Diamond 6

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Su questa terra possiamo amare solo col tormento e solo per mezzo del tormento.
Fëdor Dostoevskij

Ero confusa, scossa, arrabbiata.
Mi risvegliai, aprii gli occhi e guardai in alto, in quel momento il desiderio di morire prese possesso della mia mente.

Il pensiero che quegli uomini mi abbiano toccata, mi abbiano avuta, senza consenso.
Il ricordo di quell'uomo che mi rese l'infanzia un inferno.
Tutto pareva essere contro di me.

A volte mi chiedo se questo sia davvero la terra e non l'inferno.

Solo bianco, davanti a me vidi tutto bianco, dalla luce ai mobili, tutto era completamente bianco.

Non era la discoteca, non era quel bagno di sangue in cui mi hanno immersa.

Dove mi trovavo?

Mi alzai, stranamente non sentii dolori, mi sarei aspettata che il ventre urlasse pietà dopo quello che successe ma così non fu.

<Ben svegliata> mi girai e lo vidi, un uomo dalla corporatura molto esile, vestito con una divisa blu notte <Chi sei e dove mi trovo.>
<Sei stata portata qui dal nostro Psichiatra, tra poco ti riceverà.>
<Chi è ques-> non riuscii a completare la frase che uscì da quella stanza.

Chi era questo psichiatra? Sono entrata in coma per caso? Non riuscii a metabolizzare più nulla di ciò che stava accadendo, tutto parve essere completamente diverso, strano. Io ero strana.

Persi tutto, in un paio d'ore mi tolsero tutto, mi levarono la vita, mi violarono.

Mi guardai allo specchio, quella non ero io, quella non è Diamond One. È una sconosciuta. Rinnego qualsiasi forma di collegamento con questa figura. Rinnego me stessa e ciò che ho vissuto.

Perché me? Perché alla fine sono sempre io quella che soffre? Mia mamma mi ha abbandonato, mio papà non sa manco della mia esistenza, non so se ho fratelli o sorelle, la famiglia di Ryan mi odia e sono rilegata a una promessa a vita.

SEMPRE IO.
TUTTI I GIRONI DELL'INFERNO SI SONO UNITI NELLA MIA VITA rendendola impossibile.

Sono arrabbiata, non contro la vita bensì contro me stessa.
Mi toccai i polsi, le mie ferite o, come le chiamo io, la mia salvezza.
Presi l'ago appeso alla flebo.
Lo guardai.
Era bello, lucido, grigio, mi trasmise serenità.
Tolsi la maglietta e lo conficcai nel mio polso, lentamente lo spinsi dentro, sempre più infondo.

Quella forma di dolore che mi pervase il corpo fu di una piacevolezza immensa, mi concentrai solo su di esso, o almeno ci provai, i ricordi rifiorirono, il sangue scese sulle mie mani giacendo a terra, mi sentii debole.

Ancora una volta sola.

Sentii la porta aprirsi e mi voltai velocemente, alto, robusto con il camice bianco, tutta la sua bellezza si rifletté nei suoi occhi. A prima vista mi parvero castani, ma quando li colpì la luce divennero ambrati, intorno all'iride il colore divenne miele puro.
A contatto con il sole, invece, parevano d'oro. Due gemme dorate, rivestite di puro miele, negli occhi di uno degli uomini con i tratti più perfetti che io avessi mai visto, pareva sceso dall'Olimpo.

Per un attimo mi dimenticai di tutto, i suoi capelli neri corniciavano alla perfezione il suo viso, la camicia attillata disegnava degli impeccabile muscoli coperti in parte dal camice che sottolineava la sua imponenza.

Mi scrutò tutta, da testa a piedi, soffermandosi sulla mia mano piena di sangue e con l'ago conficcato nel polso.

Si avvicinò a me prendendo dalla tasca un fazzoletto di cotone nero e me lo appoggiò sopra la ferita estraendo lentamente l'ago.

Chiusi gli occhi nel momento in cui premette.

Li riaprì e guardai nelle sue iridi, non percepii nulla, mi parve come fossi entrata in un limbo, in un limbo chiamato Olimpo.

Mi strinse forte la ferita e annodò il fazzoletto, mi guardò per un istante per poi prendere parola <Dirò loro di togliere qualsiasi oggetto tagliente o appuntito.> concluse dirigendosi verso l'uscita.

In quel momento mi parve di ricordare il suo volto.

Quella figura mi fu famigliare, l'altezza, la robustezza, tutto mi ricondusse a lui.

Chiusi gli occhi e ripercorsi la scorsa notte, era lui l'uomo sulla soglia.

<TU> lo vidi voltarsi nella mia direzione <ERI UNO DI LORO!> i miei occhi si riempirono di lacrime al ricordo, l'uomo che appena mi aiutò in realtà era uno di quegli stupratori, era un mostro che contribuì a questo mio stato.

Sentii la rabbia prendere possesso della mia anima, in quell'istante, dinanzi a me, non vi era un uomo bensì uno stupratore, la mia memoria proiettò nuovamente quei ragazzi e colui che l'infanzia mi sottrasse.

Vidi un demone non più un angelo. Occhi dorati, il riflesso delle più alte fiamme dell'inferno.

Iniziai a tremare, le palpitazioni aumentarono, strinsi la testa fra le mie mani e lo guardai. Come poteva essere così crudele? Privarmi del mio corpo e condurmi qui? Avvicinarsi a me come se nulla fosse.

<Io->
<ZITTO! NON VOGLIO SENTIRE NULLA!> presi qualsiasi oggetto vi fosse al mio fianco e incominciai ad urlare tirandoglieli addosso <VATTENE! SEI UN MOSTRO!> una lacrima dopo l'altra rigarono il mio volto, il desiderio di porre fine alla sua vita prese possesso della mia mente. Il desiderio di condurlo a provare ciò che stavo sopportando.

Lo vidi incamminarsi nella mia direzione a passo svelto <NON TI AVVICINARE.> mi girai, il primo oggetto che vidi fu un vaso pieno di rose, lo presi e glielo lanciai contro.

Il braccio con cui fermò il colpo divenne pieno di sangue, il camice che prima rifletteva la purezza ora era l'incarnazione del peccato.

Mi abbassai e presi uno dei pezzi del vaso avvicinandolo al polso coperto dal suo fazzoletto, lo levai e misi, sopra alla stessa ferita, la parte più tagliente premendo con forza.

<Colpiscimi, feriscimi ma non fare del male a te stessa, sfogati su di me e su di me soltanto.> le sue iridi si posarono sulle mie, le sue parole sembrarono così vere...

<Tu mi hai> non riuscii a concludere la frase, si avvicinò ulteriormente a me e mise la sua mano sulla mia non distogliendo mai lo sguardo dai miei occhi <No, non l'ho fatto e neanche quei tre ragazzi si sono avvicinati.> la sua voce profonda mi parve una melodia ipnotizzante, gli lasciai prendere il pezzo di vaso, non riuscii a non guardarlo, completamente immersa in quelle iridi dorate.

<Come posso crederti... Io li ho visti, li ho sentiti.> una fitta al petto mi colpì nel momento stesso in cui pronunciai quelle parole, i miei occhi non riuscirono a fermarsi dal lacrimare, ero distrutta.

Gli volevo credere.
La mia unica speranza venne riposta nella veridicità delle sue parole.

<Senti qui> mi toccò il ventre, la sua mano sprigionò un calore indescrivibile, mi fidai, chiusi gli occhi e lo ascoltai <il tuo corpo cosa ti sta cercando di dire? Pensi che, se ciò che dici fosse successo, non te lo avrebbe fatto capire?> tolse la mano subito dopo e un freddo gelido mi colpì <Io li ho visti.> affermai a bassa voce <Quel drink era drogato, lo so. Lui mi ha usata.>
<Ti correggo: lui voleva usarti. Ma non ci è riuscito. Non ti chiedo di fidarti delle mie parole, ma dei fatti sì. Se le parole del tuo corpo non sono abbastanza, allora i fatti delle registrazioni ti condurranno alla realtà.> fece due passi indietro e mi porse la sua mano <Permettimi di aiutarti, permettimi di liberarti da tutto questo dolore.>

Era lì, l'aiuto di cui tanto necessitavo era proprio davanti a me, ma cosa avrei dovuto fare? Stringere la sua mano ed affidarmi a lui oppure scoprire la verità e vendicarmi da sola?

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