Why you don't remember?

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Non seppe che cosa l'aveva svegliata.

Se fosse stato l'eco dell'urlo che ancora vibrava nella sua gola o il calore fluido che le scivolava lungo la pelle; oppure il ritmico quanto fastidioso bussare contro la porta. Un momento prima, Alex era incosciente e in quello successivo stava osservando con occhi sbarrati la sua vecchia cameretta, il piccolo petto che si alzava ed abbassava freneticamente.

Il suo sguardo vagò confuso nella penombra, cercando di sondare i dintorni per ritrovare il senso di sicurezza che l'aveva abbandonata. La pianola e il violino erano abbandonati in un angolo accanto la cassettiera, così come numerose frotte di peluche, bambole e altri giocattoli erano ammassati sul pavimento e sui ripiani. Ogni tanto, in mezzo a quel marasma, spiccavano torri di libri ordinati in ordine alfabetico e per argomento, dato che la libreria appositamente costruita per lei da suo padre straripava ormai da anni. Al centro della stanza, il poco spazio ancora disponibile era occupato da un tavolino per il tè, circondato da quattro piccole sedie. Alex non aveva mai saputo che cosa farsene da quando i suoi genitori glielo avevano regalato, ma era arrivata alla conclusione che tutte le bambine normali erano solite organizzare tea party con i loro pupazzi preferiti; o amici immaginari all'occorrenza. Lei non aveva mai preso il tè con le bambole. Né con i suoi peluche.

A dieci anni aveva sviluppato un concetto di amicizia alquanto discutibile, ma era il solo che poteva permettersi date le circostanze.

«Tesoro, va tutto bene?»

Udì di nuovo il richiamo di Clarissa, ma non rispose subito. Con la coda dell'occhio scorse una piccola creatura spaventata nascondersi dietro a un leoncino di pezza.

«Tesoro, ti prego, rispondimi. Ti abbiamo sentita urlare. Hai avuto un altro incubo?»

A quel punto Alex si lasciò scappare un sospiro sofferto. Allungò un braccio verso l'abat-jour sul comodino. «Sì, Clarissa. Sto bene.»

Ma quando la luce inondò la stanza, Alex impallidì. Si immobilizzò, osservando il proprio arto ancora proteso, le impronte rossastre e violacee che ne macchiavano la pelle. Il sangue colava lento dai graffi, creando vie vermiglie che si univano tra loro. Trattenendo un ansito, afferrò le coperte e le gettò a terra scoprendo le gambe nelle medesime condizioni. L'orlo della sua camicia da notte era macchiato.

«Ne vuoi parlare? Il dottor Harvey ha detto che può essere utile per...»

«No, mam...» Alex si bloccò e chiuse gli occhi. Fece un respiro profondo nel tentativo di controllare il proprio tono. «...Clarissa. È stato solo un incubo. Ormai l'ho dimenticato.» Appena terminò la frase, scattò in piedi e si diresse il più silenziosamente verso la cassettiera. Rovistò tra i cassetti, gettando a terra diversi indumenti nella fretta, finché non trovò quello che cercava: le garze di scorta.

«Ne sei sicura?» Non sembrava mollare il colpo. «Posso provare a chiamare lui, in caso.»

Nell'udire ciò, Alex si fermò, la fasciatura del braccio sinistro quasi completa. Lui... chi?

«Sto bene, davvero» provò a convincerla di nuovo, tamponandosi il sangue che le scivolava lungo il polpaccio. Era solo questione di tempo prima che le ferite si fossero rimarginate, ma nel frattempo avrebbe dovuto arrangiarsi con quello che poteva per non lasciare prove in giro.

«Potrei stare un po' con te finché non sarai più tranquilla. Magari possiamo leggere qualcosa insieme...»

«Basta, Clarissa!» tuonò all'improvviso Alex, ormai stufa di quella conversazione unilaterale. Una delle garze che teneva in mano le sfuggì dalle dita, finendo a terra con un lieve tonfo. Nel percepire il singulto della donna al di là della porta, si rese conto della propria reazione. Chiuse gli occhi e s'impose di calmarsi. Quando li riaprì, li puntò sulla soglia. «Mi dispiace» disse. «Ma sto bene. È stato solo un brutto sogno, nulla di preoccupante. Torna pure a dormire... mamma.»

When the children playDove le storie prendono vita. Scoprilo ora