Capitolo 24: il cero della speranza- 1° parte

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Solarbiom, città della regione Fiamma

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Solarbiom, città della regione Fiamma. 8 aprile 496, anno del Pavone.

Le foglie degli alberi stavano danzando con il vento. Si muovevano così lente che il loro fruscio non coprì del tutto il rumore dei passi delle guardie. Uno dopo l'altro, i soldati si addentrarono all'interno della foresta, mentre l'ultima partecipante del concorso varcò l'ingresso del sentiero. Nella radura rimasero soltanto due giovani intenti a conversare.

«Concordo. È una splendida idea» pronunciò Brancaleone osservando con ammirazione Ademaro. «Oggi ti vedo in gran forma» gli riferì un attimo dopo entusiasta.

«Sì, oggi mi sento pieno di idee e di energie. A proposito. I nostri amici ci stanno aspettando» lo informò facendogli cenno di seguirlo.

Addentrandosi all'interno del sentiero procedettero spediti ignorando le suppliche delle fanciulle che erano intrappolate all'interno delle reti. Non le liberarono nemmeno quando le videro singhiozzare. Avevano perso. Dovevano farsene una ragione. Percorsi alcuni metri, si allontanarono dal percorso permettendo alla fitta vegetazione di circondarli. Nella foresta, costituita per lo più da querce, si iniziarono a intravedere altre specie di alberi. Faggi, betulle e frassini erano disseminati in modo sporadico e casuale. Piante in apparenza nate per caso in un ambiente a loro straniero. Fermandosi di fronte a un grande rovere, Ademaro bussò sul tronco di esso. La pianta iniziò a spostarsi di lato, e davanti ai suoi occhi comparve una piccola stradina ciottolata.

«Come hai fatto a scoprire questo percorso segreto?» gli chiese Brancaleone inarcando verso l'alto un sopracciglio.

«A differenza di te, impiego il mio tempo libero in modo proficuo. Invece di perdere tempo a giocare a carte con i tuoi amici, faresti meglio a leggere i libri antichi. Grazie a essi ho imparato molte cose, e sono diventato più colto.»

«Davvero ammirevole il tuo zelo nel leggere quei volumi. Però è un vero peccato, che non dedichi anche del tempo per studiare i libri di scuola. I tuoi voti scolastici sono peggiori dei miei. Quindi non farmi la morale su come dovrei gestire il mio tempo libero» sibilò il barone sghignazzando.

L'orgoglio di Ademaro fu colpito e affondato. Schiarendosi la voce e incassando la frecciatina non ci mise più di un secondo a rispondergli. «Ho parecchie faccende da svolgere durante il giorno. Gestire la scuola non è affatto facile. Comunque fai come ti pare. Il mio era solo un consiglio» sbottò accelerando il passo.

Proseguendo a camminare e schivando alcuni esili rami di betulla, i due amici raggiunsero una piccola radura nella quale era presente una maestosa quercia, la più grande della foresta. Imponente e piena di vigore aveva già superato il traguardo di cento primavere. Ai suoi piedi erano posizionate una serie di panchine nelle quali erano seduti un gruppo di ragazzi. Il loro abbigliamento sfarzoso e raffinato era la prova indiscutibile che fossero degli aristocratici di alto lignaggio. Nessuno di loro però si accorse della presenza di Ademaro e di Brancaleone. Erano così tanto concentrati a fissare le sfere che stavano tenendo in mano, da non prestare attenzione al debole rumore di sottofondo.

Un ragazzo robusto si alzò di scatto. «Maurizio, alla fine la duchessa è inciampata. Hai perso la scommessa» esordì allungando la mano nella direzione di un giovane di bell'aspetto, seduto sulla panchina di fronte.

Per nulla infastidito di aver perso, Maurizio estrasse dalla giacca un piccolo sacchetto di monete e glielo lanciò. «Pazienza, mi rifarò con la prossima scommessa. Che ne dici questa volta di mettere in palio duemila Lunarie?» gli propose porgendogli una mano.

Nell'attimo in cui udì la proposta, Brancaleone abbozzò a un sorriso sbieco. Conosceva da parecchi anni l'aristocratico che aveva appena parlato. Abbastanza da essere al corrente delle tattiche che usava per guadagnare grandi somme di denaro senza il minimo sforzo. Non era affatto un segreto. Figlio di ricchi mercanti, divenuti conti di Motras per volere del re, era dotato di un'eccellente intuito per fiutare gli affari. Solo gli ingenui sarebbero stati così tanto folli da accettare le scommesse di Maurizio.

«Duemila mi sembra eccessivo» mormorò il marchese, esitando a sancire l'accordo con il giovane dalla capigliatura ramata.

«Emidio, Emidio. Come mai indugi? Questa somma è una briciola in confronto al tuo patrimonio. Sei il figlio del Marchese di Luesor. Dunque perché rifiutare una simile opportunità per dimostrare a tutti il tuo grande coraggio?», lo punzecchiò alzando il tono di voce affinché i presenti lo potessero sentire.

Notando che tutti lo stavano fissando, il marchese non esitò a stringergli la mano. «E sia, allora!» esclamò con tono squillante.

Il conte di Motras lo fissò entusiasta. Questa volta non l'avrebbe lasciato vincere. Era una somma troppo succulenta per lasciarsela sfuggire. Estraendo dal mantello un borsellino, lo appoggiò sulla panchina. Poi iniziò a sorridere. Aveva appena trovato un allocco da spennare a dovere. 

Mentre osservò il gruppo di giovani intento a chiacchierare, Ademaro si avvicinò a loro camminando con passi felpati. Era così tanto silenzioso che nessuno lo percepì arrivare. «Come vi sembrano le concorrenti?» chiese ad alta voce.

Alcuni sobbalzarono riprendendo fiato. Altri rimasero con gli occhi puntati sulle sfere prima di girarsi. In una manciata di attimi, un fragoroso applauso si propagò nei dintorni. Alzandosi dalla panchina, Maurizio parlò per primo.

«Complimenti, Ademaro. Questa volta hai superato te stesso.»

«Sono lusingato» gli rispose gongolando orgoglioso.

Mentre il mantello scarlatto conversò con gli amici, avvertì dei passi pesanti risuonare alle sue spalle. Nell'attimo in cui si voltò, incrociò gli occhi di Armando. Lo capì dal modo con cui l'uomo stesse esitando ad avvicinarsi, che volesse riferirgli qualcosa di urgente. Non ci mise più di due secondi a raggiungerlo. Nel respiro successivo, si scambiarono qualche parola sottovoce.

«Vi ringrazio per avermi avvisato» gli rispose Ademaro incupendosi. Poi gli fece un breve cenno con il mento.

Notando che Ademaro si stava allontanando con il capitano, Brancaleone smise di conversare con alcuni nobili e lo raggiunse in un battibaleno. «È accaduto qualcosa alle partecipanti?»

Il conte scosse la testa. «No, nulla. Si tratta della contadina. È arrivata a metà percorso. Purtroppo, nessuna trappola e nessun animale l'ha ancora fermata.»

«Capisco. E Rachele, a che punto è?» gli chiese perplesso.

«Ha indossato un abito troppo lungo, e in questo momento è impegnata a liberarsi dai rovi. Guarda tu stesso» gli riferì porgendogli una sfera. 

Spinto dalla curiosità, il barone fissò con interesse la superficie del cristallo. Dopo un breve attimo iniziò a ridacchiare osservando Rachele agitarsi come una forsennata. Lo strascico dell'abito giallo impreziosito da perline era strappato in più punti. Anche l'acconciatura della nobile lasciava molto a desiderare. I boccoli erano trafitti da una moltitudine di rametti e foglie. Vedendola sbuffare mentre strattonò l'ennesima ciocca di capelli aggrovigliata nei rovi si piegò in due dalle risate.

«Forse era convinta che il concorso avesse una pista da ballo» commentò sarcastico.

Entrambi i ragazzi scoppiarono a ridere fino a quando Armando, davanti a loro, si fermò di scatto. «Eccola lì» commentò a bassa voce, indicando Noemi a qualche metro di distanza che si apprestava a superare una grossa pozzanghera.

La Fenice del vento - Sussurro di LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora