Capitolo 22: Sussurro di Luna- 1° parte

34 8 8
                                    

Omel, città della regione Fiamma. 6 aprile 496, anno del Pavone.

Per un attimo gli sfuggì un sorriso mentre passò a fianco a una bancarella ricolma di dolci, e assediata da un piccolo gruppo di bambini. Tenendo salde le briglie del cavallo cinereo, Ademaro osservò le manine protese in avanti in attesa di afferrare le fette di torte appena sfornate. Un tempo anche lui si metteva in fila di fronte a quel carretto. Note di limone e di vaniglia si diffusero nell'aria risvegliandogli alcuni ricordi d'infanzia, e una risata improvvisa vibrò nelle sue labbra. Rammentò le numerose volte in cui era riuscito a seminare le guardie incaricate di sorvegliarlo. Le corse rocambolesche nel cuore del pomeriggio pur di aggiudicarsi una porzione di crostata. Tuttavia veniva sempre raggiunto dai genitori. La dolcezza è una debolezza, che non deve essere provata nemmeno una volta nella vita ricordò le parole che gli riferiva suo padre, mentre lo riportava a casa negandogli di addentare un singolo boccone di quel cibo delizioso.

Con una mossa fulminea il conte scese da cavallo, e inarcò un lato della bocca superando la bancarella. A distanza di anni aveva ottenuto la rivincita assicurandosi che ogni mattina, nella scuola del Sole, i tavoli della mensa fossero imbanditi da dolciumi. Affinché a nessuno venisse negato di assaporare la dolcezza. Compì qualche passo in avanti lungo la via affollata e pullulante di chiacchiere. Schivò le occhiate dei curiosi abbassando il capo verso il basso, e calando ancora di più il cappuccio del mantello sul viso. Non doveva farsi riconoscere. Non poteva attirare su di sé l'attenzione della gente. Aveva l'obbligo di passare inosservato in mezzo alla folla come se fosse un fantasma.

Solo quando la luce divenne soffusa, e gli sguardi si diradarono osò scrutare le chiome dei tigli collocati sulle vie. Osservò per pochi istanti le facciate delle case. Nel battito di ciglia seguente, si guardò intorno compiaciuto. Una manciata di mesi era passata, ma Omel era sempre la stessa città. Con le urla dei mercanti a echeggiare intorno alle fontane. I carretti sfrecciare rapidi in tutte le direzioni, e il costante tintinnio delle armature dei soldati che pattugliavano ogni mezz'ora il centro abitato. Passò a fianco alle botteghe senza fermarsi, e tenendo strette fra le dita le briglie del cavallo proseguì a camminare con passo spedito. Di tanto in tanto la coda vaporosa dell'animale si scagliò contro i volti dei passanti inducendoli a distanziarsi dal giovane.

«Grazie per proteggermi dalla curiosità delle persone» gli sussurrò Ademaro accarezzandolo. «Però non mostrarti troppo intelligente. Altrimenti scopriranno che sei incrociato con un unicorno» gli raccomandò un attimo dopo.

Invece di aumentare il passo, il cavallo rallentò di colpo l'andatura rizzando le orecchie all'insù e muovendole scoordinate. Di pari passo nitrì a intervalli irregolari. Tuttavia non ottenne l'effetto sperato. Un numero crescente di mani lo stavano indicando, e quando osservò l'ennesimo volto basito ampliò il repertorio di gesti bizzarri. Si impuntò guardando per terra. Un attimo dopo scalciò ribaltando alcune sedie delle taverne. Non soddisfatto osò fare di più. Zigzagò fra i passanti impennandosi di fronte a chiunque cercasse di sfiorarlo. Sul punto di compiere delle giravolte su se stesso avvertì una pacca leggera sulla schiena.

«Scintilla, non esagerare! Stai dando l'impressione di aver bevuto tre pinte di birra» ridacchiò il nobile. «Dai andiamo» gli ordinò infine indicandogli una stradina secondaria a pochi metri di distanza.

Una volta raggiunta, il conte si addentrò in essa senza esitare. Conosceva ogni vicolo della città. Da quelli più trafficati, alle vie in cui il silenzio dominava incontrastato. Tuttavia la strada dissestata che stava percorrendo insieme al cavallo era la meno battuta dalle persone. Evitata perfino dai fuorilegge. Case in rovina. Muri sul punto di crollare. Così pendenti da indurlo a ruotare il busto in più direzioni. Notando il manto dell'equino divenire sempre più bianco fissò gli occhi celesti dell'animale.

«Scintilla» lo accarezzò preoccupato.

Lo poteva comprendere con una sola occhiata. Senza udire da lui alcun verso. Anche quel giorno il suo leale amico si sarebbe sfiancato per lui. Fino a stremarsi dalla fatica. Lo chiamò più volte, ma il cavallo finse di non ascoltarlo. Ruotò il muso in tutte le direzioni pur di evitare di incrociare di nuovo le iridi del giovane.

Sospirando, Ademaro si mise di fronte a lui afferrandogli il muso con delicatezza. «Pazienza se le spie mi smaschereranno» scrollò le spalle sorridendogli. «Prima o poi sarebbe accaduto che la mia identità venisse alla luce» sdrammatizzò per poi proseguire a parlare. «Sei spossato. Per favore» lo supplicò con le lacrime agli occhi «non proseguire a camuffare il tuo aspetto con la magia. Hai già fatto troppo per me.»

Scintilla posò lo sguardo sul braccio destro del giovane per poi nitrire scuotendo la testa. In una manciata di attimi piccoli ruscelli luminosi comparvero sulla schiena dell'animale fino a raggiungere la coda vaporosa. Ne seguì un lampo di luce. E quando il bagliore si diradò, il manto del cavallo divenne grigio quanto le nubi di un temporale.

«Te lo prometto» posò la sua fronte contro quella dell'equino. «Quando saremo fuori dalla città. Oltre questa via in cui sono impresse le tracce della guerra passata» gli indicò le pietre annerite sotto di loro «ti porterò dove tu vorrai. Questa notte stessa. Solo io e te a cavalcare in sconfinate praterie. È il minimo che posso fare per dimostrarti la mia gratitudine» gli sussurrò infine muovendosi in avanti con passo spedito.

L'impazienza di arrivare a destinazione batté rapida nel petto del nobile. Con lo stesso ritmo con cui premette gli stivali logorati sui sassi cinerei. A ogni falcata compiuta, la distanza dalla meta si accorciò. Fino ad annullarsi nell'attimo in cui si lasciò alle spalle cumuli di macerie e abitazioni diroccate. Ora erano le fronde degli alberi a riflettersi nelle sue iridi, e il manto erboso ad attutire il rumore degli zoccoli che sovrastavano il cinguettio degli uccelli appollaiati sui rami.

«Siamo arrivati a casa» annunciò sottovoce al cavallo scorgendo un cancello d'argento brillare a pochi metri da loro.

Un solo attimo di tempo, il conte lo impiegò per compiere un profondo respiro. Poi con andatura decisa si avvicinò ai fanti che sorvegliavano l'entrata del castello.

«Vattene straccione!» sbraitò uno dei due uomini osservandolo con sdegno.

«Straccione a me! Ah!» lo puntò con un dito esterrefatto. «Fossi in voi modererei i toni. Fareste meglio a porgermi quanto prima delle scuse adeguate» inarcò verso l'alto un lato della bocca. «Oppure inizierò a supporre che non ci tenete a lavorare per i miei genitori.»

«L'hai sentito, Daniele? Il plebeo è pure spiritoso oltre che insolente!» ruotò il collo verso il collega per poi squadrare dalla testa ai piedi Ademaro. «Quale nobile vorrebbe mai lavorare per una famiglia di popolani?» pronunciò sprezzante compiendo un passo in avanti. «Osservate la mia spada e il titolo nobiliare impresso sulla lama» gli indicò un punto dell'arma. «Chi di noi due è in dovere di porgere delle scuse?»

Nel respiro seguente, il fante proseguì a fissare l'abbigliamento del diciassettenne. Arricciò le labbra sui pantaloni scoloriti. Tuttavia l'occhiata più disgustata la rivolse al mantello sgualcito e rattoppato in diversi punti. «Aprite bene le orecchie topolino di strada. Ritornate da dove siete venuto, e non fatevi più vedere da queste parti. Altrimenti passerete il resto dei vostri giorni nelle segrete.»

«Giovanotto, se ci tenete alla vita scappate finché siete in tempo» intervenì Daniele ridacchiando.

«Sarà un onore cacciarvi dal mio castello» replicò furibondo, ma la sua voce venne coperta dai nitriti di Scintilla che impedirono ai due uomini di udire le parole.

La Fenice del vento - Sussurro di LunaWhere stories live. Discover now