Quando la porta si apre per la terza volta, sento una risata squillante, limpida. Subito mi si drizzano le orecchie sulla testa e mi si dilatano le pupille. Mi sposto di qualche passo, così da avere la piena visuale del locale dai finestroni e vedo Botte al bancone che chiacchiera beato con una ragazza. E che ragazza! Per un istante mi sento inebetito. Mi sembra di non essere molto stabile sulle gambe. Improvvisamente la sigaretta mi fa schifo e la butto via. Ho la bocca impastata, appiccicata. Chi diavolo è quella? Da dove viene? Spero non dalla mia fantasia.

Rimango non so quanto tempo imbambolato a fissare la scenetta, fino a quando mi rendo conto di essere parte attiva nella situazione e che posso entrare. Varco la soglia e tutto scompare. Non me ne frega più niente se è lunedì sera ed io ho avuto una giornata pessima al lavoro; non me ne frega se il posto è frequentato dagli amici del soldato Ryan; non m'interessa se il caffè italiano mi fa schifo. Quando lei volta la testa e i suoi occhi incontrano i miei, capisco che sono completamente fregato.

«Oh, eccoti qui» esclama Botte, dandomi una pacca sulla spalla. Io non rispondo. Non posso farlo, ho dimenticato come si fa. «Stavamo ammazzando il tempo intanto che arrivavi» continua lui. Taci! Non vedi che non sono in grado di capirti?

«Adesso posso fare i due caffè?» chiede lei. Il modo in cui sorride mi scioglie il sangue. Annuisco in automatico e mi porto vicino al bancone. Mi ci appoggio, quasi mi ci aggrappo. Ancora di salvezza. Lei traffica un po' di spalle e poi ci presenta due tazzine colorate e rimane lì di fronte a noi. Prendo la mia e comincio a soffiare. E continuo a soffiare, guardando un punto indefinito dell'ignoto che mi circonda.

«Allora ci sei venerdì?» credo mi stia chiedendo Botte.

«Dove?»

«Al compleanno di Mirko» ah già, il compleanno.

«Sì, certo» annuisco.

«Molto bene, allora magari ci organizziamo per andarci insieme»

«Mi piace essere autonomo. Credo che ci troveremo direttamente là» rispondo, con ancora la tazzina a mezz'aria. Lui non sembra molto contento, ma non dice niente.

«Non ti piace?». Mi volto e vedo lei che mi fissa. Sta parlando con me? «Il caffè», indica con la testa, «non sei ancora riuscito a berlo». Per tutta risposta lo mando giù in un fiato. Lei ride. Di nuovo quella risata. «Lo so che il caffè non è granché qui. Il problema e che la macchinetta rimane accesa giorno e notte e quindi ha un retrogusto amaro e bruciato. Però di solito non si lamentano»

«Che posto è questo?» chiedo, girando la testa.

«Il centro anziani» mi risponde lei. Guardo Botte come se gli fosse spuntata la seconda testa. Il centro anziani? Ma dove cavolo mi hai trascinato? Ma che diavolo di posti frequenti? Se mi avesse detto "ci troviamo al centro anziani a bere il caffè" gli avrei riso in faccia. Però, che belle bariste che hanno al centro anziani. Hai capito 'sti vecchietti? La guardo di traverso. Lei sta armeggiando con la lavastoviglie e non mi vede.

«Comunque mi chiamo Mat» dico allungando una mano. Lei si volta e mi porge la sua, con lo strofinaccio nell'altra.

«Piacere, Mat. Io sono Ele» non c'è traccia di smalto sulle sue unghie.

Quando usciamo e ci incamminiamo al parcheggio, il mio cuore rallenta i battiti e sento che sto ricominciando a respirare normalmente. Mi accendo una sigaretta e aspiro profondamente.

«Chi è quella?» chiedo, senza tanti giri di parole.

«Si chiama Eleonora, abita qua. La conosco da qualche anno perché tempo fa uscivamo nella stessa compagnia. È una tipa sulla sue. Un po' strana»

«Strana che vuol dire?»

«Come te lo spiego, amico? Non esce mai, è sempre a casa a studiare. Fa l'università ma non chiedermi cosa o dove, perché non ne ho la più pallida idea. Ha sempre una parola gentile per tutti, regala sorrisi, però non parla mai di sé. È una tipa tranquilla, comunque» non rispondo. Forse è per quello che non l'ho mai vista in giro. Anche io abito qua, tutti abitiamo qua. Eppure non l'ho mai vista. Altra gente, altri giri. Di certo i miei non sono i suoi, a quanto ho capito.

«Ma sai dove abita?»

«In fondo alla tua via, la casa all'angolo» sgrano gli occhi. Ci saranno duecento metri tra casa mia e casa sua. Passo da lì almeno due o tre volte al giorno, per andare in paese. Perché non l'ho mai vista?

«Perché tutte queste domande? Ti piace?»

«Non credo sia il mio tipo» minimizzo.

«Non lo credo neanche io. Una come lei con uno come te proprio non ce la vedo. Non per te, per lei. Perché rovinarla?»

«Ti ringrazio»

«Dai amico, ti conosco. La butteresti via dopo due uscite e perché farla soffrire? Non è quel tipo. Le ragazze che frequenti tu sono tutte tette e culo, ma dentro non c'è niente. Ele è diversa: lasciala stare»

Questo mi da un po' fastidio. Mi pizzica. Insomma non sono mica un mostro. Sembra che io sia uno spezza cuori seriale. Non esco mai così tanto con una ragazza da arrivare al cuore, di solito mi fermo sempre un po' più giù, quindi come glielo spezzo? Botte si avvicina alla sua macchina e apre la portiera.

«E comunque è una causa persa in partenza». Perché? La mia faccia probabilmente ha assunto quest'espressione «Ha il ragazzo tipo da una vita, forse dieci anni»

Dieci anni? Ma cos'è, uno scherzo?

IL CONFINE DI UN ATTIMODove le storie prendono vita. Scoprilo ora