Diamond 50

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Le lacrime stavano implorando di scendere, desideravo piangere e gridare, chiedere di sparare e porre fine a questo ciclo in cui la vita mi ha imprigionato.

Sin dal giorno in cui venni al mondo, combatto per la mia esistenza, inizio guerre e affronto continue battaglie per poter vivere come gli altri.

Perché non sono come tutte le bambine?
Perché non posso vivere come ogni adolescente?
Perché non posso avere dei genitori che mi amano e mi proteggono come tutti gli altri nel mondo?

Cos'ho di sbagliato io?
Perché proprio me.

Ogni notte, quando chiudo gli occhi, la mia mente lotta contro i pensieri legati a quel mostro, cercando di garantirmi anche solo qualche ora di pace durante il sonno. Resistendo, cerca di farmi dormire in tranquillità, anche se solo per una piccola frazione di tempo.

Io sono distrutta.

Il pensiero che in questo momento, proprio ora, potrei porre fine a tutto questo dolore mi fa comprendere ancora di più quanto la vita sembri cercare continuamente di spingermi verso la distruzione.

Molti potrebbero pensare: "Che stupido tagliarsi. Non serve a nulla.". Ed è vero, non serve a nulla. Ma è l'unico modo che ho per fuggire da tutti quei pensieri. È l'unico modo che ho per concentrarmi su me stessa, anche solo una volta nella vita.

Non serve a nulla, ma mi regala una pausa, anche se breve. È comunque meglio di trascorrere ogni giorno 24 ore ad ascoltare quella voce, a odiare il mio corpo, a detestare me stessa per essere sporca.

Adesso potrei tranquillamente mettermi di fronte a Peter e dirgli "Sparami", ma non posso... Neanche sulla mia morte ho il controllo.

Non ho mai avuto il controllo su nulla. Non sul mio corpo, non sulla mia mente e neanche sulla mia vita.

Se morissi ora, deluderei l'unica persona che mi ha sempre sostenuto, e non posso fare questo a papà.

Peter si avvicinò e mi prese con forza per un braccio. <Decidi.> sussurrò, stringendomi con ancora più forza e guardandomi negli occhi.

Ora dovrei provare dolore per quella stretta, ma in realtà la mia mente l'ha semplicemente ricollegata alla stretta che quel mostro esercitava su di me.

Dopo aver finito il suo turno di lavoro, di notte, nel momento in cui era sicuro che tutti i miei compagni dormissero, apriva lentamente la porta e mi guardava dalla soglia. Io ero quasi sempre girata di spalle, per evitare di incrociare il suo sguardo.

Si avvicinava con passi lenti al mio letto, per poi abbassarsi lentamente su di me. Sentivo il suo respiro vicino al mio orecchio mentre sussurrava <Come with me, little girl.> seguiva un ghigno, e poi mi prendeva per un braccio, facendomi girare verso di lui e mettendomi il dito sulle labbra, ordinandomi di stare in silenzio, con un coltello premuto contro le mie labbra.

Io non riuscivo a urlare, né a negargli nulla. Se lo avessi fatto, non mi avrebbe solamente ucciso. No, avrebbe fatto qualcosa di più meschino, di più inumano. Perché le labbra sulle quali il coltello era posto, non appartenevano alla mia bocca.

L'unica cosa che riuscivo a fare era alzarmi lentamente, cercando di non fare alcun rumore, e seguirlo in pigiama. Un indumento che sapevo benissimo non sarebbe durato a lungo addosso a me.

Mi teneva per mano come se quello che stesse per fare fosse la cosa più normale del mondo, come se non stesse per violentare per l'ennesima volta una bambina. Come se fossi solo un oggetto, non un essere umano.

Una giostra su cui giocare.
Un premio che la vita gli aveva concesso.

Mentre le lacrime continuavano a rigarmi il volto senza sosta, cercavo disperatamente di nascondere i singhiozzi e di controllare le mie emozioni. Ma lui mi tirava con forza fuori dalla stanza, senza alcuna pietà, e mi conduceva nel seminterrato.

The PromiseWhere stories live. Discover now