6.2. Porcorosa Fluffoloso

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Emily scoppiò a ridere in modo incontrollabile. Keiran sorrise sollevato nell'accorgersi che la ragazza aveva ritrovato un po' della sua solare spensieratezza, ma Alex si limitò a osservarla di sottecchi, per nulla soddisfatta, anzi... sembrava ancora arrabbiata. Posò lo sguardo sul fuoco morente.

Dopo qualche istante di silenzio, Alex parlò.

«Emily, hai per caso con te uno di quei libri che ti piacciono tanto? Quelli scritti male, senza trama, pieni di cliché e di ragazzi con gli addominali perfetti e protagoniste con le gambe sempre aperte per essere socialmente utili?»

A quella strana richiesta, Emily aggrottò la fronte. «No, ho solo un nuovo romanzo che devo ancora finire. Perché?» le domandò stranita, ricambiando il suo sguardo di sfida.

«Oh, nulla. Era solo per alimentare il fuoco.»

Emily la fulminò con lo sguardo. «Lo sai che ormai la maggior parte dei libri di oggi vengono letti in formato digitale, vero?»

Silenzio.

Entrambe mantennero il contatto visivo in quel momento di stallo.

«Tu mi odi, non è così?» chiese Alex.

«Molte volte» ammise l'amica, annuendo.

Dopo qualche istante, Alex sospirò rassegnata. «Ecco perché la gente è sempre più stupida...» bofonchiò in tono appena udibile.

Si stiracchiò, sollevando le braccia sopra la testa e piegando il collo indolenzito. Poi rimase in attesa, osservando i due ragazzi, che ancora la stavano scrutando.

«Posso almeno sgranchirmi le gambe o anche per quello devo avere il consenso di Ren?» sbottò.

Emily scosse la testa impazientita, ma Keiran non riuscì a trattenere un sorriso. «Fai pure.»

Facendo attenzione e non perdere l'equilibrio, Alex si alzò e fece qualche passo nel salotto silente. I muscoli gemettero a causa della forzata immobilità, ma dopo qualche movimento controllato incominciarono a sciogliersi e a tornare operativi. E questo era un bene per i suoi piani di fuga.

Si guardò attorno. Lo spazio sembrava molto più grande, ora che erano rimasti solo loro tre a presidiare il forte. Anche se definirsi in tre era un eufemismo di cattivo gusto. Ogni volta che aveva chiuso gli occhi, ogni volta che aveva provato di cadere nelle braccia di Morfeo mentre aspettava il ritorno degli altri, nella sua mente erano continuate a echeggiare quelle fastidiose voci. E non era nemmeno la parte peggiore. Non con le loro fredde mani che le accarezzavano il viso e il corpo mentre le mormoravano frasi dalla dubbia utilità, condite da un'ovvietà che l'aveva irritata al punto da soffocare la preoccupazione che avrebbe dovuto provare in un contesto simile.

"Non saresti dovuta venire qui..."

"Vai via..."

"L'oscurità freme"

Magari... ditemi qualcosa che non so. Bofonchiò mentalmente.

Sospirando, finì con il sbattere la coscia contro il tavolino deposto vicino al fuoco. Alcuni foglietti rischiarono di cadere oltre il bordo, ma riuscì a ghermirli appena in tempo, stropicciandoli tra le dita. Impiegò una frazione di secondo per rendersi conto della loro natura: erano gli appunti di Sarah.

Posandoli nuovamente sulla superficie liscia del mobile e disponendoli in ordine in modo che fossero tutti visibili, incominciò a studiarli, il viso inclinato e perso in un'infantile curiosità.

Le prime annotazioni erano scritte nell'impeccabile grafia della ragazza; le frasi erano disposte in modo ordinato e la pressione della penna sul foglio era così leggera da non lasciare alcun solco. Eppure, man mano che la seduta procedeva, le parole tracciate sulla carta erano state trascritte in fretta e in modo poco accurato, lasciando perdere le righe di riferimento e premendo la biro così forte al punto che alla fine di alcune parole l'inchiostro aveva quasi oltrepassato la sottile membrana di cellulosa. Fortunatamente per lei, la giovane era riuscita a trascrivere anche le combinazioni create dai dadi, non solo le risposte date dagli spiriti.

When the children playWhere stories live. Discover now