17 ELE

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Esco dalla stanza e ripercorro il corridoio. Me ne voglio andare subito. Sono stata una stupida a venire qui.

Passo davanti a una porta aperta e d'istinto butto dentro l'occhio. Rimango sbalordita. Lentamente spalanco la porta ed entro in quello che sembra un tempio dei ricordi. È uno studio, lo capisco dall'ampia scrivania al centro della stanza, con le pareti completamente tappezzate di fotografie. Sono attaccate al muro alla bell'è meglio senza un ordine apparente, almeno per me. Come se centinaia di scatti fossero stati fatti per immortalare ogni singolo momento di una vita. Mi avvicino ad alcune e subito riconosco Mat in un bambino di circa sei anni. Ha i capelli tagliati a caschetto, com'era la moda di allora e una tutina giallo canarino. Sorride in braccio a una donna che gli somiglia. Dev'essere sua mamma. In un angolo della fotografia c'è scritto con un indelebile: "Matthew e Grace, gita allo zoo, 12 agosto '93". Subito vedo altre foto dello stesso anno che ritraggono Mat in piscina, Mat il primo giorno di scuola, Mat che fa i compiti. E poi foto del '94, del '95 e via dicendo. Ognuna con la sua didascalia. Anche quelle dov'è con suo fratello.

Man mano che avanzo con gli anni, le foto sono sempre di meno, fino quando arrivo al 1999 e vedo Grace con l'abito bianco e un altro uomo a fianco. Quell'anno Mat doveva avere dodici anni. E sua mamma si stava risposando. Quindi i suoi si sono lasciati quando era molto piccolo. Sento una nota di dolore per lui. Vicino a quelle foto ci sono dei post-it scritti a mano: "Grace ha sposato George", "Grace era mia moglie", "Grace mi ha lasciato per George" su questo abbiamo un punto in comune. "Io me ne sono tornato in Italia da solo, senza i bambini". "Ethan non è mio figlio, ma di George", oddio!

Sono sempre più perplessa. Che motivo c'è di scrivere tutte queste cose? A meno che... uno non debba ricordarsele. Continuo con il mio giro. Ormai non mi interessa più che non dovrei ficcare il naso nelle cose degli altri e che se il signor Piras mi becca passerò un mare di guai. Devo capire cos'è successo. L'ultima parete è coperta solo in una parte. Per lo più fogli di giornale. Sono resoconti di un incidente automobilistico gravissimo. La macchina nella fotografia è completamente distrutta. L'incidente è di quasi nove anni fa, per cui non posso proprio ricordare niente di simile. La foto del signor Piras è in prima pagina. Scorro velocemente le righe. È stato in coma due settimane. Cavolo, poverino!

Altri post-it: "Incidente novembre 2004", "Coma due settimane", "Mia madre avvisa Grace", "Grace manda Matthew con una lettera". Faccio un passo indietro per controllare se anche la lettera sia appesa al muro ma non c'è. Non c'è più niente.

Mi volto alla scrivania. Ci sono degli fogli. Eccola! Che fortuna. Nella lettera Grace scrive alla ex suocera dicendo che a seguito di brutti episodi provocati da Matthew, pensava che allontanarlo da casa fosse la cosa migliore per tutti e coglieva l'occasione dell'infortunio del padre per mandarlo a dare una mano. Mioddio! È stato sbattuto fuori di casa. Ma perché? Quali brutti episodi?

Sotto la lettera ci sono altri fogli di giornale e fotografie. Sembrano foto segnaletiche di un Mat qualche anno più giovane.

È stato in galera! Due volte per aggressione e una per furto. Non ci posso credere. Quindi è stato tipo una sorta di arresti domiciliare a distanza con recupero sociale del padre bisognoso? In galera. Aggressione. Quindi è un tipo pericoloso? Eppure non sembra.

«Mi serve per ricordare». Una voce alle mie spalle mi fa trasalire e vedo il signor Piras in piedi sulla porta.

«Io... io...», balbetto. «Mi dispiace, signore» tento di dire buttando i fogli sulla scrivania e alzando le mani, come una colpevole «Lo so che non avrei dovuto curiosare. La prego, mi scusi»

«Vieni con me» si limita a dire e sparisce nel corridoio. Lo seguo all'esterno della casa, nel retro, dove una piccola ma carinissima serra svetta in mezzo al giardino. Io non sono patita di fiori, non mi piacciono per niente, ma so riconoscere quando una cosa è bella. Dentro sembra che il freddo esterno non possa entrare, c'è quasi tiepido, si sta benissimo.

«È bellissima» dico subito, guardando i vasi perfettamente curati. Lui non risponde.

«Le foto mi servono per ricordare», ripete lui. Comincia a spuntare le foglie da un'enorme pianta. Io non so cosa dire. Improvvisamente quest'uomo mi sembra così fragile e Mat così lontano. Non posso neanche lontanamente immaginare cos'abbia passato. E non voglio pensare cosa succederebbe se sapesse che sono stata qui e che ho messo il naso nella sua vita. Io non ne faccio parte, realizzo.

«Adesso devo proprio andare», dico.

«Torna quando vuoi. Sei la benvenuta»

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora