Capitolo 47: qualcosa di importante- 1° parte

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Solarbiom, città della regione Fiamma

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Solarbiom, città della regione Fiamma. 16 maggio 496, anno del Pavone.

Danzava e sorrideva fra sé, Noemi, felice che presto una carrozza l'avrebbe portata a Ventalun. Ogni vibrazione di sorriso era accompagnata da una lacrima di commozione. Socchiuse un attimo gli occhi rivivendo i ricordi belli e tristi dell'anno scolastico appena concluso. Le passeggiate nel giardino ammirando il susseguirsi delle stagioni. Le ore trascorse a studiare in biblioteca ogni volta che calava la sera. Le tazzine fumanti di Osmanto così come le fragranti fette di torte che l'avevano confortata nei momenti più difficili. Una dopo l'altra sfrecciarono nella sua mente le immagini delle botteghe di Solarbiom sempre rifornite di merci e pullulanti di chiacchiere. Altre gocce salate scesero infine sulle sue guance rammentando il ballo di fine anno con i petali che le erano scivolati sui capelli mentre danzava con il ragazzo che l'aveva fatta più soffrire.

Sospirando aprì gli occhi e spalancò le ante della finestra dando un'occhiata al panorama illuminato dai raggi brillanti dell'alba mentre una brezza le scompigliò con dolcezza le lunghe ciocche corvine. Oltre quelle colline e le cime innevate che scrutava con ossessione c'era la sua cara Ventalun. Il solo pensiero che poche ore la separavano dal rivederla la scosse con fremiti di gioia. Avrebbe rivisto la sua migliore amica e sopratutto sua zia. Le mancavano i suoi abbracci così tanto desiderati nei momenti più tristi. Perché non c'era calore di amicizia sufficiente per attenuare la lontananza che aveva di lei e di Ventalun. Era il suo mondo. Il nido a cui fare ritorno. Così piccolo e sperduto fra le montagne, ma così bello e prezioso per i suoi occhi. 

Tutto le appariva più denso d'affetto. Ogni ciuffo d'erba. Ciascun sfruscio degli alberi aveva per lei un valore inestimabile. Avvolti da un turbine di emozioni i suoi occhi brillarono di entusiasmo. Le sofferenze, i sacrifici ormai perdevano valore e potenza di fronte ai ricordi del suo paese. Sono arrivata a casa immaginò di bisbigliare chiudendo gli occhi per poi riaprirli. Quelle parole le avrebbe pronunciate nel momento in cui avrebbe incontrato Viola.

Voltandosi verso l'armadio afferrò la valigia appoggiata sopra il mobile, e uno dopo l'altro i vestiti furono riposti dentro di essa. In punta di piedi ruotò più volte direzione. Prima per afferrare alcune candele di cera appoggiate sul comodino, e in seguito alcuni volumi di poesie che le aveva regalato il preside. Nel giro di mezz'ora aveva inserito tutti gli oggetti nella valigia, ma era così piena che fece fatica a chiuderla. Appoggiando entrambe le ginocchia sopra di essa e compiendo manovre acrobatiche riuscì nell'impresa. Ecco fatto pensò soddisfatta osservando il borsone più gonfio di una palla e le cinghie più tese di un arco.

Trascinò la valigia in un angolo e guardandosi intorno fissò la camera per assicurarsi che non avesse scordato nessun oggetto. Era vuota come il primo giorno in cui aveva varcato la soglia della stanza eppure le appariva densa di ricordi. Ormai non poteva più mentire a se stessa: all'interno di quelle mura avrebbe lasciato un pezzetto del suo cuore. Si era affezionata all'essenza di bergamotto impregnata sul legno dei mobili. Così come i raggi dell'alba che si riflettevano ogni mattina sul pendolo dandole il buongiorno. Per un attimo sorrise a tutte le nottate che aveva trascorso a chiacchierare con il libro, e altrettante a dipingere scrutando le fasi lunari dalla finestra. Ricordandosi delle ore passate in compagnia dei pennelli rammentò che stava dimenticando qualcosa di importante. Allungando la mano sulle pieghe del letto afferrò un disegno appoggiato sulle coperte.

«La mia casa, la mia dolce casa» pronunciò sottovoce fissando ogni particolare del ritratto: l'arco creato dai rami intrecciati del glicine. La porta verde e perfino Rubino intento a graffiare la lattuga.

Assorta a perdersi in quei tratti di matita verde, azzurra e lillà si voltò sorpresa verso la porta. Mancava ancora un'ora alla partenza e dubitava che Andrea fosse già venuto a scortarla al cancello. La porta si spalancò, e come aveva supposto non era il vice capitano la persona che avanzò spedita verso di lei. Il mantello scarlatto ondeggiò insieme al ticchettio degli stivali del conte.

«Buongiorno contadina. Vorrei informarvi delle ultime novità. A causa vostra, mio padre mi ha dato una pesante punizione per non aver sorvegliato in modo adeguato i libri proibiti. Dunque anche voi avrete un equo provvedimento per aver stretto fra le mani quei volumi» esordì Ademaro puntandola con un dito mosso dall'impazienza di pronunciare le successive parole.

Compiendo qualche passo in avanti, l'espressione dipinta sul volto del nobile si inasprì fino a divenire uno sguardo furioso, e nei minuti seguenti arricciò le labbra dal risentimento. L'insonnia gli aveva tenuto compagnia nelle precedenti sere scolpendo sul viso delle occhiaie vistose. Notti inquiete in cui il messaggio di suo padre gli aveva strappato via l'unico conforto della sua vita. Anche in quell'attimo le frasi scritte sulla pergamena e rilette fino allo sfinimento le recitò con il pensiero per l'ennesima volta percependo la punta del dolore ferirlo. Il suo orgoglio lacerarsi e ridursi a brandelli.

"Caro figlio. Dopo mesi di riflessione sulla punizione che sono intenzionato a darti per la tua negligenza, riguardo ai libri proibiti, ho deciso che ti saranno interdetti i cavalli per tutta la durata delle vacanze. Ti verrà concesso di cavalcare soltanto asini o muli a seconda del mio umore. Se proverai a farmi arrabbiare un'altra volta, ti garantisco che rivedrai Scintilla soltanto nei tuoi sogni."

Fu la voce squillante della giovane a farlo destare dai pensieri e a impedirgli di sprofondare ancor di più nell'abisso della rabbia. «Ho ricevuto fin troppe punizioni e divieti durante tutto l'anno scolastico. Non vi pare che abbia già pagato per il mio errore?» sbottò la giovane appoggiando il disegno sul letto del tutto contrariata ad accettare ulteriori provvedimenti.

«Le punizioni che finora vi avevo dato erano solo per convincervi ad andarvene da questa scuola. Ora è giunto per voi il momento di ricevere l'ammonimento per aver sfogliato i libri proibiti» pronunciò severo ma percependo al tempo stesso la stilettata dell'altruismo che lo implorava a non compiere il suo proposito. 

Ciononostante furono i ricordi a dargli la spinta a non retrocedere traendo da essi la forza per portare a termine la sua vendetta. Lottò con tutte le forze per scrollarsi di dosso il pensiero che per mesi non avrebbe cavalcato il suo amato cavallo pur di agire in modo imparziale. Tuttavia ottenne l'effetto opposto: non si sentì alleggerito bensì appesantito da nuovo risentimento. Per questo motivo non riuscì più a tenere a freno le emozioni negative, e osservandola minaccioso cercò di annientare ogni singola traccia di scrupolo che tentava ancora di emergere dalla mente. 

La popolana che aveva di fronte a sé l'aveva allontanato dall'affetto più prezioso che possedeva. Per colpa sua gli era stato negato di accarezzare la criniera albina di colui che lo ascoltava senza giudicarlo. L'unico di cui si fidava e con il quale poteva confidarsi senza temere un rimprovero. Il solo che lo comprendeva, e che non faceva alcuna fatica a scorgere il dolore e il peso delle responsabilità che albergavano nella sua anima. Scintilla: una perdita insostenibile da accettare. Si preparò a usare il timbro di voce più grave possibile per ripagarla con la stessa moneta di dolore facendola addentrare nella sua stessa condizione. Di ragazzo ferito e privato del legame più caro che aveva nella vita. 

La Fenice del vento - Sussurro di LunaWhere stories live. Discover now