CAPITOLO 18 - LA BAITA

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"Edward ciao. Quello che è successo sabato sera mi ha spezzato il cuore. Ho pensato che in realtà non ti fosse mai importato niente di me e che la nostra amicizia fino a quel momento fosse stata solo un'illusione. So che anche io ti ho ferito e per questo ti chiedo scusa. Non avrei dovuto ricambiare il tuo bacio, anche se per pochi attimi, perché come dici tu, ciò che provo per te è solo una profonda amicizia. Mi dispiace se in qualche modo ho fatto sì che tu pensassi il contrario. Non ho mai voluto illuderti. Forse un giorno le cose cambieranno, non lo so, ma per ora posso dirti solo che ho bisogno di te, come amico e collega. Ti voglio bene Eddy e te ne vorrò sempre, qualunque cosa accada.
Christine".

Premetti invio e il messaggio partì, dritto verso il cellulare di Edward. Sentivo il cuore più leggero. Finalmente ero riuscita a scrivergli tutto ciò che mi portavo dentro da due anni. Speravo solo che la nostra amicizia superasse l'enorme ostacolo che erano i suoi sentimenti nei miei confronti. "Prima o poi gli sarebbe passata", mi ripetevo. Più che altro per autoconvincermene.

Finalmente vennero le 6.00 del pomeriggio. Raccolsi le mie cose e salii in macchina, pronta a tornare a casa dopo il primo giorno di lavoro della settimana. Edward era in ferie e forse qualche giorno di lontananza avrebbe fatto bene ad entrambi.

Iniziai quella settimana di lavoro in maniera più spensierata rispetto alla precedente, nella quale, rispetto ai miei soliti standard, era successo di tutto: l'incontro del ragazzo senza identità, i suoi amici che mi portano in un pub per chiedere di lui, il bacio con Edward, gli strani sogni.

In quel momento, guidando la mia macchina verso casa, tirai un sospiro di sollievo, sentendo che avevo ormai accantonato quella strana serie di eventi. Quando percorsi il viale alberato della mia via però il mio cuore precipitò. Posteggiato di fronte all'appartamento c'era un suv nero. E non ebbi dubbi stavolta che si trattasse proprio di quel suv, perché appoggiati ad esso c'erano loro.

Posteggiai la macchina e scesi con il cuore che mi martellava nel petto. Che diavolo potevano volere ancora?

<<Ciao Christine>>, mi disse quello con la barbetta che aveva parlato per primo la scorsa sera.

<<Ci si rivede, a quanto pare>>, aggiunse un altro, con folti capelli scuri e profondi occhi marroni.

<<Come avete fatto a sapere il mio indirizzo?>>. La mia voce era ferma nel chiederlo, ma in realtà celava la paura. Fino a che punto erano in grado di arrivare?

<<Folden è una piccola città, non è stato difficile>>.

Ero nei guai. Adesso sapevano anche dove abitavo.

<<Volete di nuovo rapirmi per strapparmi altre informazioni?>>, chiesi sarcastica incrociando le braccia al petto. Ostentavo una sicurezza che in realtà non avevo, come meccanismo di difesa. Pensai ai piccoli chihuahua e a quanto doveva essere dura la loro vita, sempre a tentare di fare la voce grossa per sembrare più minacciosi di quanto in realtà non fossero.

<<Non proprio>>, rispose il biondino.

<<Beh, ad ogni modo non posso più esservi di alcuna utilità. Il vostro amico venerdì notte è scappato dall'ospedale>>.

<<Ma non mi dire>>, sussurrò uno di loro a voce talmente bassa che dubitai del fatto che avesse voluto farsi sentire. Il suo tono era sarcastico e nient'affatto sorpreso dalle mie parole.

<<C'è ancora qualcosa che puoi fare per noi, comunque. Hai da fare?>>.

Presa in contropiede titubai un attimo nel rispondere e loro ne approfittarono.

<<Bene, salta su. Verrai con noi>>, e in un attimo il biondo mi aprì la portiera posteriore mentre gli altri tre entrarono subito in macchina.

"Accidenti, non di nuovo", pensai. Tuttavia qualcosa nella mia testa mi spinse ad entrare. Era la curiosità e io ne avevo da vendere, accidenti a me. Pregai solo di non dovermene pentire.

<<Senti, dovresti mettere questa>>, mi disse, con voce incerta il biondo, che si era seduto accanto a me. Aveva in mano una lunga benda nera.

<<Cosa? Ma state scherzando?>>, chiesi alzando la voce di almeno due ottave. Non potevo credere che volessero bendarmi.

<<Ti sembriamo tipi che scherzano? Su, indossala e non fare tante storie>>, mi disse quello alla guida che non mi aveva staccato gli occhi di dosso neanche un attimo attraverso lo specchietto retrovisore. Probabilmente aveva paura che mi buttassi giù dall'auto in corsa e rovinassi i loro piani.

<<Per favore?!>>, aggiunse il biondo con aria implorante. Sembrava più una domanda che un imperativo. Era chiaro che tra i quattro fosse il più gentile di tutti.

Alla fine gliela strappai di mano e mi legai quella cosa dietro la nuca.

<<Immagino che se vi chiedessi dove mi state portando fareste di nuovo scena muta>>.

<<Perspicace la ragazza. Vedo che cominci a conoscerci>>.

Senza aggiungere altre parole inutili appoggiai la schiena al sedile e chiusi gli occhi. Tanto non avrei visto niente comunque.

Dopo quello che mi sembrò un viaggio interminabile il fuoristrada iniziò a rallentare e finalmente mi tolsero la benda dagli occhi. Era buio fuori, un po' per l'ora, un po' per i finestrini oscurati e poi perché ci trovavamo su una strada fittamente costeggiata da alberi. Eravamo in una sorta di bosco.

La strada mutò pendenza, procedendo sempre più in salita, alla fine della quale comparve davanti ai miei occhi una baita.

Era interamente costruita in legno e mattoni. Aveva uno stile rustico, tipico delle baite di montagna e sembrava fosse a due piani.

Di fronte ad essa vi erano parcheggiate altre due macchine: un'anonima utilitaria e un pick up. Lo spazio intorno alla baita era enorme e contornato da spesse mura di cinta in cemento, molto alte. Dall'esterno sarebbe stato impossibile sbirciare all'interno.

"Un nascondiglio perfetto", pensai scossa da un brivido che mi attraversò tutta la colonna vertebrale. Trovarmi in quel posto sarebbe stato praticamente impossibile, semmai qualcuno fosse venuto a cercarmi.

Mi guidarono verso la porta d'ingresso dell'abitazione. Notai anche che tutte le finestre erano chiuse e le tapparelle abbassate. Si stavano nascondendo, era evidente. Ma da cosa?

<<Accomodati>, mi disse aprendo la porta il ragazzo con la barbetta, che decisi essere il capo dell'operazione.

Feci un paio di passi incerti ed entrai in casa. Il grande salone che avevo di fronte era semi buio, illuminato solo da uno scoppiettante camino acceso e dalla fioca luce proveniente da un televisore. Da quello che potevo vedere l'arredamento era in stile country e si adattava perfettamente alla baita e ai suoi soffitti di travi in legno.

E c'era un gran casino. Disordine ovunque. Avevo già l'orticaria, essendo affetta da una sorta di disturbo ossessivo - compulsivo per l'ordine. Bottiglie vuote di birra e posacenere straripanti erano depositati un po' ovunque e vari indumenti (forse anche delle mutande) erano sparsi in ogni superficie libera. Scarpe spaiate e avanzi di cibo completavano il delizioso quadretto degli orrori.

I miei occhi curiosi continuarono l'esplorazione di quello strano luogo quando caddero all'improvviso sulla figura stesa sull'enorme divano di fronte alla televisione. L'avrei riconosciuta fra mille altre.

Avvolto in un bozzolo di coperte e scosso da forti brividi c'era lui.

C'era il ragazzo.

Poachers || H.S. Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt