25 ELE

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La mattina è gelida e io ho appena finito di correre. Non mi sono allenata per niente durante queste vacanze natalizie. È sempre appagante un po' di jogging appena svegli.

Non riuscivo a dormire. Sono troppo agitata in questi giorni, per via del lavoro e di un sacco di altre cose. Allora ho pensato, perché non uscire?

Guardo l'orologio, sono le sei e dieci del mattino ed è ancora molto buio. In giro non si vede anima viva. Non ho molta voglia di tornare a casa, ma non posso neanche girare all'infinito. Attraverso il parco e imbocco la mia via. Accelero il passo e in brevissimo tempo sono davanti casa di Mat. Guardo la finestra della sua camera e provo a immaginarlo dormire. Poi vedo che la luce nella serra è accesa, ciò vuol dire che anche suo padre è un uomo mattiniero.

Per un secondo sono tentata di andare a salutarlo, ma mi sembrerebbe molto fuori luogo. Scuoto la testa e procedo per la mia strada, quando noto una macchina ferma davanti casa mia. I fanali sono spenti, ma il motore è chiaramente acceso. Un brivido di paura mi attraversa la schiena. E se fossero ladri? Se si fossero introdotti in casa mia e quello fosse il palo pronto alla fuga? Che diavolo faccio adesso? Di certo non posso intervenire, mi ammazzerebbero. E se mi vedono, poi, sarei un testimone. Se ne sentono di ogni colore in televisione che ormai non mi stupisce niente.

Si apre la portiera della macchina ed esce Mat. Mat? La sorpresa mi fa andare in fumo il cervello. Che ci fa davanti casa mia? Decisamente sollevata che sia lui e non altri decido di avvicinarmi. A ogni passo sento i battiti del mio cuore accelerare. La gola mi si stringe e qualcosa mi attanaglia all'altezza della pancia. Dentro di me provo una gioia estrema, ma anche un profondo imbarazzo.

«Ciao», dico, quando sono abbastanza vicina. È ovvio che lui tutto si aspettava meno che trovarmi qui fuori. Mi guarda come se non mi conoscesse, la sigaretta a penzoloni tra le labbra.

«Ciao», dice poi, riacquistando il controllo.

«Che ci fai davanti a casa mia?», chiedo.

«Non avevo voglia di rientrare subito a casa». Quindi fino ad ora dove sei stato? Di certo non a correre. Sento una punta di gelosia.

«Dove sei stato?». Che domanda è? Che te ne frega? Mi è uscita così d'impulso.

«In giro», banalizza lui. E certo, mica ti viene a raccontare i fatti suoi, Ele. Sicuramente è stato da qualche parte con qualche ragazza. Magari è fidanzato, che ne sai? Glielo hai mai chiesto? Tutti questi pensieri mi stanno facendo agitare. Sento gli occhi bruciare. Sei irrazionale Ele, profondamente irrazionale.

«E tu da dove sbuchi?»

«Non riuscivo a dormire. Sono andata a fare un po' di jogging», rispondo assumendo un tono che vuol dire: quello che faccio io è normale.

«Allora siamo simili, dai, nessuno dei due è a casa quando dovrebbe esserlo», gli scappa un sorriso e il mio cuore ha un tuffo. Mi sembra quasi la sensazione dei vuoti d'aria sulle giostre. Tipo, siete mai stati a Gardaland o parchi di divertimento simili? Quando dopo minuti interminabili di attesa che riescono solo a farti salire il nervoso e a far crescere l'impazienza, finalmente ti siedi in giostra e la scarica di adrenalina per quello che sai che sta per accadere ti invade il corpo? Una parte di te è terrorizzata mentre l'altra non vede l'ora. E nel momento della discesa, quando precipiti a tutta velocità e ti manca il fiato, sei contento di aver aspettato tanto. Io mi sento così ora. Perdo la razionalità davanti al suo sorriso.

«Le luci della serra sono accesa, credo che tuo padre sia sveglio», dico cercando di tornare su un terreno normale.

«Sì, lui non dorme molto», risponde. Poi mi fissa un istante «Mi ha detto che sei passata da me. Che lo hai conosciuto. Che ci facevi a casa mia?». Già, che ci facevo? Come glielo spiego?

«Non lo so di preciso», andiamo di sincerità e buonanotte «Insomma in quel momento mi sembrava la cosa giusta da fare». Non riesco a decifrare il suo sguardo, ma mi mette un po' di soggezione, così guardo da un'altra parte.

Adesso siamo in silenzio. Nessuno dei due dice una parola e io provo a cercare nel mio cervello qualcosa da dire perché non voglio che trovi il pretesto per andare via.

«Come è andata la vacanza? Ti sei divertito?», domando allora. Il suo sguardo si incupisce, come se gli avessi appena fatto venire in mente qualcosa di sgradevole.

«Diciamo che era meglio se stavo a casa mia»

«Perché?»

«Perché sì». Beh, certo, ora è tutto più chiaro. «Tu cos'hai fatto?»

«Ho lavorato»

«Non ti ha portato da nessuna parte il tuo ragazzo?», il tono con cui lo dice non mi piace per niente.

«No», non so perché ma non mi va di dirgli che non è più il mio ragazzo dal giorno di Natale. È ancora una cosa fresca e intima e non mi va di dargli motivo di farci qualche battuta. Adesso vedo che non è più sereno come prima. Si è incupito. Credo che se ne andrà.

«Io vado», dice infatti. Mi scosto un po' dalla macchina e mi avvicino al mio cancello. Lo guardo senza dire niente. Mi piacerebbe rimanere ancora qui. Rimanere ovunque, basta che ci sia lui. Sinceramente, adesso, mi piacerebbe che mi parlasse. Che mi raccontasse di lui. Che si facesse conoscere. Vorrei fargli un sacco di domande su quello che ho scoperto nello studio, su suo padre. Su di lui in generale. È sempre così schivo e riservato. Questa cosa mi spiazza. Non riesco a capirlo.

Mi saluta con un cenno della mano e si allontana senza più una parola.

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora