22.1 Quel Rottweiler della Rottermeier

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Ma ciao miei piccoli bradipi! Quanto tempo!

Prima di ritornare chiusa in negozio per tutta l'estate non potevo non aggiornare... anche se questo capitolo mi ha fatto dannare l'anima perché la mia idea di partenza è stata del tutto accantonata a causa di Ren e del suo essere un emo depresso e ripetitivo. Ok, in realtà questa parte non doveva nemmeno esistere, ma ero stanca di scrivere di Alex. Seriamente, i pirla mi mancavano. Motivo per cui ho deciso che era giusto farli penare. Le sfighe bisogna condividerle. Ehi! Ho provato a rendere questo capitolo trash e stupido, ma non rendeva nell'insieme generale. Quindi...

MINI BOSS TIME!!!

E se ve lo state chiedendo: sì, è l'ennesimo capitolo parallelo perché mi voglio molto, ma molto, ma troppo male. Ergo la seconda parte riempirà (teoricamente) i vuoti lasciati dalla non partecipazione di Alex. Se non faccio casini... cosa probabile.

Ebbene, spero che questo ennesimo parto sia di vostro gradimento. Alla prossima!







«Non provarci nemmeno, Keiran.»

«Oh, per te è facile parlare!» sibilò il diretto interessato. Sull'orlo di una crisi di nervi, l'irlandese stava cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lui e Alex, fallendo miseramente. Per quanto provasse ad allontanare la sedia su cui era adagiato, incurante dei fastidiosi stridii che stava producendo, la stretta dello sgorbio era così ferrea da tenerlo inchiodato sul posto. «Non sei tu quello che deve stare accanto a una persona brulicante di piccoli fantasmi diabolici!»

Ren non si lasciò impietosire, sebbene l'occhio gli cadde sulle loro mani ancora unite. Distolse lo sguardo, rabbuiato. Da quando i bambini erano entrati nel corpo di Alex, non era accaduto granché; nessuno aveva osato commentare o scappare, il che poteva considerarsi una nota di merito alla intelligenza collettiva. Per quanto lo riguardava, spaccare i vecchi mobili per accumulare legname da ardere era un ottimo passatempo per tenersi occupato: meglio che dare di matto. Un calcio ben piazzato e la gamba della sedia si spezzò con uno schiocco come aveva fatto la sua felicità. «Avresti dovuto opporti con maggiore convinzione, se tutto ciò ti dà così tanto fastidio. La colpa è anche tua» commentò, lanciando il pezzo di legno nel caminetto. Una lieve fiammata gli illuminò per un istante il viso, prima di tornare docile tra le braci. Gemette, passandosi una mano tra i capelli ribelli. Aveva un disperato bisogno di fumare, ma era consapevole che consumare le sue limitate scorte per un capriccio sarebbe stato un grave errore. Finché era in grado di controllarsi sarebbe andato tutto bene, anche se quel bene era paragonabile a un calcio in culo.

Nell'udire quella velata accusa, Keiran si bloccò per un momento. Inspirò rumorosamente dal naso, sfoggiando tutto il suo disappunto. Il suo accento divenne più evidente. «Frena i cavalli1! Mi stai davvero incolpando? Perché, se la memoria non mi inganna, sono stato l'unico a opporsi fin da subito al suo piano, mentre tu eri a crogiolarti nell'autocommiserazione! Sai bene che non è facile dirle di no. A volte fa più paura dei fantasmi...»

«Forse non hai capito il problema.» Ren lasciò perdere il focolare e coprì la distanza che li separava, afferrando bruscamente i braccioli della sedia e mettendo così fine ai suoi deboli tentativi di scostarsi. Keiran sussultò e deglutì sonoramente, ma lui continuò a protendersi verso il suo volto pallido finché non riuscì a contargli le lentiggini una per una.

«Tu non devi avere paura dei fantasmi, o di Alex» mormorò con voce soave. «È di me che devi preoccuparti. Perché conosco ottimi nascondigli in cui nessuno troverà mai i tuoi resti se...»

When the children playDove le storie prendono vita. Scoprilo ora