CAPITOLO 47 - ORA È TUTTO CHIARO

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<<Mickey, ti ricordi di Harry?>>, dissi frettolosamente alla mia coinquilina che ci osservava con la mascella spalancata, mentre le passavamo davanti per andare in camera mia.

Feci entrare Harry, che la salutò appena con un cenno della mano e poi richiusi la porta, senza neanche darle il tempo di rispondere.

Io mi accomodai sul letto, a gambe incrociate mentre lui era indeciso se avvicinarsi o meno. Gli indicai la sedia della scrivania.

La luce fioca dell'abat-jour lo illuminava appena, ma bastò a farmi notare ogni particolare in lui. Sotto la giacca di pelle che aveva appena sfilato indossava una camicia nera, sportiva, con le maniche arrotolate fino ai gomiti e portata sbottonata, dalla quale spuntava una t-shirt bianca con una stampa. I suoi soliti jeans neri attillati gli calzavano addosso come un guanto, fasciandogli le gambe snelle e muscolose. Ai piedi indossava gli stivaletti a punta dai quali difficilmente si separava. Le braccia tatuate e il volto sembravano abbronzati e la barba era stata rasa da pochissimo, a giudicare dal profumo di dopobarba che emanava la sua pelle liscia.

Harry si accorse che lo stavo fissando e distolse lo sguardo, forse imbarazzato per la prima volta in vita sua. Io feci lo stesso, concentrandomi su un filo che spuntava dalla trapunta. Ma poi lui tornò a guardarmi.

<<Christine>>.

Il semplice suono del mio nome che uscì così dolcemente dalle sue labbra bastò quasi a far si che gli corressi incontro per abbracciarlo piagnucolando. Mi trattenni per puro miracolo, ma quando alzai gli occhi per guardarlo erano pieni di quel maledetto liquido salato che mi aveva fatto compagnia in tutti quei giorni.

<<Oh, Christine, ti prego perdonami, sono stato un idiota. Ti ho trattata malissimo e me ne vergogno>>.

Mi avevano ferita le sue parole quel giorno, tuttavia la cosa che mi aveva fatto più male era stato il suo silenzio nei giorni a venire. Non volevo dirglielo, per orgoglio, ma volevo una spiegazione. Qualcosa di razionale a cui aggrapparmi che giustificasse un'assenza tanto dolorosa quanto assurda, per me.

<<Se davvero te ne sei pentito come dici, perché non mi hai cercata?>>.

<<Credimi, avrei voluto, ma non potevo. Ci è stato proibito usare i cellulari e nel posto in cui mi trovavo non c'erano le cabine telefoniche>>.

<<Perché, dove sei stato?>>. Ero ancora incredula, mi sembrava tanto una scusa. Un modo come un altro per giustificare il suo allontanamento.

<<In Tanzania. Non ero in vacanza, credimi>>, aggiunse, vedendo il mio sguardo accigliato. <<Ti ho spiegato che il mio è un lavoro... particolare. Il fatto che non te ne possa parlare non mi aiuta di certo, ma tu devi fidarti di me>>.

<<Come faccio a fidarmi ancora di te? Hai idea di quello che ho passato? Mi hai detto cose orribili e poi sei sparito per una settimana. Adesso ti presenti qui e pretendi fiducia da me? Sei ridicolo>>. La rabbia stava di nuovo facendo capolino e le ultime frasi le urlai con tale foga che mi si incrinò la voce.

Harry si alzò e mi venne incontro, sedendosi sul letto accanto a me. Mi afferrò i polsi che culminavano in due piccoli pugni serrati.  Mi strattonò leggermente, come per farmi ragionare. Il contatto con la sua pelle calda dopo tutti quei giorni mi diede quasi la scossa elettrica. Ricominciai a piangere, maledizione.

Harry mi lasciò andare e mi circondò il viso con le sue grandi mani. Con i pollici mi asciugò le lacrime. <<Sono stato un codardo. Non ti ho fermata perché sono stato un codardo>>.

Ecco, l'aveva detto finalmente.

<<Quello che abbiamo, quello che siamo io e te è tutto nuovo per me e ho avuto paura. Sin da quando ti ho vista per la prima volta in casa mia ho avuto paura di perderti, ma più di tutto ho avuto paura delle mie stesse reazioni, di quello che tu hai suscitato in me dal primo momento. E cosa fa una persona quando ha paura, Christine?>>.

Finalmente iniziavo a capire.

<<Scappa>>, gli risposi.

<<Scappa>>, mi confermò lui, prima di proseguire. <<Non è una giustificazione valida, ma è la verità. E sai chi è stato a farmene accorgere? Louis>>.

<<Louis?>>.

<<Già, proprio lui. Dopo che te ne sei andata me lo sono ritrovato accanto, mentre ero intento a sfasciare tutto ciò che avevo davanti>>.

D'istinto gli guardai le mani e notai le croste sulle nocche.

<<E tu gli hai raccontato tutto?>>.

<<Ho dovuto farlo. Avevo bisogno d'aiuto. Ovviamente ho omesso nel dettaglio i tuoi incubi e della morte di tuo padre, ma per il resto sa tutto>>.

<<E lui cosa ti ha detto?>>.

<<Mi ha suggerito di correre da te e di chiederti scusa>>.

<<Beh, non mi sembra che tu gli abbia dato retta>>, dissi stizzita.

<<L'ho fatto eccome invece. Sono qui, no? Solo che mi ci è voluto un po' di tempo per... accettarlo, diciamo>>.

<<Accettare cosa?>>.

Lui rimase in silenzio per alcuni istanti, distogliendo lo sguardo da me, come per prendere coraggio. Io ero in trepidante attesa. Sentivo che quello che stava per dirmi avrebbe potuto cambiare la mia vita per sempre. Con il cuore a tamburo battente tentai di riportare quei pozzi di giada su di me.

Quando parlò di nuovo erano arrossati e lucidi, prese un bel respiro e con voce roca mi disse: <<... che non posso più vivere senza di te>>.

Adesso era tutto molto più chiaro.

Poachers || H.S. Where stories live. Discover now