28. Curiosity killed the cat

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«Tutto qui?»

Alex si voltò di scatto verso Dahlia, fingendosi offesa nel notare l'espressione per nulla entusiasta con cui sondava i dintorni.

«Come "tutto qui"? Che ti aspettavi?»

«Beh, essendo la tua mente immaginavo qualcosa di diverso rispetto a... questo» obiettò la bambina, indicando con un gesto annoiato la vastità immacolata che le circondava. Certo, non vi era alcuna texture, odore o colore e nemmeno un negozio di souvenir, ma era pur sempre un luogo riservato e controllato dove nessuno avrebbe potuto spiarle o intromettersi. Quindi quel "tutto qui" se lo sarebbe fatta andar bene.

Alex sapeva che doveva giocare bene le sue carte, per cui si costrinse a fare la brava e non prenderla sul personale. Dopotutto, invitare un fantasma dentro di sé era una cosa, ma lasciarlo girovagare allo stato brado nella propria mente non era per nulla una mossa furba. Forse doveva incominciare a lavorare sull'amor proprio.

«Non è una cosa carina da dire come ospite» replicò.

«Non è carino disintegrare il fratello di qualcuno, ma ciò non ti ha impedito di prendere a sprangate Dorian.»

Avvertì uno spammo all'occhio. Più prolungava la compagnia con quella bestiolina, prima voleva levarsela dai piedi. Dov'era finita la bambina timida e introversa apparsa nei ricordi dei marmocchi che parlava a malapena? Si sentiva vittima di una truffa in piena regola.

«Come sei drammatica» sbuffò Alex in risposta, posando le mani sui fianchi. «E comunque è stato solo un colpo netto e pulito. Sarò come nuovo prima che tu possa renderti utile, quindi risparmiami le lamentele. Credevo che l'avessimo superato.»

Fu la volta di Dahlia a lanciarle un'occhiataccia, ma prima che potesse replicare, Alex la anticipò. «Ma se tieni tanto alle apparenze, posso sempre fare questo.»

Visualizzò uno scenario casuale e schioccò le dita.

Il cambio fu così repentino che Dahlia non ebbe la possibilità di prepararsi a esso, rendendo la sua reazione genuina. Entrambe rimasero in silenzio, scrutando il paesaggio che si era materializzato attorno a loro in una tavolozza di colori vivaci. Il prato fiorito ondeggiò sospinto dalla lieve brezza che scivolò tra le spighe in una sfuggente carezza, sprigionando nell'aria il profumo della primavera. Poco distante, il pigro gorgoglio del laghetto punteggiato da ninfee risuonava placido, riflettendo la luce del sole in un caleidoscopio di sfolgorii. L'attenzione di Alex, tuttavia, fu calamitata dal piccolo gazebo bianco dove era stato bandito un piccolo rinfresco per pura casualità. Quasi non badò a Dahlia, paralizzata e sopraffatta da quella cacofonia di sensazioni che non percepiva da decenni data la sua condizione. La bambina interruppe il lieve tremore che le aveva ghermito le palpebre chiudendo gli occhi e protendendo il viso verso il cielo terso, socchiudendo le labbra in un silenzioso gemito di piacere, mentre la rigidità che le intorpidiva le membra si dissipava sotto il tepore dei raggi del sole.

Alex si voltò verso il gazebo per nascondere il sorrisetto di vittoria. L'idea di base era quella di creare un luogo accogliente e arioso in modo da abbattere le difese della bestiolina in tiro mancino degno di un fuori campo e chi meglio di Monet poteva aiutarla in tale impresa? Ma come nelle moderne AI, il suo mix di ricordi e immaginazione arrivava fino a un certo punto. Se tutto andava come previso, Dahlia sarebbe stata troppo intontita per concentrarsi sui dettagli e notare così le possibili aberrazioni nate da quella accozzaglia di tele. Sperò solo di non aver creato per sbaglio un branco di tacchini mutati e idrofobi.

«Forza, andiamo.»

«Questo non è reale» soffiò Dahlia in tono accusatorio, la voce irritata spezzata da un singhiozzo arido.

When the children playDove le storie prendono vita. Scoprilo ora