Capitolo 36: Medea- 1° parte

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Solarbiom, città della regione Fiamma

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Solarbiom, città della regione Fiamma. 1 maggio 496, anno del Pavone.

Accarezzate dal vento. Imperlate dalle gocce d'acqua dei primi temporali della stagione, le foglie degli alberi rilucevano di splendore. Il verde chiaro delle loro chiome fu sostituito da una tonalità più scura. Un cambiamento necessario per proteggere le loro foglie dai raggi del Sole diventati sempre più caldi e luminosi. Per tutti i poeti e scrittori del regno, Maggio era un periodo di transito: l'anticipo dell'estate e la conclusione della primavera. Un paradiso in cui immergersi per trarre ispirazione e comporre testi sublimi da canticchiare al chiaro di Luna. Era il mese in cui le farfalle danzavano sugli ultimi petali delle Magnolie per svolazzare in seguito nei fiori più sfarzosi ed eleganti della stagione: le corolle di Mughetti, Calle, Gerbere, Peonie e Glicini comparivano nei giardini e in ogni via delle città. Distese di frutti di bosco, ciliegie e albicocche riempivano i tavoli dei mercati deliziando il palato della popolazione. Il cielo, invece, era il palcoscenico dove i volteggi degli uccelli donavano spettacoli acrobatici. I loro cinguettii risuonavano in ogni pietra oltrepassando con i suoi echi melodiosi, il spesso strato di vetro delle finestre dei castelli, portando pace e quiete a chiunque li ascoltasse. Ben altra però era la musica che si udiva in una stanza del quarto piano nella scuola del Sole.

«Signor preside, vi posso assicurare che il conte Ademaro non è mai entrato qui. Io e il mio collega abbiamo sorvegliato la porta senza mai allontanarci» esordì il soldato con tono deciso. Ma le gocce di sudore puntinate sulla sua fronte, erano la prova inequivocabile che stesse mentendo.

Irritato per la risposta, Nicandro iniziò a rovistare in un cassetto della scrivania e tirò fuori un oggetto d'argento. Allungando il braccio e indicandogli con un dito i residui di cera rossa incastonati fra le fessure metalliche del timbro, lo fissò con severità. Arrabbiato era un eufemismo. Lo si leggeva nei suoi occhi quanto fosse profondo il suo rancore.

«E questo come lo spieghiate? Pulisco sempre i sigilli, quindi qualcuno l'ha usato.»

«V-vi assicuro che abbiamo vigilato tutta la notte. A parte voi, ne-nessuno è e-entrato in que-questa stanza» balbettò in un crescente stato di agitazione.

Ma le sue spalle, le sue braccia e le sue gambe si scossero con nervosismo tradendo ancora una volta l'affermazione che aveva appena pronunciato.

«Non burlatevi di me! Ditemi: quante Lunarie vi ha dato?»

«Non le ho accettate anche se me ne aveva offerte parecchie» sbottò tutto d'un fiato per poi zittirsi con profondo imbarazzo. Preso dal panico iniziò a giustificarsi, ma era troppo tardi per porvi rimedio.

Il preside si alzò di scatto, e sbattendo il palmo della mano sulla scrivania gli puntò un dito contro. «Fuori di qui, razza di ipocrita! Non vi voglio mai più rivedere! A partire da questo momento voi e il vostro collega siete licenziati!»

La guardia si inginocchiò di fronte a lui balbettando una serie di scuse e di rimpianti, ma Nicandro gli passò davanti senza prestare ascolto alle sue parole. Spalancando la porta, indicò a due soldati di cacciare fuori la guardia decaduta.

La Fenice del vento - Sussurro di Lunaحيث تعيش القصص. اكتشف الآن