.

«Non si preoccupi, signore, gliene regalerò un'altra. Oppure un altro fiore»

«Sei andata via», mi dice. Sembra quasi arrabbiato. «Sei andata via»

«No, signore, non sono andata via. È che io e Matthew abbiamo avuto una discussione e allora abbiamo pensato fosse giusto così», provo a giustificarmi, ma non sono sicura che mi capisca.

«Io ho lottato per Grace», dice lui. Parla di sua moglie. «Ma ho dovuto lasciarla andare. Per amore me ne sono andato». Sono a disagio. Guardo in direzione della strada per vedere se arriva qualcuno. Poi prendo il padre di Mat sotto braccio e piano piano camminiamo fino a casa. Lui rimane in silenzio per tutto il tragitto e sembra calmarsi un poco. Quando raggiungiamo il cancello, non vedo l'ora di andare via. Non voglio incrociare Mat e dare altre giustificazioni.

«Promettimi che tornerai ancora», mi dice l'uomo.

«Glielo prometto signore», rispondo io. Che altro dovrei fare? «Ma lei mi prometta che non si metterà mai più a vagare da solo per strada, ha capito?», lui non risponde.

Aspetto di vederlo entrare in casa, prima di tornare indietro.

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora