31. L'unica parte da cui stare

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Il senso di smarrimento che la travolse fu tale da paralizzarla.

Alex ansimò, non riconoscendo l'ambiente che la circondava. Per un momento, il panico mitigò il dolore sempre più pressante che le invadeva le membra. La testa le martellava nel tentativo di ricostruire i fatti che l'avevano condotta fino a quel punto, sfuggenti come briciole di pane che le scivolavano tra le dita. Una parte di lei era consapevole di essere riuscita nel suo intento: percepiva gli artigli di Mrs. Pennington graffiare contro le tavole del secondo piano dove l'aveva imprigionata; avvertiva che nessuno dei ragazzi alle sue spalle era rimasto ferito così gravemente da rischiare la vita, ma il resto... era troppo. E più riprendeva consapevolezza di sé, più si sentiva soffocare.

La liberazione di perdere finalmente il controllo.

La rabbia di essere imprigionata.

Il terrore con cui Dahlia le aveva parlato, supplicandola di ritornare prima che fosse troppo tardi.

E poi realizzò. Realizzò che cosa aveva fatto e il fiato le si bloccò in gola. Aveva infranto il velo, entrando nell'Altro Mondo con il suo corpo fisico attraverso l'oscurità, e ne avrebbe pagato presto le conseguenze. Perché anche se in quella realtà la sua anima aveva assorbito il peggio degli attacchi del demone, non ne era comunque uscita incolume nonostante la mancanza di ferite visibili.

Erano stati vicini troppo a lungo. Kieran l'aveva avvisata.

Ignorò l'esclamazione di Ren. Un gemito scivolò dalle labbra.

«Alex?»

La voce incerta di Emily la frastornò. La sentì avvicinarsi, nonostante la titubanza le irrigidisse gli arti. Aveva paura di lei e ne aveva tutto il diritto. La comprendeva.

Alex ricambiò il suo sguardo sconvolto da oltre la spalla. Fu sul punto di affrontarla, dirle qualcosa, forse spiegarsi, quando un conato le percosse il petto come una palla da demolizione. Le gambe le cedettero e si ritrovò a cadere a terra, scossa dai tremiti. Riuscì a fare perno sulle braccia e a sollevarsi quel tanto che bastava per aprire la bocca e vomitare un fiotto scuro che le schizzò sulle mani pallide. Il sapore ferroso e acido del suo stesso sangue la fece lacrimare, lo sforzo le mozzò il fiato. Tossì fino a scorticarsi ancora di più la gola irritata.

«Merda...» gracchiò, sperando che quell'agonia fosse terminata quando un nuovo conato la travolse.

Attorno a lei si scatenò il panico, peggiorando la situazione. Percepì malamente i passi e gli ansiti che bombardavano l'aria, non riuscendo a distinguerli dal chiasso con cui la martoriarono. Chiuse gli occhi, lottando per salvaguardare la propria integrità, ma qualcosa di duro la colpì con forza alla spalla, facendola cadere di schiena.

«No, Alex!»

Le urla aumentarono e s'interruppero di colpo. Frastornata, Alex sollevò le palpebre, scorgendo una sagoma giallo e nera davanti a lei che le dava la schiena, le braccia protratte in segno di resa. Emily non fece l'errore di voltarsi a guardarla, ma tremò così tanto da incespicare quel che bastava da permetterle di notare la canna del fucile puntata verso di loro. O meglio: verso la sua testa.

«Togliti di mezzo!» sbraitò una voce distorta dall'ira, sputacchiando dalla foga.

«Ti prego, non farlo...»

«Mark, non osare!»

«Non provate ad avvicinarvi o faccio saltare il cervello a entrambe!»

I passi si bloccarono, arrivando a un'impasse. La preoccupazione generale fu sovrastata dall'ira ribollente che invase Ren e tracimò come una colata torbida. Alex rabbrividì, sperando di non esserne colpita. Doveva ricostruire subito le proprie difese prima che fosse troppo tardi, ma quegli idioti non le lasciavano un attimo di respiro a causa delle loro povere scelte di vita. Forse la soluzione migliore era davvero ucciderli, dopotutto. La sua psiche ne avrebbe solo giovato.

When the children playDove le storie prendono vita. Scoprilo ora