9 ELE

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«Quindi in primavera ti laurei?», mi chiede mamma, ancora incredula.

«Sì!», esulto io.

«Ma è meraviglioso!». Erre mi fa un applauso. Sono troppo contenta. Stamattina ho passato il penultimo esame e quasi esplodevo dalla felicità. Il professore che mi sta seguendo per la tesi ha detto che potrò benissimo entrare nella lista di aprile, se passo l'ultimo a gennaio. E lo passerò!

«Allora daremo una bella festa, che ne dici?», propone Erre alla mamma.

«Sicuramente», ribatte lei, «È la mia prima e unica figlia che taglia il traguardo», ammonendo a mia sorella, che armeggia in cucina.

«Due figlie intelligenti sarebbe stato anomalo», risponde. Sorrido. A Nicole studiare non è mai interessato. Appena ha potuto si è messa a lavorare e ora è contenta così. Non l'ho mai sentita lamentarsi per il troppo lavoro, o per il poco tempo libero.

Vado in camera e svuoto la borsa sul mio letto. Prendo le fotocopie dell'esame e le butto nel cestino, poi guardo quelle che rimangono sulla scrivania, che non mi sembrano più così minacciose.

Sento bussare alla finestra. Mi volto e vedo Robbi arrampicato sull'albero. Vado ad aprirgli.

«Perché non passi dalla porta?» domando.

«Perché non ho molto tempo, ma volevo assolutamente dirtelo», risponde lui balzando in camera mia. Mi da un bacio veloce sulla guancia e si siede sul mio letto. Era da un sacco di tempo che non passava dalla finestra. Di solito lo facevamo da bambini, quando volevamo fare le cose di nascosto da mamma e papà. Ci faceva sentire speciali, anche verso i nostri compagni di classe che non avevano questa fortuna.

«I miei genitori mi hanno appena dato una notizia fantastica», dice. Si vede che non sta più nella pelle.

«Dimmi», lo sollecito. Sono veramente curiosa.

«Come regalo di laurea mi pagano un viaggio all'estero», dice.

«Bello!», esclamo. Cavolo che fortuna. Piacerebbe anche a me andare all'estero, ma mamma non potrà mai permettersi una spesa simile. E comunque non posso perdere così tanti giorni al lavoro.

«E tu verrai con me», lo guardo sbigottita.

«Cosa?», ma di che diavolo sta parlando?

«Mi laureo a febbraio e tu in aprile, no?», ricapitola, «Partiremo insieme. Ti aspetterò, non è un problema. Andremo a Londra. Troveremo un lavoro e cominceremo la nostra vita insieme. Io e te. Come avevamo detto fin da bambini, quando alle elementari volevamo girare il mondo in mongolfiera», lo guardo, incapace di parlare. «Lo so, può sembrare spaventoso, ma Londra è sempre stata il mio sogno e ora posso viverlo». Gli prendo le mani e gliele stringo. Che cosa devo dire? Che non ho nessuna intenzione di partire? Non con lui? Che non posso neanche costringerlo a rimanere qui? Non con me?

«Non dici niente?», è un po' deluso, si vede.

«Sono frastornata. Non me lo aspettavo», rispondo.

«Sarà bellissimo vedrai. Ora vado». Così dicendo sparisce dalla finestra da dov'era entrato. Io rimango ancora qualche secondo immobile. Poi scoppio a piangere.

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora