6. Un duetto perfetto

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Quando la porta si richiuse alle sue spalle con uno sgradevole gemito causato dai cardini usurati, Ren capì due cose. La prima era che, da qualche parte, si era aperto un portone che doveva velocemente sprangare e, grazie alle interminabili maratone di TWD¹, era sicuro di compiere un buon lavoro, dato che aveva perfezionato la sua tecnica in materia; la seconda, forse la più importante, era la possibilità di essere fottuto come mai in vita sua. I gemiti e le imprecazioni soffocate che trapassavano il legno, come se volessero colpirlo fisicamente per smentire il significato delle minacce a vuoto, ne erano un valido esempio.

Sospirando, si appoggiò di peso sulla porta, la schiena che premeva contro la fredda superficie consunta. Con movimenti celeri iniziò a cercare nelle tasche della giacca il suo portasigarette. Aveva bisogno di calmarsi, di lasciare che il fumo lo aiutasse a essere obiettivo. Doveva rimanere concentrato prima che la situazione gli sfuggisse di mano ed essendo circondato da idioti era solo una questione di tempo.

Aprì con uno scatto la scatola di metallo e si portò alle labbra una sigaretta rollata. Quando alzò lo sguardo per accenderla, si rese conto di avere tutti gli occhi puntati contro. Aveva già riavviato il generatore situato in cucina prima di ritornare nel salotto, per cui l'intero pianterreno era illuminato dalle lampade a muro ancora funzionanti. Purtroppo, non poteva fare molto per migliorare il panorama. Azionò lo zippo, avvicinando la fiamma all'estremità della sigaretta e ne prese una lunga boccata.

«Mi pare che abbiate di meglio da fare, o sbaglio?» chiese, espirando il fumo. Dal salotto provenne un tonfo soffocato seguito da un'imprecazione. Lo sgorbio doveva essere passato dalla fase "maledici i morti e le future generazioni" a "prendi a calci e distruggi tutto quello che ti capita a tiro". Nel caso della faccia dell'irlandese forse poteva considerarsi come un miglioramento.

«Lo sai anche tu che è una pessima idea» sentenziò Mark, incrociando le braccia al petto.

Ren sollevò un sopracciglio. Prese un'altra boccata, cercando di non sorridere a quell'ingenuo tentativo di tenergli testa. «Hai forse paura di essere preso di mira da un fantasma? Forza, muovi il culo e porta con te Sarah, prima che John decida di deliziarci con il concepimento di un cinegro.»

«Ehi!» sbottò l'altro, impegnato fino a poco tempo prima nel tentativo di tranquillizzare la ragazza, che arrossì a disagio nell'udire quella constatazione. «Sei proprio uno stronzo.»

«Grazie, lo so. E ora andate. Prima ci muoviamo, prima troveremo un'uscita da questo buco. E tu» si voltò verso Leyla, cogliendola con la bocca a aperta mentre stava per sganciare qualche altra frase dalla dubbia utilità. «Cerca di non lamentarti troppo. A Mark piacciono le bionde. Non è così?»

L'amico lo fulminò con lo sguardo, ma non rispose a quella provocazione. Dopo aver affiancato Sarah e aver preso per un braccio Leyla che ancora traballava sui tacchi a spillo, le guidò verso le scale di servizio più vicine. E il primo gruppo sparì così dalla lista delle cose da fare. Ora toccava al secondo.

Fece per voltarsi verso i rimanenti, quando John lo fronteggiò. Dalle spalle tese e il petto in fuori sembrava in cerca di rogne. Ren sorrise languidamente. Anche se John lo superava di qualche centimetro, avrebbe potuto stenderlo senza alcun problema e le numerose risse da bar nei loro trascorsi ne erano una valida testimonianza. Per essere entrato nel giro da pochi anni, Ren era riuscito a raggiungere la vetta della scala gerarchica piuttosto in fretta grazie a una sola e semplice regola: pura violenza. Sfidarlo apertamente poteva considerarsi come un invito all'obitorio e in quel momento non era in vena di diplomazia.

«Non so a che gioco stai giocando, Rennis, ma abbiamo già controllato le finestre al pianoterra» sentenziò l'amico.

«E allora ricontrollatele di nuovo» sbottò lui, distaccandosi dalla porta. Strinse la sigaretta tra i denti e si mise le mani in tasca, ciondolando sui talloni mentre Dakota, come al suo solito, si metteva in mezzo. Perché le ragazze dovevano sempre stare tra i piedi?

When the children playDove le storie prendono vita. Scoprilo ora