Mi tolsi la flebo finita e mi misi in piedi, la testa mi iniziò a girare così tanto che mi dovetti reggere al lettino per non cadere a terra, dopo alcuni secondi riuscì a mantenere l'equilibrio e mi diressi fuori dalla stanza <Luke!> non ebbi la forza per urlare più di tanto, lo vidi fermarsi all'angolo per poi iniziare a parlare, sicuramente vi era qualcuno, magari aveva incontrato lo psichiatra n. 7 oppure il medico?

Mi diressi verso di lui finché non mi fermai sentendomi tirata dal braccio <Cosa ci fai qui?> i suoi occhi ambrati posarono su di me come due gocce di acqua calda, liberai il braccio dalla sua presa <Stavo seguendo> mi voltai per indicargli Luke ma non lo vidi più dov'era prima <Luke, lui era qui.>

<Certo, rientriamo in stanza, sei ancora debole.> mi sorresse dalla spalla e mi riaccompagnò facendomi sedere nuovamente sul lettino <Mi hanno riferito che ti è permesso tornare a casa non appena ti sentirai in forze.>
<Bene, andiamo.> mi rialzai ma in meno di un secondo lo psichiatra si avvicinò così tanto a me da farmi risedere con la sua sola presenza <Oppure rimaniamo qui, certo, perché no.> affermai ironicamente mettendomi comoda sul lettino ma lui non retrocedette neppure di un millimetro.

Mise le mani ai miei fianchi avvicinando il suo volto al mio, riuscì a sentire il suo profumo di Narciso e a osservare meglio le sue iridi e le sue labbra, mi appoggiai sui gomiti per mantenere l'equilibrio <Ora, parla.>
<C-cosa vuoi che ti dica?>
<Cosa successe quella notte Diamond?> strinsi le mani a pugno e mi spinsi in avanti costringendolo ad allontanarsi <Se te lo dicessi cosa faresti? Nulla. Quindi che senso ha.> affermai con rabbia.

<Tu non preoccuparti di questo, riferisci solamente ciò che è accaduto. Cosa ricaveresti rimanendo in silenzio? Nulla.> mi vennero gli occhi lucidi al solo pensiero e il cuore ritornò a battere forte <Mi hanno stuprato.> strinsi il lenzuolo in una presa ben salda <Usata come fossi un oggetto. Violentata come se il mio corpo fosse di ferro sotto agli occhi di tutte quelle persone. È questo che vuoi sentire?> mi alzai avvicinandomi al lui e guardandolo negli occhi <È questa la risposta che aspettavi?>

Mentre la mia mente e il mio corpo ribollivano di odio e rabbia lui parve calmo, come se ciò che appena gli dissi non avesse nulla di crudele, nulla da associare all'atrocità delle bestie. <Com'erano? Descrivimeli.>
<Così correrai a dirlo al König? Così avrai un'altra scusa per attaccare quel locale? Siete tutti uguali, ricercate solo il vostro piacere.>
<Il König? Interessa a me Diamond. Descrivimeli o brucerò vivo chiunque sia sopravvissuto all'ultimo attacco.> mi asciugai le lacrime e lo guardai, non riuscivo a capire se la calma che mostrava e l'autocontrollo che stava esercitando su se stesso stessero smascherando la sua vera natura oppure se avrebbe veramente bruciato chiunque fosse rimasto vivo da quella sera.

In questi mesi mi aiutò molto, lo sentì così vicino che mi parve di conoscerlo da una vita, che non fosse solo il mio psichiatra, ma quando ciò riguardava il suo "secondo mondo" non riesco a fidarmi, non dimenticherò come mi mentì riguardo a Charles o come non appoggiò in prima persona l'attacco a Peter.

Abbassai lo sguardo ricordando il volto di quei mostri <Uno di loro aveva i capelli biondi lunghi fino alle spalle e gli occhi castani assieme a un tatuaggio a forma di sole sul collo, l'altro era molto alto, capelli corti e moro con le lentiggini e gli occhi azzurri, il suo corpo era interamente tatuato con una cicatrice sul braccio.> dissi velocemente e a tono basso continuando a guardare il suolo, una mano molto calda mi rialzò la testa dal mento <Non hai nulla di cui vergognarti. Sono loro a dover soffrire per questo. Te lo prometto Diamond, li vedrai torturati a tuo piacimento.> mi avvicinò circondandomi con un abbraccio molto caldo e stringendomi a sé <Te lo prometto.> ripeté e io non potei più trattenermi e iniziai a piangere stringendolo ulteriormente a me.

Quella era l'unica cosa che necessitavo in quel momento, da tutti quei mesi: la speranza. Qualcuno che mi appoggiasse e mi dimostrasse che non ero sola in questo mondo, so benissimo che manterrà la sua promessa, sono cosciente del fatto che verranno torturati nel peggiore dei modi eppure non provai pietà anzi, provai un lieve sollievo, una pace momentanea e il desiderio di vederli inginocchiati davanti a me il prima possibile.

Vidi la maglietta bagnata con le mie lacrime nel momento in cui si allontanò accarezzandomi la guancia <Scusa..> affermai con un sorriso forzato, <Brava, scusati. Ma non per questo, no, per aver mantenuto questo avvenimento per te senza includermi.>
<E perché avrei dovuto? Siamo solo psichiatra e paziente alla fine, no?> lo guardai in cerca di una risposta ma l'unica cosa che fece fu avvicinarsi all'armadio e prendere dei vestiti posandoli sul letto <Te li ha portati Isabel, vestiti così usciamo.> e con questa risposta mi diede inconsciamente anche la risposta ad un'altra domanda.

Annuì avvicinandomi al letto e lui uscì aspettando davanti alla porta, ricordo che Isabel non esitò neppure un istante nel momento in cui mi vide a terra, si avvicinò e mi blocco il polso consentendo allo psichiatra di prendermi in braccio e trasportarmi sino alla macchina, odio ammetterlo ma, in questo caso, le dovrei essere grata per ciò che ha fatto.

Mi vestì notando che nell'armadio non vi era nessuna felpa o giacchetta da mettere sopra alla maglietta a maniche corte, aprì la porta <Non posso uscire così.>
<Perché no?>
<No. Si vede tutto.>
<La prossima volta ci penserai due volte prima di prendere in mano un rasoio.>
<Sei odioso.>
<Se hai finito andiamo.>
<Non esco così. Come vuoi che te lo dica?> si sporse dalla porta verso di me per poi sussurrare <Scegli: o esci da sola o torni a casa da sola, tanto l'indirizzo lo sai.>
<Mi minacci ora?>
<Scegli.>

Richiuse la porta dietro di sé e se ne andò, non conoscevo l'indirizzo, è sempre stato lui a portarmi, sin dalla volta nel bagagliaio. Riaprì la porta seguendolo e incrociai le braccia nascondendo le ferite, cercai di non attirare l'attenzione e mi avvicinai a lui entrando nell'ascensore <Non ho ancora capito se mi ami o mi odi per farmi un simile torto.>
<Ti rispetto, è diverso.>
<Ti sembra rispetto obbligarmi a uscire così?>
<Da oggi metterai solo magliette a maniche corte, così riuscirò facilmente a notare un futuro taglio.>
<Cosa? No.>
<Non era una richiesta.> l'ascensore si fermò e uscì costringendomi a seguirlo, <Non metterò magliette corte e poi non le ho neppure.>

Aspettammo fuori dall'ospedale <Questo non è un problema.> ci portarono la macchina e lo psichiatra aprì la portiera posizionandosi davanti al volante e mettendo in moto, mi sedetti di fianco a lui sbuffando <Per me sì.>
<Ascolta Diamond, non ti sto punendo in questo modo, credimi.>

È vero, non mi stava punendo, ma il solo pensiero che tutti potessero vedere i miei sbagli mi tormentava, non avrei resistito agli sguardi di pietà che mi avrebbero riservato o alle solite domande scomode che mi avrebbero rivolto, non ero pronta e non volevo affrontare tutto ciò.
Ma, soprattutto, non volevo privarmi dell'unica via di fuga che potevo concedermi, l'unico modo che avevo per bloccare ogni pensiero e cogliere un momento di pace, non volevo privarmi del sentimento di sollievo che mi pervade ogni volta che il mondo attorno a me si bloccava e mi proteggeva inglobandomi in un nuovo mondo senza tempo e senza spazio.

<Va bene ma solo a una condizione.>

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