22 MAT

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«Alla fine ti ha fatto capitolare, amico», mi prende in giro Elias.

«Smettila, ok? Non mi va di parlarne». Se ripenso a quello che è successo con Jessica mi sento uno schifo. E la situazione di malessere aumenta vedendo che lei, dopo quella volta, mi ignora completamente, come se non esistessi. Ho fatto proprio la figura del deficiente. Usato da una ragazza.

«Beh almeno abbiamo la certezza che non sei innamorato della barista», continua il mio amico.

«Come sarebbe a dire?»

«Se tu fossi innamorato, non avresti mai fatto una cosa del genere»

«Ero ubriaco, credo che avrei fatto qualsiasi cosa in quelle condizioni. Se fossi stato lucido non avrei mai ceduto»

«La carne è carne. Ti avrebbe fatto cadere comunque»

«Adesso smettiamola», dico e apro la portiera. La discoteca è già affollata. La gente è in parte all'esterno. La musica si sente chiara anche dal parcheggio. Domani torniamo tutti a casa. Finalmente, mi viene da aggiungere.

Non appena attraverso la tettoia dell'ingresso, noto i due ragazzi del supermercato, quelli dell'altro giorno. E anche loro notano me. Cerco di far finta di niente, non lo dico neanche ad Elias. Se gli è bastata la lezione si terranno alla larga.

Il locale è grande abbastanza da essere comunque affollato. Mi muovo a fatica tra la gente che balla. Mi limito a una bottiglia di birra, che dovrà bastarmi per tutta la sera. L'alcool mi fa strani effetti.

Mentre sono seduto al bar che cerco con lo sguardo qualcuno della mia compagnia, il ragazzo alto del supermercato si siede nel posto libero davanti a me.

«Ehi come va?», domanda. Io faccio finta di niente. Non ho tempo da sprecare. Lui sembra perdere subito le staffe «Senti, perché non usciamo fuori a finire la nostra discussione dell'altro giorno?»

«Non è neanche iniziata la nostra discussione», ribatto, «Siete scappati via prima che ci fosse un po' di divertimento»

«Perché non ci divertiamo un po' ora, o hai paura?». Scoppio a ridere. Ma questo è proprio fuori di testa. Mi alzo e faccio per andarmene, quando mi raggiungono Luis e Alice. Il ragazzo allora, probabilmente preso da un impeto di stupidità estrema, si avvicina ad Alice e le da una forte strizzata al culo. Lei urla dalla sorpresa e Luis si incendia come un fiammifero. Prende il ragazzo per il collo, stringendo saldamente la presa.

«Andiamo fuori», riesce a bisbigliare quello. Luis lo segue senza battere ciglio e io dico ad Alice di rintracciare gli altri, mentre esco a mia volta. Era ovvio che fosse una trappola. Ne ero convinto prima, ne ho la conferma ora. In mezzo secondo io e Luis siamo accerchiati nel parcheggio da una decina di ragazzi. E sono anche ben armati con bastoni e spranghe.

«Tutta quest'attrezzatura è la vostra divisa da ballo?», domando sarcastico. Volano insulti, ma quelli non mi fanno niente. È ovvio che tutti i miei sensi sono amplificati. Luis non è molto bravo a fare a pugni, quindi se gli altri non si sbrigano a venire mi toccherà fare in buona parte da solo.

«Uscita di gruppo?», sento la voce di Elias alle mie spalle e mi sento sollevato. Lui è grande abbastanza da mettere soggezione e si muove come un toro. Non smette finchè non ha finito.

Senza quasi capire quando, la rissa ha inizio e mi rendo subito conto, con piacere, che nonostante la discrepanza numerica siamo in netto vantaggio. Siamo più bravi, più precisi, più coordinati, più esperti, mettiamola così. Qualcuno si arrende dopo poco. Altri resistono. Si fa una piccola ressa intorno a noi, sento le voci dei ragazzi, gli urli delle ragazze. Finiremo su YouTube, porca miseria. Faccio cenno a Elias di levarci di torno, non posso permettermi casini.

Vengo colpito alla testa da qualcosa di duro e stramazzo al suolo. Per un po' mi si annebbia la vista e i suoni mi sembrano attutiti. Tutto rimbomba e sento chiaramente il sangue in bocca, devono avermi spaccato un labbro. Quando mi rialzo vedo che sono in due addosso ad Elias. Poi la situazione degenera.

Si sentono in lontananza le sirene della polizia e mi si gela il sangue. Se mi trovano qui è la fine. Tutti si disperdono e i miei amici mi piantano qui senza tanti complimenti. Mentre uno sta gonfiando la faccia di Elias a ripetizione lo vedo estrarre un coltellino dalla tasca dei pantaloni e farlo scattare in mano, pronto a colpire.

«Elias! No!», urlo con quanto fiato ho in gola. Il ragazzo si mette dritto e accortosi del pericolo sgrana gli occhi, colto dalla paura. Elias si limita a tirargli un pugno in faccia che lo fa stramazzare al suolo.

«Filiamo via», gli urlo, afferrandolo per la maglietta e trascinandolo alla macchina. Abbiamo i vestiti sporchi di sangue.

Una volta sul pick-up, cerchiamo di riprendere fiato.

«Io non mi fermo finchè non arriviamo a casa», dice. «Le valige se le possono tenere»

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora