Capitolo 45: la torta di compleanno- 1° parte

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Solarbiom, città della regione Fiamma

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Solarbiom, città della regione Fiamma. 12 maggio 496, anno del Pavone.

La mancanza di bracieri accesi. I dintorni privi di urla, e perfino l'assenza dei rumori metallici delle armature. Guardandosi intorno, Ademaro arrivò a una sola spiegazione per l'insolito silenzio che stava aleggiando nel giardino: i soldati avevano organizzato una festa a sua insaputa. Di nuovo. Alle tre del pomeriggio. Per giunta durante il turno di lavoro. Procedette con passo spedito percorrendo il vialetto. Come aveva supposto non incrociò nemmeno i fanti incaricati di pattugliare il perimetro del castello. Rabbuiandosi, varcò la soglia della caserma constatando che nel corridoio non ci fosse neppure l'ombra di uomini provvisti di spade. Soltanto di ubriachi muniti di fiaschi.

Mentre proseguì a seguire la scia di elmi abbandonati sul pavimento, le fiamme delle torce appese sul muro oscillarono per lo spostamento d'aria provocato dalla sua andatura spedita. A intervalli irregolari risate e canti echeggiarono nel corridoio. Non ci mise molto a capire la fonte da cui provenivano gli schiamazzi. Con uno scatto deciso abbassò la maniglia della mensa. Un istante dopo spalancò la porta. Sbigottito arricciò le labbra per il disgusto, e si tappò il naso con una mano. Fu inevitabile. L'odore pungente di alcol gli provocò il voltastomaco.

Gli uomini erano troppo presi a ballare sui tavoli e a gareggiare a chi bevesse più boccali di birra, per accorgersi che il principe aveva appena varcato la soglia della stanza e li stava fissando esterrefatto. Avvertendo lo scrosciare di applausi in un angolo della stanza, i soldati infine si voltarono di scatto. Le urla di gioia si trasformarono in un muto silenzio, e uno dopo l'altro scesero traballanti dalle assi di legno per poi sedersi composti sulle sedie. Per lo meno ci provarono. La maggior parte di loro cadde sulle piastrelle.

«Mi sono sempre chiesto come mai questa settimana le guardie sparivano dopo il pranzo invece di pattugliare l'esterno del castello. Immagino che festeggiate più del dovuto ogni volta che il capitano si reca nella capitale. Che ne dite se gli inviassi un biglietto con i vostri nominativi per elencargli i partecipanti alla festa?»

Le schiene si raddrizzarono e molti di loro, seppur traballanti e privi di equilibrio, si affrettarono a uscire dalla mensa per raggiungere quanto prima il giardino. La stanza si svuotò in breve tempo e rimase soltanto una persona seduta, per nulla preoccupata delle conseguenze che ci sarebbero state. Ovvero, secondo Ademaro, l'organizzatore della festicciola.

Il nobile compì qualche passo in avanti mettendosi di fronte al vice capitano che stava bevendo con voracità un boccale di birra. «Non temete che inserisco il vostro nome sulla lista che consegnerò ad Armando?»

Sbattendo con violenza il bicchiere, gli occhi di Andrea lo puntarono in assetto di guerra. «Stavamo festeggiando il mio compleanno, e ora la mia festa è stata rovinata.»

«Se non ricordo male oggi non siamo il ventitré settembre, ma il dodici maggio» gli fece presente inarcando un lato delle labbra.

«I-io, io... » balbettò imbarazzato. Dannato moccioso! Ne sa una più del diavolo!

«Non sono venuto qui con l'intento di punirvi anche se non mi aspettavo questo spettacolo indecente» pronunciò dando un calcio deciso a un fiasco vuoto appoggiato sul pavimento bagnato dal vino e dalla birra. Estraendo un piccolo sacchetto dalla tasca della giacca, lo appoggiò sul tavolo. «Confido nella vostra discrezione. Vorrei che portaste questo denaro all'orfanotrofio.»

Il trentacinquenne sollevò il borsello di lino grezzo rimanendo perplesso. Si rallegrò che il giovane avesse cambiato idea riprendendo a donare del denaro agli orfani. Tuttavia anche se era compiaciuto della buona azione del nobile, la delusione si adagiò sulle sue labbra impedendogli di accennare a un sorriso. Era la prima volta che gli aveva consegnato una cifra scarsa. Così misera da poter sfamare i bambini solo per due settimane.

Intravedendo il volto contrariato e al tempo stesso basito del soldato, Ademaro si schiarì la voce. «Mi rendo conto che sia una cifra minuscola rispetto a quelle che vi consegnavo qualche mese fa, ma non posso fare altrimenti. Mio padre mi ha vietato di donare Lunare all'orfanotrofio. Per evitare che lo scopra di nuovo sono costretto a donare delle piccole cifre poco alla volta. Solo in questo modo lui penserà che sia un nobile di basso rango a donarle, e i suoi sospetti non cadranno mai su di me.»

«Capisco» gli annuì guardandolo con ammirazione. «Però perbacco! Potevate riferirmelo subito invece di tenermi all'oscuro. Vi avrei aiutato a trovare una soluzione per raggirare l'ordine di vostro padre» pronunciò schietto.

Il silenzio del giovane valse più di mille parole, e quando lo vide arricciare le labbra serrò la bocca. Dedusse che fosse il caso di tacere, e non pronunciare ulteriori parole. Nel respiro seguente, si rammaricò per averlo giudicato con asprezza. Sentì i rimorsi della coscienza farsi largo nel suo animo impedendogli di proseguire a fissare le iridi verdi dell'aristocratico. Per intere settimane, non aveva esitato a parlar male di lui di fronte ai soldati della caserma non tralasciando alcun particolare. Lo rammentò come se fosse accaduto da poche ore. Lo stesso giorno in cui aveva ricevuto l'ordine di non consegnare più denaro agli orfani, la sua rabbia era esplosa. Lo aveva accecato a tal punto che aveva rivelato, durante la cena, tutte le azioni poco corrette del conte di cui era stato testimone. Ma per quelle buone aveva taciuto, omettendole al solo scopo di demolire l'immagine del nobile. Per ridurre in cenere l'esile stima che avevano le reclute per il figlio del presidente della scuola. Lo aveva capito da tempo. Anche se era mosso dall'arroganza e dal volere acquisire prestigio davanti a tutti, Ademaro era sincero nell'elargire le Lunarie ai bambini. Era mosso dalla pietà, quando aumentava la cifra dello stipendio ai soldati che erano in difficoltà. Non esitava un solo istante a concedere dei giorni di riposo ai camerieri stremati per i turni di lavoro. 

Si ricordò allora ciascuna buona azione che il conte aveva compiuto da quando lo conosceva. Seppure fossero esigue rispetto al numero di quelle negative, gli confermò che il giovane avesse un cuore. A differenza di un padre che aveva impedito al proprio figlio di essere caritatevole con chi era più sfortunato di lui. Si chiese, infine, percependo un brivido sulla schiena se fosse stata colpa sua se il padre di Ademaro ne fosse venuto al corrente. Per essersi lasciato sfuggire alla taverna, due mesi prima, che il ragazzo elargiva cifre da capogiro all'orfanotrofio. No, non gli sembrò fattibile. Quel giorno erano presenti soltanto alcuni studenti della scuola, fra cui Brancaleone.

Intuendo che il nobile era sul punto di andarsene, Andrea si alzò traballante dalla sedia. Non gli sarebbe capitata un'occasione così favorevole. Supponendo che il conte fosse di buon umore, non esitò a rivolgergli una domanda.

«A proposito delle bottiglie del vino ambrato. Non è che potrei avere un piccolo sconto?» gli chiese abbozzando un sorriso radioso.

«Ve lo potete scordare, e guai a voi se non consegnerete entro un'ora le Lunarie!» esclamò voltandogli le spalle infastidito.

Appena la porta si chiuse, il vice capitano sbatté un pugno sul tavolo scuotendo più volte la testa. Il giovane non era cambiato, ma nemmeno era crudele rispetto al mese precedente. Dannato moccioso! Non ha un briciolo di bontà. Cosa gli costava concedermi un piccolo sconto? Per lo meno ha mostrato pietà nei confronti degli orfani. Afferrando il boccale, deglutì l'ultimo sorso di birra per poi uscire barcollante dalla mensa.

La Fenice del vento - Sussurro di LunaWhere stories live. Discover now