CAPITOLO 1 - LA LETTERA

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Pochi semplici gesti, meccanici e inconsci, ogni santo giorno da un anno e mezzo a questa parte. Chiudi la porta di casa, sali in macchina, accendi l'autoradio e vai a lavoro. Tutto come un automa.

Dal mio primo giorno di lavoro come infermiera nel reparto di EMODIALISI del Folden's Hospital, non era cambiata molto la mia vita. Per essere una ventitreenne effettivamente dovevo essere di una noia mortale.

Casa, macchina, traffico, lavoro, macchina, supermercato, macchina, casa. Niente feste, niente discoteche, il cinema o un pub, qualche volta. Molte poche a dire il vero.

E soprattutto niente fidanzati. Ero timida e riservata con l'altro sesso, come se non mi sentissi mai a mio agio in nessuna situazione mi circondasse.

Ovunque mi trovassi, e con chiunque soprattutto, non vedevo l'ora di scappare e salire sulla mia adorata macchina, una Ford Ka di seconda mano, che speravo mi riportasse a casa il più in fretta possibile.

E per questo i ragazzi mi giravano alla larga, il più delle volte.

Non era sempre stato così però. Me lo ricordo come se fosse ieri il giorno in cui costruii attorno a me quella corazza. Era il giorno in cui mia madre quasi svenne, lasciando cadere dalle sue mani una lettera.

Su quella lettera c'erano scritte diverse cose, ma solo una rimase impressa nella mia mente come marchiata a fuoco:

RICHARD ADDAMS - DECEDUTO A BRAZZAVILLE, REPUBBLICA DEL CONGO, IL 19/11/2007.

Compivo 15 anni quel giorno. E dal quel giorno la mia vita non fu più la stessa.

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