3 ELE

3.7K 130 6
                                    

«Com'è andata?», mi chiede Giulia, sedendomisi accanto.

«Credo bene», rispondo mettendo in ordine i libri nella borsa. «Credo di averlo passato. Non so con quanto, ma non è questo il punto» abbozzo un sorriso. Non è vero. Quando mi sono iscritta all'Università ho passato giorni a sognare me stessa come studentessa modello che dedica il giusto tempo allo studio, tiene i quaderni degli appunti perfettamente ordinati, segue diligentemente le lezioni, e prende 30 a ogni esame. Ovviamente tutti buoni propositi destinati a morire miseramente dopo i primi giorni, sostituiti da: ma chi me l'ha fatto fare? Non ci voglio andare più! Basta, mi ritiro.

«Chiara è ancora dentro?», chiede Giulia guardandosi intorno.

«Direi di si», dico.

«Tu aspetti qui? Devo fare delle fotocopie, torno subito»

«Ok, ci vediamo qua» e Giulia si allontana sotto il portico. All'inizio ero perplessa da quella ragazza. Sembra Princess Kate, con i capelli castani impeccabili; il trucco che c'è ma non si vede; quel sorriso ammaliante in grado di tranquillizzare anche un toro nell'arena e quei vestitini fatti cucire direttamente dal Bianconiglio nel Paese delle Meraviglie. Quando ti parla sembra che stia già pensando a qualcos'altro e quando ti guarda sembra che veda tutto tranne te. La adoro profondamente!

Appoggio la schiena al pilastro del portico ed estraggo Kobo dalla borsa. Quest'aggeggio è stato il regalo più bello che potevano farmi. Ero molto titubante sugli e-book, all'inizio. Io, convinta sostenitrice delle pagine stampate. Ma, cavolo, ora non posso più farne a meno. Una meraviglia!

Dopo pochi minuti trascorsi così, immersa in Anna Karenina, Chiara compare al mio fianco e si abbandona sul marmo del portico. Sollevo gli occhi e la guardo, in attesa dello sfogo.

«Uno schifo! Un disastro!» comincia, «è andata malissimo, Ele», dice l'abbonata del 30e lode. Odio quelli che si lamentano di come sono andati in qualsiasi cosa, pur sapendo benissimo di aver rasentato la perfezione.

«Vedrai che è andata bene» mi limito a dire. Lei scuote la testa, facendo ondeggiare i suoi capelli incredibilmente lunghi e afferra gli appunti alla ricerca delle risposte alle domande.

«Giulia?» chiede dopo un po'.

«A fare delle fotocopie», rispondo, «le ho detto che l'avremmo aspettata qua»

«Allora raccontami qualcosa», dice avvicinandosi, «qualunque cosa che mi distragga dalla domanda sette che sono sicura di aver confuso con un'altra cosa. Insomma come ho fatto a sbagliare una stupidaggine del genere?»

«Ok, ok, ok», dico alzando una mano per fermarla. «Ho conosciuto un ragazzo», butto lì. Subito catturo la sua attenzione.

«Cioè?» è tutta mia. Pende dalle mie labbra.

«Al bar. È un nuovo cliente»

«Tutto qui? Raccontami i dettagli no?»

«Beh, non c'è molto da dire», è vero, «so solo che si chiama Mat e che non l'ho mai visto anche se abitiamo nello stesso paese»

«Tutto qua? Da come lo hai detto sembrava un'altra cosa». Sembra delusa.

«È venuto lunedì con un suo amico. Era la prima volta. E poi è venuto anche martedì e anche ieri sera»

«E che fa?»

«Niente», alzo le spalle. «Entra, prende il caffè, poi prende una birra, si siede al tavolino, impiega tutta la sera per berla e poi se ne va»

«E basta?»

«Basta»

«Non una parola?»

«Non una parola», mi guarda. «A parte "ciao" e "Come va? Tutto ok?"»

«Non si può dire che tu abbia conosciuto nessuno, allora. È solo uno che non ha altro di meglio da fare»

«Non saprei. È strano. Insomma, nessuno sotto i settant'anni frequenta quel posto e ci passa la serata. E non credo che ci sia qualcosa di particolarmente piacevole, in un centro anziani, da diventare un cliente affezionato»

«A parte la barista»

«Io?»

«E chi sennò? La vecchia che ti dà il cambio?» Chiara solleva un sopracciglio. Scoppio a ridere. Una risata genuina e spontanea. Mi sembra davvero ridicolo che quel tizio si sia messo a frequentare quel posto apposta per me. Chi mi credo di essere? No, no, non ho abbastanza autostima da crederlo possibile. Eppure sento qualcosa che pizzica all'altezza del petto. E se fosse? Rimango per un momento a pensare a lui. Sicuramente è molto bello, sarebbe da pazzi dire il contrario: alto, fisico asciutto e ben allenato. Secondo me pratica la corsa. Capelli chiari, ma non biondi, abbastanza lunghi da passarci le mani in mezzo, ma non troppo da sembrare il fighettino-segui-moda che mi sa di insulso. Occhi azzurri. Quelli li ho visti benissimo quando ci siamo guardati. Sono intensi e profondi, quasi blu. Mai visto degli occhi così. Eppure non sembra degnarmi di uno sguardo. Insomma, non nego di avergli lanciato qualche occhiata, queste sere. Volevo un'occasione per rompere il ghiaccio, trovare un punto d'incontro per una conversazione, qualsiasi cosa che catturasse la sua attenzione. Ma lui sembra perso nel suo mondo. Beve la sua birra, non guarda nessuno e se ne va.

«Beh, fammi sapere se si evolve qualcosa», dice Chiara riportandomi alla realtà.

«Non c'è niente da far evolvere», rispondo, «è solo un cliente»

«Si, ma ti ha colpito. Occhio a non affondare», risponde alzandosi.

«Dove vai?», chiedo.

«In biblioteca, vedo se hanno restituito il libro che ero andata a chiedere per quella stupida ricerca. Vieni con me?»

«Non posso, ho il treno che parte tra poco. Anzi, se mandi un sms a Giulia e le dici dove sei, io me ne vado a casa»

«D'accordo, stellina. Ci vediamo lunedì a lezione», si sistema la borsa in spalla. «Buon lavoro e salutami l'uomo misterioso», mi strizza l'occhio.

Mi avvio e attraverso il portone d'ingresso. Mentre cammino verso il ponte che mi condurrà in centro, penso che non mi sono mai sentita così impaziente di andare al lavoro come in questo momento.

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora