Capitolo 33: il visconte di Epran- 2° parte

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Qualunque ordine risuonò nella mente di Noemi come l'eco di una montagna, trasformandosi a ogni ripetizione in un tifone sempre più prorompente

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Qualunque ordine risuonò nella mente di Noemi come l'eco di una montagna, trasformandosi a ogni ripetizione in un tifone sempre più prorompente. Se un attimo prima la prudenza vigilava indisturbata sui suoi pensieri, nel respiro seguente venne spazzata via dalla furia dell'impulsività.

«Un pugno di parole non avranno mai alcuna priorità di fronte alla morale. Mi rifiuto di accettare simili regole. Proteggono i malvagi, e non difendono i più deboli. Vi rendete conto che approfittando della tutela che offre la legge, il visconte ha indotto Ernesto ad abbandonare la scuola?» pronunciò delusa e incapace di tollerare l'ostinatezza del nobile.

Intravedendo una guardia che si apprestava a estrarre la spada dal fodero, il giovane scosse la testa inducendolo a desistere dal proposito di arrestarla. Poi, voltandosi verso Noemi, appoggiò una mano sul muro e la fissò negli occhi. Con tale intensità da far raggelare il respiro a chiunque.

«Vi ricordo che tutte le leggi del regno sono state scritte dal re. Non sono mere parole, ma norme a cui attenersi. Chi non le osserva viene considerato un ribelle» sottolineò severo.

Per un attimo le gambe della fanciulla iniziarono a vacillare, ma dopo pochi respiri ritornarono rigide quanto il granito. Era a un passo dall'essere portata nelle segrete della caserma, e ogni volta che si voltava verso le guardie del corridoio glielo faceva presente per come la stessero osservando. Ardeva in lei il desiderio di proseguire a enunciare senza timore ciò che pensava su alcune leggi del regno. Di quanto fossero ingiuste per il popolo. Ma comprese che se l'avrebbe fatto sarebbe stata espulsa dalla scuola, e con molta probabilità rinchiusa in una prigione. La razionalità prese il sopravvento sull'impulsività e ne attenuò le fiamme, ma non poté spegnerle del tutto. Continuarono a vibrare nel suo animo, pronte a divampare se fosse stato necessario. Perché di una cosa era certa: non avrebbe permesso che il visconte rimanesse impunito. Mentre ripassava con il pensiero il regolamento della scuola per riuscire a capovolgere la situazione, il conte l'anticipò parlando per primo.

«Comunque è stata una scelta di Ernesto. Nessuno lo stava cacciando via, né tanto meno è stato obbligato da Amilcare» sbottò ribadendo ancora una volta il suo punto di vista ed evitando di pronunciare qualsiasi riferimento alla parola legge.

Lo aveva intuito per come le guardie stringevano con intensità l'elsa delle loro spade che non sarebbero rimaste impassibili ancora per molto. La giovane stava sfidando le norme del reame, e sarebbe bastato una singola parola di troppo per portarla di fronte a un giudice. Si chiese il perché avesse l'istinto di proteggerla. Dovrei dare l'ordine di farla arrestare ma non ci riesco pensò fra sé dando infine la colpa all'altruismo da poco risvegliato. Intravedendo che la ragazza stava per dischiudere le labbra, si augurò di ascoltare parole ponderate.

«Non tutti sono in grado di reagire e di difendersi. Avete mai pensato che alcune persone dispongono di un animo sensibile e fragile? A volte, le parole sono più taglienti delle lame. Amilcare è soltanto un perfido bullo. Una vergogna per il ceto aristocratico» replicò sdegnata.

«Modera i termini contadina. Porta rispetto al Visconte» pronunciò Ademaro con nervosismo ruotando il capo in più angolazioni.

Un numero sempre più vasto di volti, infatti, era rivolto nella loro direzione. Bisbigli e frasi pronunciate sottovoce non facevano altro che echeggiare a fianco a Brancaleone, affacciato a una stanza. Inarcando le sopracciglia verso l'alto, osservò compiaciuto il visconte farsi largo fra la folla che si era creata in un preciso punto del corridoio. La prenderà per il collo, oppure la scaraventerà contro il muro? ipotizzò fra sé convinto che il suo amico avrebbe reagito.

La notizia del dibattito tra Noemi e il conte raggiunse in breve tempo le orecchie di numerosi studenti. E come se fossero trascinati da una marea, si riversarono al centro del corridoio. Anche Fidalma interruppe di conversare con i suoi compagni di classe per raggiungere in fretta la sua amica. Tuttavia il numero dei giovani era troppo elevato per riuscire a farsi largo tra la folla. Sebbene non la intravedesse, la ragazza riuscì a percepire con nitidezza le parole che si scambiavano i due giovani.

«Rispetto? No, non lo merita. Come posso rispettare una persona così tanto odiosa e ripugnante?» sbottò Noemi ad alta voce senza timore.

Ademaro fissò con severità la platea di giovani che erano di fronte a lui. La situazione stava degenerando ed era sua responsabilità riportare l'ordine. «Non avete di meglio da fare, curiosi? Andatevene! Lo spettacolo è finito!» esclamò gesticolando con le mani.

Poi, facendo un breve cenno a un soldato appena sopraggiunto, l'aristocratico puntò un dito contro Noemi. «Guardia, accompagnatela in infermeria. È ubriaca.»

Ma in procinto di allontanarsi, Ademaro intravide fra la folla che si stava sparpagliando, un ragazzo che rimaneva immobile a osservarli. Lo sguardo di Amilcare era carico di odio e di vendetta. Allarmandosi, il nobile si voltò verso la ragazza e le sussurrò una breve frase all'orecchio. 

Noemi corrugò la fronte non comprendendo nessuna parola. Ma non appena il giovane finì di parlarle, le gambe iniziano a piegarsi contro la sua volontà. In breve tempo si ritrovò inchinata in ginocchio. Nonostante tutti i suoi sforzi, i muscoli erano immobilizzati e trattenuti da una forza sconosciuta che le impediva di muoversi. E si innervosì ancora di più constatando che non riusciva a parlare.

Compiendo un passo in avanti, il conte si mise a fianco a lei. «Visconte, la prego di non prendersela con i vaneggi di questa plebea brilla. Non solo è rammaricata per le parole che ha pronunciato, ma anche le porge le sue profonde scuse» esordì indicandola inginocchiata.

Amilcare fece una breve risata prima di rispondere. «Come potrei mai considerare le parole emesse da uno scricciolo? Accetto di buon grado le sue scuse e mi auguro che siano sincere» commentò inclinandosi verso di lei. 

Senza indugiare, il visconte le sfiorò la gola con la mano fissandola dubbioso. Un minuto prima lo stava schernendo. Ma qualche secondo dopo non aveva esitato a genuflettersi di fronte a lui. Una stranezza che gli sembrò sospetta. Perché? si chiese proseguendo a toccarle la gola con più decisione con lo scopo di metterla alla prova. Ma lei rimase composta senza accennare ad abbassare il capo verso il basso. Lo interpretò come se volesse ancora sfidarlo, in una battaglia di occhiate e di parole pronunciate con il pensiero. Notando l'espressione intrepida dipinta sul viso della ragazza, che non accennava ad affievolirsi, le afferrò il collo e l'avvicinò a sé fissandola infastidito.

Quel gesto fece sobbalzare Ademaro e per istinto strinse un pugno della mano. Non comprendeva il perché il suo braccio stava tremando contro la sua volontà. Ma si sforzò a mantenere il controllo sebbene un'emozione sconosciuta tentava con prepotenza di divampare nel suo animo. Era consapevole che non aveva scelta. Se avesse osato intromettersi, avrebbe violato una legge del regno. Nessun aristocratico poteva, infatti, interferire nella disputa tra un popolano e un nobile. L'offeso era Amilcare e aveva tutto il diritto di prendersela con Noemi. Tuttavia, al solo pensiero che il visconte potesse esagerare lo fece ribollire provocandogli fitte acute di mal di testa. Riluttante, si rassegnò ad assistere imparziale all'evolversi della situazione. Rigido come una statua, ma più teso di una corda di un arco. 

La Fenice del vento - Sussurro di LunaWhere stories live. Discover now