20. Alexander passione bimbi pt.1

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Ucci ucci, sento odor di mocciosucci...¹

Con le gambe leggermente divaricate, un piede che pestava sul pavimento con la stessa pacatezza di Tamburino², le mani sui fianchi e le labbra arricciate in una smorfia infastidita, Alex rasentava la personificazione dell'insoddisfazione.

Localizzare ciò che, con tanta "dedizione", stava cercando fin dall'inizio della sua scampagnata oltremondo, si era rivelato sorprendentemente semplice. Forse troppo, considerando che quei mocciosi non stavano nemmeno provando a nascondere le loro tracce. Quel pensiero la colse in fallo, oltre che deluderla, tanto che Alex si interrogò sul perché non li avesse inseguiti prima, invece di perdere tempo a saltellare in giro.

Si diede della stupida.

Quella constatazione era del tutto errata alla luce di ciò che aveva scoperto nel mentre. Liquidò la sua titubanza con una scrollata di spalle e tornò a osservare la porta che aveva dinanzi. Aveva un problema ben più importante a cui pensare al momento, e non si trattava di certo del suo gradimento alla suddetta "Caccia al Bambino" o alla partita a "Cluedo".

Entrata pacifica?

Entrata trionfale?

Oppure entrata alla Sergente Hartman³?

Si prese il mento tra l'indice e il pollice. Soppesò le varie possibilità e, dopo un'attenta valutazione durata all'incirca una frazione di secondo, optò per quella pacifica. Dopotutto non aveva alcun motivo per deteriorare la sua già traballante relazione con quei piccoli fantasmi dalla dubbia utilità. Fece un passo in avanti, bloccandosi non appena avvertì un ilare fremito attraversare la parete e propagarsi sulla maniglia che stava sfiorando con le dita. Indispettita dalla reazione della dimora, Alex sollevò lo sguardo verso il soffitto con un'aria scorbutica.

«Abbi un po' di fiducia» sentenziò in un sussurro. Poi agì.

Ai suoi tempi, la stanza doveva essere stata adibita ad aula, a giudicare dall'arredamento che vi trovò non appena sbatté la porta con impeto tale da ammaccare la parete attigua. Non aspettò una reazione da parte dei bambini, in quel momento intenti a bighellonare spensierati sopra i banchi di legno ordinati in file, irrompendo all'interno a passo di marcia. La sua spavalderia, tuttavia, durò finché non si accorse del numero esiguo di partecipanti. Quattro contro nove non era il massimo, ma le poche scimmie presenti sarebbero bastate al suo teatrino. E così, nel tentativo di apparire autoritaria, Alex tirò in fuori il petto.

«Oh, eccovi qui.»

Venne accolta dal silenzio.

I marmocchi non reagirono. Né parlarono. Rimasero semplicemente a contemplarla con gli occhi sgranati per un periodo che si avvicinava all'eternità, come se l'immobilità forzata li avrebbe resi invisibili. Alex ebbe giusto il tempo di contemplare la possibilità di averli rotti, quando ritornarono in sé. E reagirono in modo del tutto sgarbato. In un attimo, i bambini scatenarono un putiferio, rovesciando sedie e banchi nel goffo tentativo di scappare. Come se fosse servito a qualcosa. Pivelli.

Reprimendo il gemito spazientito che le risalì lungo la gola nell'assistere a quella scena, Alex roteò gli occhi e si limitò a calciare il bordo del tavolino più vicino a lei. Quest'ultimo si ritrovò scagliato con foga nel bel mezzo dell'aula, finendo la sua corsa contro le gambe del malcapitato che si trovò sulla sua traiettoria. Il giovane dalla zazzera rossa emise un gemito sofferto prima di cadere a terra di faccia, circondato dagli sguardi attoniti dei suoi compagni che, invece di soccorrerlo, continuarono a correre alla rinfusa come galline in un pollaio assaltato da una volpe.

When the children playDove le storie prendono vita. Scoprilo ora